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 2023  novembre 14 Martedì calendario

L’amore di Catullo

Catullo, tra gli autori antichi, è quello che più sembra simile a noi, perché ci rivela i suoi sentimenti e parla della sua vita amorosa. In certe poesie usa addirittura il proprio nome. Eccolo un grande del I secolo avanti Cristo che non si nasconde, uno che si mette in gioco, e non si vergogna a dirsi innamorato, sensuale, voglioso, geloso. Catullo è spontaneo e sincero, ricerca i baci, e proprio per questo ci pare di capirlo immediatamente. Senza dubbio ci risulta simpatico, anche perché è giovane. Quando muore, ha solo trent’anni. In realtà, la spontaneità e la sincerità di Catullo nascono da un’idea di amore tutt’altro che ingenua e casuale. Dalle sue poesie possiamo ricostruire un vero e proprio codice del cuore, un’“educazione del desiderio”, se volete. Capito questo, ne apprezzeremo tanto di più l’originalità e ci sarà tanto più prezioso, perché riconosceremo in lui una guida, nonostante tra noi e lui corrano millenni. Catullo ci insegna che l’amore è civiltà. Crea nel disordine della vita sociale un sistema di rapporti buoni, ispirati al contraccambio e alla gratitudine reciproca, esprimendosi variamente secondo che sia diretto alla donna, al ragazzo o all’amico. Per ciascuno di loro esiste un certo tipo di trasporto, e con ciascuno si crea o si tenta di creare un certo tipo di rapporto. E così si forma una sfera policroma di comportamenti e sentimenti, che vanno dall’affetto più puro alla passione alla brama sessuale. L’amore per la donna rappresenta l’ideale massimo. Pienamente realizzato, diventa matrimonio, forma suprema di legame. Per questo spiccano nel libro di Catullo alcuni componimenti nuziali, i meno personali, da un certo punto di vista, ma i più impegnati, per lunghezza e per lavoro linguistico. Catullo, però, ama una donna inaffidabile (la chiama Lesbia, in omaggio alla grande poetessa greca Saffo, originaria dell’isola di Lesbo); una che, quando la incontra, è già sposata, e per di più va a letto anche con altri. Il suo amore nasce disperato; e si sviluppa in malattia. Inseguire l’ideale impossibile, infatti, è un supplizio; getta l’animo nell’avvilimento e nella contraddizione. L’innamorato vuole e non vuole, odia e ama (l’ossimoro più catulliano che ci sia); e poi, quando si crede liberato, ci ricasca, ripiomba nell’illusione. L’ideale, a ogni modo, regge, proprio perché ideale; ineliminabile punto fisso del cosmo interiore. E, così, il discorso si svolge, di poesia in poesia, su due piani: quello psicologico delle traversie emotive e psicologiche, che muta sempre, e quello morale dei sacrosanti princìpi, inalterabile, che ambisce a ricomporre il disordine e, non riuscendoci, almeno condanna le storture. Altro aspetto notevole, che a noi lettori di oggi potrebbe sfuggire: l’amore per Lesbia, per quanto sbagliato, non è fatto privato. Non solo le poesie stesse lo rendono pubblico, ma mostrano anche che alle vicende di quell’amore partecipa tutta una comunità di amici. Un amore, per Catullo, non sta fuori dal mondo; non vive nell’isolamento. Non può. Un amore, per essere tale, richiede testimoni, deve fare da modello e da stimolo, creare altri amori. Gli amici, allora, servono a legittimarlo, a proteggerlo, a imitarlo. E lo favoriscono; se ne fanno portavoce; possono addirittura annunciarne la fine. Gli amici sono a loro volta oggetto d’amore e il desiderio di loro contribuisce non meno di quello della donna a formare la sostanza psicologica e civile di Catullo. Verso alcuni lo vediamo tendere con una dolcezza da innamorato. Li cerca, ne ha nostalgia, non vede l’ora di riaverli accanto. Il carme 50, che è uno dei miei preferiti, ci racconta la felicità che il poeta ha provato passando tutta una giornata con Licinio Calvo. Hanno bevuto, scherzato e scritto versi. Ora, però, sono divisi, e a lui non vengono né fame né sonno, perché pensa all’amico, e, smaniando nel letto, spera di rivederlo al più presto. L’amicizia, come l’amore per la donna, è un patto. Rientra in un quadro di giustizia sociale. Guai a chi dei due lo rompe! La dea della vendetta, Nemesi, gliela farebbe pagare.
C’è poi l’amore per il ragazzo, Giovenzio, in particolare. Si tratta, evidentemente, di un affetto diverso da quello per Lesbia, nelle intenzioni e nei fini, ma pur sempre di un attaccamento significativo, non privo di passione e di dolcezza. Qui occorre chiarire un punto essenziale: per gli antichi non esiste la distinzione tra eterosessualità e omosessualità che abbiamo noi moderni. Il concetto stesso di identità sessuale sfugge, sia nell’antica Grecia sia nella Roma di Catullo. L’identità sessuale è definita non in base all’indole o a un’idea di orientamento, ma secondo le pratiche. Un maschio libero e adulto, come è Catullo, può avere rapporti sessuali sia con i maschi sia con le femmine. Occorre, però, che l’altro maschio sia un ragazzo e non abbia un ruolo attivo nel rapporto sessuale. In genere, il ragazzo è uno schiavo. Giovenzio, però, è quasi certamente un giovinetto di famiglia libera. Anche in questo caso, si tratta di una relazione rigorosamente regolata, che obbedisce, non meno delle altre, all’ideale della corrispondenza e della fedeltà. E anche in questo caso, purtroppo, come in quello di Lesbia, si constata che corrispondenza e fedeltà mancano. Catullo ci dona un’immagine dialettica dell’amore, positiva in astratto e drammaticamente negativa nella realtà. Il dramma nasce dalle difficoltà dei rapporti e dall’incostanza dell’altra parte. Di qui delusioni, gelosie, vergogna e umiliazione. La sofferenza, però, modella un personaggio forte, lucido, rigoroso, che, nonostante la prostrazione di certi momenti, non dimentica mai ciò cui è giusto aspirare e che è giusto aspettarsi; uno che dà a sé stesso il compito di vivere sempre con coerenza e con dignità, con rigore quasi filosofico, il sentimento e l’attrazione. Per tale ragione Catullo può esserci ancora maestro, ispirandoci a conoscere e a costruire i nostri amori, chiunque siamo portati ad amare, con la più viva consapevolezza.