Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  novembre 14 Martedì calendario

Intervista ad Anna Valle


Se Anna Valle dovesse rispettare una sua filosofia di lavoro, di certo non accetterebbe le seconde serie. Perché di solito non fanno sostanziali passi avanti rispetto alla storia iniziale. Persino con Commesse, che le regalò notorietà e che considera come la sua fiction più amata, si fermò al primo enorme successo. In quel caso, ci vide lungo come pure ad accettare il prosieguo di Lea i nostri figli, che la vede infermiera buona, felice di tornare in corsia: domenica sera su Rai1 il debutto della seconda stagione è stato visto da 3.040.000 telespettatori per uno share di 15,9%. In questa coproduzione di Rai Fiction e Banijay Studios Italy, accanto ad Anna Valle ci sono Giorgio Pasotti e Mehmet Günsür. Regia di Fabrizio Costa.
Anna, che cosa rende Lea così familiare?
«La sua empatia e la capacità di compenetrarsi con i dolori altrui».
Una volta Argentero disse che i medical piacciono perché tutti vorremmo avere accanto quei dottori e quelle infermiere mentre normalmente ci si scontra con la malasanità.
«In parte è vero. Nella serie siamo un gruppo di infermiere molto presente. Vero è che si parla di un reparto pediatrico e di un piccolo centro, Ferrara, dove gli ospedali non sono presi d’assalto. A me è successo di essere accudita a Vicenza dove vivo con i miei figli. Roma è alienata, il lavoro convulso, ci si riesce solo se hai passione e pazienza. Da madre so che significa avere a che fare con le ansie dei genitori».
Come mai ha scelto di vivere a Vicenza?
«Per questioni logistiche. Mio marito lavora lì e ho Leonardo e Ginevra che prima venivano con me sui set ma ora con la scuola hanno bisogno di stabilità e sono io a fare la pendolare».
Molti oggi preferiscono vivere decentrati.
«Ci sono molti pro se hai famiglia, tutto è a portata di mano, una rete protetta, in due minuti di bicicletta copri le distanze e la vita funziona meglio».
Dunque il posto dei suoi sogni è?
«New York».
Mi è sfuggito qualcosa?
«No, dei miei sogni, dunque irrealizzabile. Ero lì a Manhattan per accompagnare mio marito e abbiamo visto che è la città delle opportunità. Fossi sola, magari, con una famiglia non vivi leggero».
Lea è ambientata a Ferrara. Oggi molte serie si girano in provincia, a Matera la sua Sorelle, a Ponza, a Ortisei... Il co-ceo di Netflix, Ted Sarandos, disse che per vendere una serie italiana all’estero doveva raccontare i piccoli centri che gli stranieri sognano di vedere.
«Può essere vero perché le serie risentono dell’ambientazione anche senza esplicitarlo. Definiscono meglio, regalano personalità alla storia. Escamotage cittadino, si raccontano i quartieri. Il piccolo centro ambienta meglio la vita dei personaggi, non è una ruffianata ma fa sentire più a suo agio chi si avvicina a quella vicenda».
C’è un luogo che ha conosciuto girando e che le è rimasto nel cuore?
«Certo, Ortisei. Vite in fuga mi ha portato all’Alpe di Siusi. Me ne innamorai subito e da allora ci torniamo ogni anno. Un posto incantato che raggiungi con la macchina, solo per approdare dove abiterai, poi la dimentichi. A Ferragosto noi siamo lì, biciclettate di ore e non incontri nessuno. C’è la funivia che ti porta in ex fienili trasformati in chalet semplicissimi».
Vita familiare quasi bucolica. Anche le sue convinzioni appaiono nette. A Silvia Toffanin disse di essere contro la maternità surrogata e favorevole alla legalizzazione delle droghe leggere. Giusto?
«La maternità surrogata purtroppo viene regolata dal denaro e viene utilizzata in modo sbagliato e spesso sfruttata. Io sarei favorevole se regolarizzata, allora diventerebbe positiva per la donna. Anche per le droghe leggere, la legalizzazione potrebbe essere un deterrente. I ragazzi subiscono il fascino del proibito, se fossero permesse forse i figli ne parlerebbero con i genitori senza paura di confessare un peccato».
Lei a sua volta è stata vittima del web.
«Sì, avevano scritto che ero malata mentre stavo benissimo. Mi ero presa un anno sabbatico, ero andata a Parigi per conoscere quel mercato. L’assenza ha fatto pensare che ci fosse qualcosa sotto. Anche i produttori non mi chiamavano più. Io non sapevo che fare, ho sofferto molto per la mia famiglia. Quando mio figlio tornò da scuola in lacrime perché qualcuno gli aveva detto che ero molto malata, allora mi sono molto infastidita e ho posto rimedio».
I suoi figli le parlano?
«Sì, spero di tutto. Siamo molto attenti a Internet che viene utilizzato dagli odiatori. Lì dentro c’è il far west. Ginevra ha 15 anni e con i social ha già un approccio. Per questo noi genitori cerchiamo di strutturare un dialogo per far capire loro che quella non è la realtà di un rapporto».
Fate qualcosa insieme?
«Immersione e pugilato. La pugilistica è un allenamento bellissimo, una disciplina che richiede testa e concentrazione».
Tanta strada dopo l’elezione di Miss Italia. Ci ripensa mai?
«Certo, tante volte. Fui contattata per la prima volta che ero ragazzina, dissi di no per due volte poi a 16 anni dissi di sì. Mi ricordo la telefonata ai miei genitori la sera prima delle elezioni. Avevo la fascia di Miss Eleganza. Dissi ai miei di non venire, che sarei tornata io il giorno dopo a Lentini in Sicilia dove vivevo con mia mamma e i miei fratelli. Invece non sono più tornata. Mi dispiacque molto per mia sorella, vivevamo in simbiosi».
Miss Italia era un programma molto seguito che poteva essere in trampolino di lancio. Oggi lo hanno tolto dai palinsesti. Perché?
«L’avvento dei social lo ha fatto diventare vecchio. Se cerchi una vetrina niente ti dà visibilità più del web. Per me è stata una fantastica gavetta. Lungo 15 mesi sei proprietà degli organizzatori e degli sponsor, la disciplina è ferrea. Ho viaggiato in tutto il mondo. Io ero inesperta, la mia famiglia peggio di me e di questo qualcuno si approfittava sfruttandoci a ritmo continuato. C’era ancora il vecchio patron Mirigliani, mi diceva sempre che così si impara, pure a farsi rispettare».
La bellezza è stata un aiuto?
«Assolutamente sì. Di contro venire da quel mondo non convinceva i registi. Io non l’ho mai vista come un freno».
Già pensava a fare l’attrice?
«Ma no. Poi girai un videoclip con Gianni Morandi e lì ho capito che mi piaceva interpretare un personaggio. Mi sentivo bene davanti alla macchina da presa. E ho studiato tanto».
Un regista con il quale vorrebbe lavorare?
«Paolo Virzì, che sa raccontare le donne con poesia e ironia e Gabriele Muccino, mi dicono che lavori in modo approfondito con gli attori. Mi sarebbe piaciuto un progetto brillante con Neri Marcorè che adoro. Qualcosa di divertente, per la prima volta». —