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 2023  novembre 14 Martedì calendario

Perché il paese è in balia dei tassi

Molti lettori si sono certamente trovati, almeno una volta nella vita, di fronte a un medico che prescrive loro una cura ma contemporaneamente li avvisa che questa ha “effetti collaterali”. Gli antibiotici possono provocare mal di stomaco, certi antinfiammatori, se utilizzati troppo a lungo, creano problemi al fegato o al cuore, e via discorrendo. Ebbene, qualcosa di simile succede anche a livello dei sistemi economici: le cure di alcune infermità delle nostre economie possono risultare efficaci ma creare contemporaneamente scompensi nuovi, non necessariamente meno seri dei mali che cercano di guarire.
Stiamo purtroppo sperimentando da un paio d’anni questa situazione nelle economie più ricche e avanzate del pianeta per effetto – tra l’altro – della guerra ucraina: le sanzioni alla Russia hanno contribuito fortemente a far scattare all’insù il prezzo dell’energia e hanno così innescato una spirale inflazionistica particolarmente pericolosa per l’Unione Europea che – a differenza degli Stati Uniti – dispone di poche fonti energetiche proprie. A questo punto, alle banche centrali – e in particolare alla BCE – non rimaneva altro da fare che alzare i tassi: a tassi più elevati si riduce la quantità di moneta in circolazione e quindi non solo l’inflazione ma anche il credito. Se tutto va bene, si riportano i prezzi verso la normalità, ma si inserisce un freno all’attività economica che riduce le prospettive di sviluppo e può incidere pesantemente sui divari socio-economici già esistenti. L’azione della banca centrale richiede pertanto una parallela azione dei governi per ridurre questi effetti collaterali di carattere sociale a cui si è accennato sopra. Il che, però, comporta normalmente un aumento della spesa pubblica; per produrre gli effetti voluti tale aumento dovrebbe essere compensato da un’equivalente riduzione di altre spese: a pochi mesi dalle elezioni europee, tutto ciò non sarebbe certamente popolare.La conseguenza di quest’intreccio tra economia, società e politica è un generale abbassamento delle previsioni di crescita dei principali centri internazionali di ricerca sull’attività economica di questi paesi nel 2023 e nel 2024 soprattutto per l’area euro e per il Regno Unito che nel 2024 (o, al più tardi, nelle prime settimane del 2025) dovrà far svolgere le elezioni politiche. Certo, il segno meno nella crescita non dovrebbe tornare e l’Europa (gli Stati Uniti in misura minore) dovrebbe oscillare sul crinale crescita-non crescita, la crescita “zero virgola” che l’Italia conosce bene da un paio di decenni.
In queste condizioni emergono atteggiamenti economici e creditizi che Luigi Grassia e Sandra Riccio hanno illustrato su La Stampa di ieri. Le imprese, a cominciare da quelle piccole e medie, trovano difficoltà crescenti a ottenere crediti e spesso devono rinunciare a investire, il che si traduce in un rallentamento economico. Per le famiglie nel loro complesso, la boccata d’ossigeno derivante dalla forte riduzione del prezzo dell’elettricità a partire dal secondo trimestre di quest’anno, risulta purtroppo compensata – e spesso più che compensata – dai rincari degli affitti e dal costo delle rate dei mutui.
Non si tratta di situazioni “drammatiche” ma sicuramente di situazioni scoraggianti. Sarebbe probabilmente necessaria una serie di interventi selettivi su aree geografiche e ceti sociali nell’ambito di un quadro di un’idea sviluppo a lungo termine. Ed è proprio questa prospettiva di sviluppo che manca alle forze politiche, al governo e al paese nel suo complesso. In sua assenza di quest’idea, il PNRR non può produrre il cambiamento profondo che era lecito attendersi; i giovani vanno all’estero. Anche perché quelli che restano molto spesso non trovano né stipendi adeguati né crediti sufficienti. —