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 2023  novembre 14 Martedì calendario

Il metronomo di Camilleri

Mi proclamo orgogliosamente corresponsabile di due dei tre episodi narrativi che compongono questa magnifica “compilation”. E che illustrano a perfezione una delle doti più universalmente riconosciute e stimate del Maestro: la sua impareggiabile generosità. Tutto cominciò intorno al 2005. Con Carlo Lucarelli nacque l’idea di un’antologia di racconti a sfondo poliziesco che potesse, allo stesso tempo, originare altrettante trasposizioni televisive. Un simile disegno non era concepibile senza la presenza di Andrea Camilleri.
L’idea, per nostra fortuna, gli piacque. Era stato a lungo uomo di televisione, ci spiegò. Non era mai stato preda dello snobismo che a volte inquina il rapporto fra l’autore letterario e l’adattamento per immagini della sua opera. Pose un’unica condizione: che il racconto non contemplasse la figura del commissario Montalbano, riservata, letterariamente, disse, a Sellerio: il rapporto che lo legava alla casa editrice era di profonda stima e autentica lealtà, e non di minore importanza era l’affetto che lasciava trasparire per la gente di casa Sellerio.
Nacque così Troppi equivoci, che venne inserito nell’antologia einaudiana Crimini. Un racconto contemporaneo dal ritmo incalzante che si dipana a partire da una citazione metalinguistica che sa di sapido ammiccamento – Bruno risponde per scherzo a una telefonata e viene scambiato per chi non è, e precipita in un’equivoca avventura così come il Cary Grant di Intrigo Internazionale – e prosegue in un crescendo di colpi di scena, agili e nervosi, nei quali la casualità gioca un ruolo determinante. L’antologia funzionò, e dal racconto di Camilleri fu tratto l’omonimo film per la Tv diretto da Andrea Manni e interpretato, fra gli altri, da Beppe Fiorello e Claudia Zanella. Ma questa è solo una parte della storia.

Visto che il colpevole, com’è noto, prova un’irredimibile attrazione per il luogo del delitto, qualche anno dopo tornai a importunare il Maestro con una nuova proposta. Si trattava ancora di un’antologia. Aveva per oggetto la figura e il ruolo del giudice. Correva l’anno 2010. L’idea era di raccogliere tre storie emblematiche (eravamo ancora insieme a Lucarelli), nelle quali i giudici non recitassero, secondo la vulgata dominante, il ruolo dei cattivi, ma, al contrario, fossero protagonisti in positivo. E così mi rivolsi ancora a Camilleri, che in più occasioni aveva preso posizioni pubbliche tanto equilibrate quanto ferme nel difendere non tanto i singoli giudici, quanto il ruolo istituzionale.
Mi ricevette nella sua storica casa in Prati un pomeriggio d’autunno. C’era un tempaccio che sembrava smentire tutti i luoghi comuni sulle gaie ottobrate romane. Camilleri era avvolto da una nube di fumo e vagamente polemico contro il “proibizionismo salutista” che si faceva strada a larghi passi. Gli ricordai un passaggio di un Montalbano di qualche tempo prima, il brindisi di un “parrino” (nel senso di Michael Corleone) all’annuncio della strage di Capaci. Mi raccontò della sua amicizia con il giudice Suriano, fine giurista e ancor più fine autore: io stesso, d’altronde, avevo incontrato Camilleri grazie al figlio Francesco. Poi, di colpo, dopo l’ennesima boccata, mi disse: «dalle mie parti c’è un’erba maligna che si chiama surra. È un’erba tenace, che non riesci ad estirpare. Ho sempre considerato la tenacia una qualità essenziale. Perciò scriverò un racconto che si chiamerà Il giudice Surra, dal nome dell’erba. Sarà un racconto storico. Si comporrà di quarantotto pagine. Te lo consegnerò il…» e sparò una data, di lì a un po’ di mesi. «Ma se l’hai già scritto» obbiettai «perché non me lo dai subito? Poi lo impaginiamo a tempo debito». Si irrigidì. Capii, dalla sua risposta, di aver sfiorato l’incidente diplomatico: «io non ho già scritto il racconto» puntualizzò, ora serissimo, «se l’avessi scritto certo che te l’avrei dato. Io so come lo scriverò perché già lo vedo. È il mio modo di procedere. Quando devo scrivere, subentra una forma di razionalità che prende la forma di una sorta di metronomo interiore. Un regolatore di ritmo che mi fa vedere in anticipo come sarà la storia che ho in mente, e quando sarà pronta». Fui fortunatamente perdonato. Il racconto venne consegnato esattamente nei tempi previsti. Finì nell’antologia Giudici. Constava di esattamente 48 pagine. Camilleri era stato di parola, e con una precisione che lascia sbalorditi. Il giudice Surra ci appare, a un primo livello, indifferente alle minacce mafiose semplicemente perché, neanche fosse un novello Mister Magoo, sembra non accorgersene. Pensi, leggendo: gli manca l’algoritmo per interpretare certi codici territoriali. Poi, però, ti viene un altro pensiero (che Camilleri, peraltro, suggerisce): Surra ci lascia intendere di non capirli, quei codici. In realtà, agisce nel modo migliore per neutralizzarli. Li ignora, procede dritto per la via maestra della giustizia. È “surra”, tenace e inestirpabile, perché questa è la sua natura. E in questa tenacia, in questa resistenza sta la forza del suo essere integerrimo magistrato. Un segnale sottile, e sottilmente “politico”, di quelli che solo Camilleri, nella leggerezza del suo fluire narrativo, sapeva comunicare. Il medaglione, infine, è una storia profondamente camilleriana, una novella gentile nella quale il Maestro dimostra, una volta di più, la sua personalissima, e per certi versi unica, abilità nel declinare il genere poliziesco secondo una ricca pluralità di registri. L’impianto è “mistery”, ma il mistero in questione attiene alla sfera più intima dei sentimenti: è un mistero della memoria, e nello stesso tempo dell’anima. In termini di giallo classico, il finale del Medaglione equivale alla scena in cui il detective smaschera il colpevole, riaffermando il primato della giustizia.
Se sostituiamo alla giustizia degli uomini la serenità di un animo tormentato, vediamo come, ancora una volta, Camilleri sia riuscito a piegare le regole del genere alla sua inimitabile polifonia, qui declinata sulle note tenere e patetiche di una sinfonia campestre. E, nello stesso tempo, questo girotondo di vite ordinarie illuminate da un’ironica “pietas” ci ricorda che, fra le radici del Maestro, si annidano i profili mesti e severi di tanti “vinti” di verghiana memoria.
Il libro – Il giudice Surra e altre indagini in Sicilia di Andrea Camilleri (Sellerio, pagg. 192, euro 14)