Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  novembre 14 Martedì calendario

Intervista ad Amitav Ghosh

Quando Amitav Ghosh si collega su Zoom, a Milano il Seveso è appena esondato, la Toscana sta per finire sott’acqua e la guerra in Medio Oriente si fa sempre più drammatica. Lo scrittore, nato in India e residente a New York, è preoccupato: «Siamo dentro alla Terza guerra mondiale». Autore del pamphlet La grande cecità, che nel 2017 ha affrontato il tema del cambiamento climatico, Ghosh è a Torino dove ha tenuto un workshop sull’ambiente e sta per partire per la Svizzera dove riceverà la laurea honoris causa dall’Università di Lucerna.
Dopo Jungle nama, il libro scritto in versi illustrato dall’artista Salman Toor, Ghosh pubblica una nuova fiaba ecologista: La montagna vivente (Neri Pozza) è la storia di una comunità che vive in armonia in una valle dove cresce un albero magico che produce miele, frutti e una miracolosa noce. La valle è sovrastata dalla Grande Montagna, venerata dalla popolazione che non ha mai messo piede alle sue pendici. Fino a quando un popolo invasore, gli Anthropoi, armato fino ai denti, non forza i confini per invadere la valle e il monte e rendere schiavi gli abitanti.
Ghosh, perché un’altra favola?
«Mi avevano chiesto di scrivere qualcosa sull’antropocene, ma è un concetto problematico: sono solo gli uomini responsabili del riscaldamento globale o tutti gli esseri umani? Tutti gli esseri umani sono responsabili dell’emissione di gas serra o solo quelli che vivono nei paesi ricchi? Non volevo scrivere una disquisizione accademica sull’argomento, quindi ho buttato giù la mia piccola favola. È importante cercare di aiutare i bambini, che sono il futuro, a pensare a come il loro mondo sta cambiando e alle ragioni per le quali sta cambiando».
La Grande Montagna, metafora del pianeta, parla, vibrando, ad alcuni abitanti della valle: cosa sta cercando di insegnare loro?
«Spetta al lettore indovinare. Non lo so. Forse che non devono immaginare di prendersi cura della montagna: è la montagna a prendersi cura di loro».
Ha scritto “La grande cecità” nel 2017, ma molto poco è cambiato: perché è così difficile affrontare l’emergenza climatica?
«Ho visto le immagini di Milano dopo l’esondazione del Seveso: molti degli intervistati citavano il cambiamento climatico. Penso che le persone siano sempre più consapevoli che c’è un problema. Ma la classe politica sta andando completamente nella direzione opposta. Giorgia Meloni e il suo governo sembrano rafforzare la negazione del clima. La stessa dinamica alla quale stiamo assistendo in tutto il mondo. Quello a cui prestiamo attenzione sono gli effetti secondari, vale a dire le guerre che in questo momento si stanno svolgendo in tutto il pianeta con effetti devastanti».

Ritiene che il cambiamento climatico sia in qualche modo responsabile dei conflitti?
«Sì, in un modo complicato perché ovviamente non è il cambiamento climatico a dare inizio alle ostilità, ma i combustibili fossili fanno parte degli scenari di guerra. Il gasdotto Nord Stream (quello che, attraverso il Mar Baltico, trasporta gas dalla Russia all’Europa, ndr) è stato per lungo tempo una delle principali preoccupazioni dal punto di vista strategico. E allo stesso modo il Medio Oriente è coinvolto da tempo in tutti i tipi di conflitti sui combustibili fossili. Ne La maledizione della noce moscata, ho scritto che il mondo si sta preparando al cambiamento climatico armandosi per dare vita a nuovi conflitti. E penso che la situazione potrà solo peggiorare: quello che stiamo vivendo è l’intersezione di molteplici crisi».
Quali?
«C’è la perdita di biodiversità, c’è una crisi di migrazione di massa in tutto il pianeta. Poi ci sono le pandemie, e sono sicuro che ne vedremo altre, e una massiccia crisi geopolitica in vista. Vediamo Paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti che sono completamente polarizzati al punto da riuscire a malapena a funzionare per settimane. C’è stato un tempo in cui le persone ovunque vivevano più o meno in modo sostenibile. È solo negli ultimi cinquecento anni che il colonialismo e il capitalismo hanno creato questa traiettoria sulla quale ci troviamo ora, che sta letteralmente condannando la nostra esistenza su questa pianeta».
Ci aspetta un futuro nero?
«Non sono un catastrofista, ma penso che dobbiamo ammettere che le cose vanno molto male. La calotta glaciale antartica sta crollando, la corrente di ribaltamento dell’Atlantico sembra rallentare, un disastro di una portata che non possiamo nemmeno immaginare. All’interno dell’Himalaya, i ghiacciai si stanno sciogliendo a un ritmo incredibile. Questo vale anche per le Alpi. E allo stesso tempo il mondo è inghiottito da così tante crisi che è davvero difficile riprendere fiato da un giorno all’altro. Da una guerra si passa ad un’altra».
Le guerre ci impediscono di preoccuparci e agire per il pianeta?
«Di fronte alle immagini di persone che muoiono, di bambini che muoiono, è molto difficile dire alla gente che dovrebbe pensare alla sua impronta di carbonio. Anche se le diseguaglianze di potere e le diseguaglianze geopolitiche sono alla base del cambiamento climatico così come delle guerre intorno a noi».
Il conflitto in Medio Oriente sta polarizzando l’opinione pubblica come mai successo prima tra pro e contro Israele: che cosa ne pensa?
«L’attacco di Hamas del 7 ottobre ai civili israeliani è ripugnante e riprovevole. Ma allo stesso modo, ritengo che questa punizione collettiva di massa degli abitanti di Gaza e il tributo di civili siano del tutto inaccettabili. Sono d’accordo con le richieste di un cessate il fuoco immediato. Ma la Nato ha assemblato la più grande flotta della storia proprio al largo delle coste di Israele. A quanto pare, anche la Turchia sta inviando navi, i russi stanno già pattugliando il territorio, con aerei che possono colpire queste navi. Siamo effettivamente nella Terza guerra mondiale. E la cosa più spaventosa è che non ci sono diplomazia, né comunicazione».
Lei dice spesso che la produzione di armi incentiva la guerra.
«Nel 2015, durante l’incontro di Parigi, i paesi ricchi hanno promesso di istituire un fondo globale di mitigazione per compensare i paesi poveri e aiutarli a prepararsi al cambiamento climatico: un fondo di 200 miliardi di dollari. Penso che solo un decimo del denaro sia stato effettivamente versato. Da allora a oggi, i paesi di tutto il mondo hanno aumentato la spesa per la difesa di un trilione di dollari. Quando le industrie degli armamenti e i loro lobbisti sono così potenti, c’è una sorta di spinta istituzionale verso il conflitto. E allo stesso tempo: quando si assembla una flotta di centinaia di navi da guerra davvero potenti, come può non andare storto qualcosa?».
Cosa può fare la letteratura?
«Anche solo pensare che gli scrittori facciano una sorta di differenza è difficile se non delirante. Penso che se vogliamo fare qualcosa in relazione al futuro, dobbiamo solo cambiare la nostra idea di cosa sia una vita bella, di cosa la renda degna di essere vissuta. Le storie contano».
E cosa possono fare i cittadini di fronte a scenari così complessi?
«Come collettività penso che dobbiamo cercare di esercitare la nostra influenza politica unendoci ad altre persone nel tentativo di convincere la politica a prestare attenzione al cambiamento climatico: dire che questi problemi ci preoccupano e guideranno il nostro voto».