Corriere della Sera, 13 novembre 2023
Biografia di Willy Pasini raccontata da lui stesso
A 85 anni, Willy Pasini ha l’energia e il senso dell’umorismo di un ragazzo, anche quando racconta che ha avuto un cancro, la leucemia, dieci operazioni e giura di vivere con mezzo cervello da un quarto di secolo. Gioca a golf tutti i sabati con la moglie, riceve ancora pazienti il mercoledì e ancora gira il mondo a caccia di cascate e quadri del Settecento. Nella sua carriera, ha fondato la Federazione Europea di Sessuologia, l’Associazione Italiana di Sessuologia e Psicologia Applicata, ha insegnato alla Sorbona di Parigi e per decenni a Ginevra, dove tuttora vive, e ha scritto una decina di best seller per Mondadori, vendendo sette milioni di libri in 14 Paesi. Per farsi raccontare la sua vita, bisogna mettersi comodi.
Prof, quando e come diventa sessuologo?
«Non è stata vocazione. È una passione che mi è arrivata coi soldi. Deve sapere che il mio primo ricordo da bambino è ai giardini pubblici, a Milano: sento le sirene, cadono le bombe. Scappiamo a Lenno, sul lago di Como, e lì veniamo bombardati di nuovo e mitragliati. Fino a sette anni, ho vissuto in guerra e, quando ti cadono le bombe in testa, non sai come difenderti e impari solo ad avere paura, per cui, sono cresciuto timido, non combattivo, privo di grinta».
Questo che c’entra con sessuologia e denaro?
«C’entra. Ho avuto anche un papà debole, io dico “un economista perdente”, perché sentivo sempre mamma dirgli: tu perdi i soldi, non fai mai gli affari giusti. Ma per fortuna, sono cresciuto soprattutto coi nonni: uno piemontese, luminare di ginecologia, gli altri due di Murano. Il nonno veneto soffiava il vetro e due suoi fratelli sono stati fondamentali per me: uno era vescovo a Brescia, padre spirituale di molte coppie con matrimoni bianchi e mi spiegava che il loro problema era la timidezza; l’altro era il suo contrario, un pittore che aveva molte amanti e le dipingeva tutte sui muri di casa. Ogni volta che andavo a trovarlo, le vedevo aumentare».
Fu affascinato, dunque, dai due estremi: i casti e i libertini?
«Aspetti. Prima, devo dirle che ero mancino e, che alle elementari, mi corressero imponendomi l’uso della mano destra e bloccandomi la creatività. Facevo disegni bellissimi e, dopo, passai a ricopiare fiori e foglie senza alcun talento. Insomma, timido, censurato nella creatività, studiai Ginecologia, come il nonno, ma da ginecologo mi annoiavo e mi misi a studiare Psichiatria. Il mio primo paziente era un operaio psicotico di San Siro, innamorato della sua cavalla. Non sapevo che fare. Chiedo al primario e lui mi dice: dagli della biada, così vedrà che non è un cavallo. Il livello della Psichiatria in Italia era questo».
E così va in un ospedale psichiatrico svizzero.
«Qui arriviamo ai soldi e alla grinta ritrovata... La mia vita cambiò, perché affrontai una psicanalisi personale e imparai a combattere per quello che volevo. La mia fortuna fu che la Ford Foundation stanziò dieci milioni di dollari per studiare le resistenze alla contraccezione e io, da ginecologo e psichiatra, vinsi il posto. In pratica, iniziai a occuparmi di sessuologia perché arrivò quel finanziamento. Lavorai tanto. I giovani non usavano i preservativi, per convincerli inventai quelli colorati, quelli con le barzellette e quelli che si illuminavano di notte. Mi era tornata anche la creatività».
Soldi, autostima, prestigio.
«Il secondo colpo di fortuna fu un ricco omosessuale di Ginevra che destinò i suoi averi ad aiutare le minoranze erotiche. Soldi che nessuno voleva, ma coi quali io aprii un dipartimento di Ginecologia Psicosomatica e Sessuologia».
Come si riavvicina all’Italia?
«Per aiutare la pianificazione dei primi consultori che si occupavano di contraccezione. Arrivai con la forza sovranazionale dell’Organizzazione mondiale della Sanità per la quale tenevo seminari sulla salute sessuale e i cattolici non poterono fermarmi. Il presidente Sandro Pertini mi fece Cavaliere e poi Commendatore della Repubblica, il che mi diede lo slancio per fondare la prima Federazione Europea di Sessuologia».
E in Italia, creò una scuola specialistica.
«Ero presidente, poi, due anni fa, mi hanno diagnosticato la leucemia e promesso una morte vicina e sono passato a presidente onorario. Ma sono sopravvissuto, anzi, sto benissimo».
Da esperto di psicosomatica, com’è scampato alla morte?
«Non so: mi sono cambiati i geni. Ho fatto una puntura nel midollo osseo ed ero già guarito. Penso di avere un angelo che mi protegge, perché ho rischiato la vita almeno cinque volte».
Le altre quattro?
«Ho avuto il cancro a 40 anni. È lì che ho iniziato a scrivere libri divulgativi. Avevo pensato: non so quanto mi resta da vivere, tanto vale fare le cose che mi piacciono. Stranamente, ho venduto sette milioni di copie».
Come se lo spiega?
«Forse, perché scrivo come se dipingessi quadri: mi torna la vena creativa. A Ginevra, ho avuto Paulo Coelho come vicino di casa. Gli chiedevo sempre: come faccio a passare da sette a 70 milioni? E lui: mettici più spiritualità».
Le altre volte che ha rischiato di morire?
«Sotto le bombe, naturalmente. Poi, in un incidente d’auto e poi, a 60 anni, ho avuto un trombo al cervello su un aereo per Hong Kong. Da allora, funziono con mezzo cervello».
Adesso, sta esagerando.
«No, no. Prima, pensavo due cose alla volta, ora devo stare attento a quello che dico».
Parlava di un angelo custode. È credente?
«Nessuno: a Milano, ho studiato al Gonzaga, un liceo di preti. Ci ho incontrato prof straordinari ma anche dei pedofili, come padre Giacinto, che ha dato un colpo mortale alla mia fede».
Padre Giacinto la molestò?
«Mi sono divertito a rimetterlo a posto più di una volta».
Nel ’92, Sergio Zavoli, intervistandola sul Corriere, le chiese «che cosa sopravvive delle vecchie oscurità, generatrici di sensi di colpa, frustrazioni, errori?». Oggi, che risponderebbe?
«Che il tradimento resta sempre difficile da digerire. Specie quello della donna. In origine, non era accettato perché poteva portare un figlio di padre incerto, oggi non lo è perché sopravvive il senso di possesso del corpo della donna».
Al Corriere, più di recente, ha detto di un patto con sua moglie: siete fedeli solo in Svizzera.
«Ai tempi degli hippy, a Los Angeles, due amici ci proposero lo scambio di coppia, rifiutammo, ma dopo, parlandone, concludemmo che non avevano torto. Lo scambismo però non ci attirava e ci organizzammo diversamente».
È un patto che consiglierebbe?
«Certo: come si fa a essere fedeli per 50 anni? La fedeltà di cuore è più importante».
Ha raccontato di tradire ai convegni. A 85 anni, è ancora infedele?
«Purtroppo, ai convegni, vado meno spesso».
Da quanti anni sta con sua moglie?
«Da 57. Abbiamo cinque nipotine e due figli maschi, uno crea robot; l’altro crea strumenti finanziari. Giocavo a tennis e l’ho vista passare. È stata una frazione di secondo. Dopo, mi sono informato, ho saputo che faceva l’infermiera e mi sono presentato durante il turno di notte».
Che aveva colto in una frazione di secondo?
«Il modo di camminare. Se avesse camminato come un marinaio, non mi sarebbe piaciuta. E aveva gli occhi azzurri come l’amata tata di quando ero bambino».
Alla fine, qual è la ricetta per stare insieme per tutta la vita?
«Abbassare le ambizioni della coppia. Sapere che non si può essere sempre ai massimi. E parlare molto. Noi ci confrontiamo tanto anche sulla psicoterapia, lei è una pioniera dell’Emdr. Ed è utile un hobby in comune: per noi è il golf».
Per quale contributo alla sessuologia le piacerebbe essere ricordato?
«Negli ultimi anni, ho lavorato soprattutto sulla civiltà del benessere, ma avrei dovuto lavorare di più sulla civiltà dell’odio: avrei dovuto fare criminologia invece che sessuologia».
Diventò popolare grazie a Maurizio Costanzo. Che ricordi ha di lui?
«Se la puntata era fiacca, mi sussurrava: mettiamo un po’ d’incendio. Eravamo compari».
Uso il titolo di un suo best seller per chiederle: a cosa serve la coppia?
«Deve essere tana, tenerezza, affetti stabili. Ma oggi, le si domanda una cosa che, prima, si chiedeva all’amante: di essere sempre come chi fa bungee jumping sui ponti con l’elastico».
Un caso bizzarro di cui si è occupato?
«Sono stato il ginecologo psicosomatico di un harem di ventotto donne perché la moglie principale non riusciva a restare incinta. Le altre erano nell’harem per ragioni politiche, per tenere buone tribù del deserto e delle montagne, così, la prescelta, ogni giorno, riceveva il loro odio. Feci costruire uno spazio architettonico per lei, dove poteva isolarsi: tra tanto astio, ovulare era impossibile. La donna ha avuto due figli e sono diventato famoso nel mondo arabo».
Perché non si è stancato di vedere i pazienti?
«Lo faccio un giorno alla settimana per pagarmi le vacanze più belle».
Ne ha bisogno?
«No, ma i guadagni dei libri li ho messi in quadri del Settecento veneziano. Amo le atmosfere romantiche. Quando viaggio, lo faccio per giocare a golf, comprare quadri o fare il giro delle cascate più belle del mondo. Tutta quell’acqua che scende mi dà un senso di sovrapotenza».
Collezionava statuine falliche precolombiane, davvero le mise all’asta perché si era stancato di vedere sesso ovunque?
«In realtà, fu per comprare un quadro caro».
Per finire, diventeremo tutti fluidi?
«Si va in questa direzione, che non è fluidità, ma narcisismo: oggi, conta il desiderio che parte da sé, poi, l’oggetto d’amore è intercambiabile. A me spiace, sono un romantico».
E il romanticismo è finito?
«Spero di no, ma è innegabile che oggi le persone hanno più paura del cuore che del sesso».