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 2023  novembre 13 Lunedì calendario

Intervista a Bianca Pitzorno

«Mi sono innamorata quest’estate. Pazzamente. Ha novantuno anni. Dieci più di me».
E ora state insieme?
«Ma no». Come un’adolescente, Bianca Pitzorno si diverte a sembrare stupita dalla domanda. «Non ci siamo mai parlati. Abbiamo ricevuto insieme l’onorificenza di Custos Civitatis a Cagliari. È un noto neuropsichiatra, carriera in California, ora tornato in Sardegna. Studia la memoria delle lumache, hanno le loro madeleine anche loro. Scriva il nome! Gli facciamo la dichiarazione a mezzo stampa».
Sempre al Corriere, anni fa, alla domanda se avesse avuto grandi amori rispondeva: «Fidel Castro». «Era vero. Io amo da lontano, come i trovatori». Al luminare che l’ha ammaliata dedica un passaggio del suo nuovo libro A chi smeraldi e a chi rane (Bompiani), in cui «racconto la mia vita tramite i miei animali». Inizia con una serie di tartarughe: «Tra la prima, datata 1946, e l’ultima, del 2019, è cambiata tutta la società italiana». E varie generazioni sono cresciute divorando i suoi Ascolta il mio cuore, Speciale Violante, Extraterrestre alla pari.
Eppure da più di vent’anni ha smesso di scrivere per ragazzi. Perché?
«Perché i bambini che conoscevo io, i figli dei miei cari, sono cresciuti: non ho più saputo come i bambini vivevano. E sono cresciuta anche io. Una donna che invecchia, che non ha più l’età né per avere un figlio né travolgenti amori, a meno di non venire sbeffeggiata, cambia sensibilità. Cambia problemi».
Non si è mai sposata. C’è un momento in cui l’ha deciso?
«No. Ma non ho incontrato nessuno con cui avrei voluto stare perennemente».
E uno in cui ha deciso che sarebbe stata una scrittrice?
«No. Quando sento le testimonianze delle attrici che dicono: sono stata costretta ad accettare molestie perché volevo a ogni costo fare il mio lavoro, penso che non ho mai voluto nulla fino a questo punto. Quel che ho fatto, lo devo a incontri fortunati».
Per esempio?
«Uno tra i tanti: Cino Tortorella. Confinato alla fama di Mago Zurlì, era un raffinato intellettuale. Suo figlio Davide, conosciuto quando aveva dieci anni, è ora uno dei miei più cari amici».
Chi sono i suoi amici?
«La bruttura della mia età è che persone con cui avevi grandi conversazioni muoiono. O svaniscono nella demenza. Mi succede ormai così spesso... un’amica, Arianna, mi mandava una poesia al giorno. A un certo punto ha smesso e giorni dopo qualcuno mi ha detto: sai che è morta? Però ho amici più giovani. Li ho sempre avuti».
Sono suoi antichi lettori?
«Molto spesso. Scrivono ancora, dopo anni. Poco fa è arrivato un mazzo di fiori: me lo mandano tre maestre, grate per i miei libri».
Dà loro consigli?
«Dico alle donne di essere avare. Di risparmiare per sé, per poter mandare a stendere un marito, un ufficio. E di non accontentarsi. Per non star sole stanno con certi mostri!»
La ascoltano?
«No».
Lei lasciò ad esempio una carriera in Rai, negli anni ‘70.
«Arrivavano i socialisti, fautori delle tv private. Noi funzionari avevamo una biblioteca, un direttore la mandò al macero e ci fece il bar».
Tra i suoi programmi per ragazzi uno va ancora in onda: «L’albero azzurro».
«Mi chiamarono nel 1990 per fare un programma per bambini in stile Bbc. Lavoravamo con la facoltà di Pedagogia di Bologna. Con la pubblicità eravamo rigidi: non volevamo spot di giocattoli, perché spiegavamo come farseli. Poi arrivò il 1994, bisognava commercializzare tutto: del pupazzo Dodo volevano fare una bambola. Dicemmo no, e ci spostarono la mattina alle 7. Me ne andai anche di lì».
Esistono nicchie di libertà?
«Mah. Ogni tanto qualche tesista mi chiede: come elabora lei un progetto editoriale? Domande così. Ma cos’è un progetto editoriale? Non si fanno più vivi».
I suoi libri sono ancora tutti in catalogo.
«Tutti. I diritti di Ascolta il mio cuore mi permettono di scrivere libri per adulti, che non hanno tirature grandi. Extraterrestre alla pari, del 1979, molte scuole lo adottano. Qualcuna lo bandisce».
Parla di un alieno che non sa di che sesso è: un libro sulla fluidità, ante litteram.
«Ma persino Ascolta il mio cuore viene bandito. In tre righe, su 300 pagine, la bambina protagonista dice che da grande farà la torera, e che se servirà cambierà sesso. Dicono: ecco la teoria del gender».
Perché questo accanirsi?
«Il mondo è pieno di viziosi, che proiettano sugli altri i propri disturbi. In Regno Unito hanno voluto tradurre una mia favola del 1988, Streghetta mia. Un giovanotto avido deve sposare una strega per poter ereditare. Ne trova una, ma è una neonata. Fa di tutto per rapirla. Mi hanno detto che educavo alla pedofilia».
In «Ascolta il mio cuore» (1991), la scuola svantaggiava i poveri. È ancora così?
«Il bambino povero è sempre svantaggiato. Facevo il doposcuola ai bambini zingari, i poveri tra i poveri: nessuno assume una domestica o un autista zingaro. Gli chiedevo cosa farai da grande? Non capivano proprio la domanda».
Com’è cambiata l’infanzia?
«La famiglia allargata è sparita: anche grazie a noi, che abbiamo avuto pochi figli. I genitori badavano a poco, l’idea che un bambino potesse avere un complesso non li sfiorava. Oggi è centrale».
Nel libro racconta che da bambina portava un papero al guinzaglio. Perché glielo permettevano?
«Allevavo anche pipistrelli. Ero una bambina strana e i miei lo tolleravano. Ho dato più filo da torcere da grande».
Come?
«Mi volevano prof di latino e greco, sono entrata alla Rai. Mio padre non mi ha perdonato. Radiologo, veniva a Milano ai convegni. Non mi è venuto a trovare mai».
Lei ne ha sofferto?
«Non lo capivo».
Lei e Michela Murgia eravate grandi amiche. Anche lei ha una sua famiglia queer?
«Siamo di generazioni diverse. Ai miei tempi c’erano le comuni. Senza ruoli, non c’erano figli di anima. Noi proprio la famiglia la odiavamo. Quell’idea l’ha elaborata Michela e penso valga soprattutto per lei e i suoi. Come l’idea di educare un altro adulto più giovane: io da giovane non avrei accettato una madre adottiva! Nemmeno una come Michela. Infine non credo, come diceva lei, che il sangue non conti nulla».
Cioè?
«Costruisco da sempre mobili, armadi. Ho scoperto che mio bisnonno, medico, faceva lo stesso».
Perché scrive di animali?
«Sono un tema di attualità. Io ammiro Greta Thunberg. Questi ragazzi sono spaventati. Da due secoli il pianeta viene massacrato: nessuno vuole rinunciare a niente».
Lei a cosa rinuncerebbe?
«Alla macchina. La carne provo ogni tanto a toglierla, ma dopo un mese ho l’anemia. Però ci va rispetto per gli animali. E per le piante: l’Amazzonia che brucia, la mia Sardegna piena di incendi appiccati da stronzi. In questo senso sono contenta di essere vecchia. Non voglio vedere come finirà».