la Repubblica, 13 novembre 2023
Quel che resta di Mussolini in questa politica
Primaancoradisoppesare le fortune elettorali di Giorgia Melonichehanno portato la destra estrema erede del Msi alla guida del governo, e prima di interrogarsi sul suo destino, forse bisognerebbe chiedersi com’è avvenuta quella trasmissione ereditaria dopo 21 anni di dittatura e la lunga stagione della democrazia repubblicana: che sembrava aver chiuso i conti col passato, all’ombra dell’Europa delle Costituzioni, dei diritti edelle libertà.E in parallelo, sarebbe giusto domandarsi come mai il sentimento civile dell’antifascismo è diventato una stella fredda, declinando progressivamente e perdendo intensitàcolpassaggiodisecolo,come senelmondonuovoincuiviviamo potesse sopravvivere soltanto disincarnato, senza più un significato riconoscibile e soprattutto riconosciuto.
LofaincentopagineAntonioScurati, con un saggio (Fascismo e populismo. Mussolini oggi,Bompiani) che siinserisce nello studio dell’autore sulla figura e la natura del Duce romanzate con gran successo per M,ma allarga il campo, indagando il carattere politico degli italianie cercandonella psicologia di massa del ventennio i segni di una persistenza, o di un’inclinazione. Per spiegare subito che il vero pericolo oggi non è per la tenuta della democrazia, ma per la sua qualità: così come il rischio autentico non viene dalla galassiadigruppiemovimentiapertamente neofascistie neonazisti,chepure esistono e agiscono ma non sonoun’avanguardia, bensì una forza sparsa di retroguardia. Piuttosto paghiamo il prezzo, come Paese, di non aver mai fatto davvero i conti con la storia, assumendo la responsabilità di aver inventato il fascismo e di averlo poi seguito senza quel processo di consapevolezza che consente il superamento del passato, a differenza della Germania: che ancora oggidavanti alla tragedia di Israele e al dramma di Gaza si fa carico nelle parole del Cancelliere del peso della storia.
Noi invece stiamo assistendo inerti a uno «smottamento del sentimento democratico dei nostri padri e delle nostre madri», dubitando delle promesse della storia che proiettava le speranze nel futuro, anzi ideologicamente nell’Avvenire. Così ci siamo accontentati del presente, accorciando i nostri orizzonti e le nostre pretese. E queste esistenze rimpicciolite, non più attraversate dalla coscienza del tempo grande della storia, rischiano di diventare il recipiente naturale della modernainsidia:ilpopulismoeilsovranismo chesfidanoledemocrazieliberali, cavalcando la potenzadelle crisi diverse ma congiunte che devastano la fase.
Attenzione, avverte Scurati, perché Mussolini non è soltanto l’inventore del fascismo, ma è anche il primo interprete dell’eterno populismo italico, scorciatoia e tentazione ricorrente fin daun precisomomento fissatonella cronaca:l’epoca della“vittoria mutilata” dopo la prima guerra mondiale, alba e crepuscolo insieme quando Il Duce, randagio senza partito e senza pubblico, salì spinto dall’istinto sul camion degliArditi, «éliteguerrieraefeccia dell’esercito», portando la violenza dalle trincee alle strade delle città, e trovando una macchina da guerra in tempo di pace, con cui dispiegare la violenza squadrista.
Ma mentre “stupra” il Paese, spiega Scurati avvertendoci di non considerarci assolti, Mussolini lo seduce. Ed è ilMussolinipopulistachecompiequest’opera, attraverso un’immedesimazione personalistica («Io sono il popolo, ilpopolosonoio»)chetrasformaimmediatamente i suoi avversari in nemici del popolo, mentre innova il linguaggio giornalistico con frasi brevi chesonogiàslogan,costruzionisintattiche elementari e immediatamente popolari,unaretorica titanicaeimmaginifica dalla cifra militare e insieme militantecheproduceunprogettopolitico dominato dalla tattica, spregiudicato e svincolato da qualsiasi coerenza, privodiogniquintessenza,dunque programmaticamente cavo per essereriempitoognivoltadalleconvenienze del momento. «Io sono vuoto diprogrammi – diràIl Duce – per riempirmi degliumoridellagente.Nonfaccio politica, ma antipolitica». E inf atti il concetto di “gente” è già una degradazione impolitica dell’idea di popolo, così come la cacciaagli umori diffusi, ieri e oggi, finisce per nutrire l’epoca dimalumori,investendosulrisentimento più che sull’emancipazione, sull’invidia sociale e sulla frustrazione, sull’autoinganno continuo di una congiura delle élite che tiene il cittadino nella condizione gregaria e avvilita di una minorità permanente. Pronto a recepire a questo punto il dileggio mussoliniano delle istituzioni, il disprezzo del parlamento, la polemica (presa a prestito da D’Annunzio) sulla «castadei nuovi marajà».
Si comincia a intravvedere una discendenza sia pure indiretta tra ieri e oggi. Soprattutto nella trasformazione del leader in follower, “l’uomo del dopo” che segue opportunisticamente l’ondeggiare delle masse invece di guidarle, pronto a cavalcare qualsiasi onda purché lo trasporti nel suo movimento, con l’azione che soppianta la strategia, la brutalizzazione della vita politica che ne deforma il costume, nella condanna definitiva della democrazia, col suo superamento. «È finito il secolo democratico – spiega Il Duce nel ’22 –, il secolo del numero, della quantità, della maggioranza. Lo Stato di tutti ritorna ad essere lo stato di pochi. Pochi, ed eletti».
Per giungere fin qui bisogna raggiungere l’anima del Paese, mortificandola. Avviene con l’annichilimento della speranza, sostituita dall’unica passione più forte,la paura.
Che una volta insediata nel Paese, e dominante, verrà incurvata nella sua dimensione più aggressiva, l’odio, in unacommutazionealchemicatrailtemere e l’odiare. La realtà così trova la suasemplificazione: tuttoè riconducibile a un unico problema, che si incarna nella figura di un nemico, il quale è lostranieroinvasore: sesi eliminaquesta presenza abusiva il problema è risolto. Fine. Questo verbo si fa carne nel corpo del Duce, anzi nell’abuso di presenza corporale, nell’ostensione sovrabbondante di posture, divise e espressioni che riemergendo dai filmati “Luce” più che una testimonianza sembrano una lontananza impossibile da colmare. Ma pensiamo al ritorno dellasimbologiacorporaleconl’unzione sacra che Berlusconi impartiva ritualmenteasestesso,alsegnale diriconoscimento implicito – non estetico, ma etologico – che Trump manda alforgotten man americano attraverso l’irritualità dei suoi gesti, l’irriducibilità della sua capigliatura, l’indocilità incorreggibile del suo muoversi dentro, fuori e contro il sistema. «Una comunicazione viscerale si antepone a quella intellettuale, perché non tutti hanno un dottorato, ma tutti hanno uncorpo».
Siamo già oltre la riproduzione di un modello, l’eredità magari illegittima è stata accettata, innovata, oggi è all’opera e – attenzione – non solo a destra, ma anche tra le file di quella che Sofri ha incominciato a chiamare «la sinistratravirgolette»:sicuramentesedicente, forse abusiva, magari inconsapevole del mulino dove porta la sua acqua,ma certamente populista.
Chefare?«Bisognariprenderelalotta per la democrazia – dice Scurati –, guadagnandoci l’eredità antifascista dei nostri padri». L’alternativa è la resa davanti al monito di Paul Valéry: «Oggi le civiltà sanno di essere mortali».
L’unico problema si incarna nella figura di un nemico, il quale è lo straniero invasore: se si elimina questa presenza, il problema è risolto