La Repubblica, 13 novembre 2023
Intervista all’uomo che ulula ai lupi
Cappuccetto Rosso? «Imbrogliava tutti, compresa la nonna». La favola sul lupo cattivo ne usciva sempre ribaltata, quando Luigi Boitani la narrava alla figlia. Poi lei è cresciuta e il padre, zoologo della Sapienza, si è fatto perdonare. «L’ho portata una notte in tenda a sentire gli ululati. Si è davvero emozionata».
Di lupi, spiega il pioniere delle spedizioni sul campo, che sa dove si trova pressoché ogni branco italiano, ne esistono infatti due. «Uno fantastico e uno reale. Il primo nasce da un’infinità di storie. Il secondo è un animale in carne e ossa». Dietro alle orme del secondo, Boitani cammina da cinquant’anni (oggi ne ha 77). Nel ’71 ha condotto per il Wwf il Progetto Lupo e ha poi scritto un libro divulgativo all’avanguardia: “Dalla parte del lupo”. Altro che Cappuccetto Rosso. Nel Parco d’Abruzzo nel ’73 ha catturato il primo esemplare italiano. Nella foto compare con l’eskimo e l’animale semiaddormentato in braccio. «Al primo morto invece mi feci un pianto notevole», racconta.
Come si inseguono i lupi?
«Usiamo tagliole che bloccano la zampa senza far male. Poi lo addormentiamo giusto il tempo di mettere il radiocollare. Nel 73 sono stato il primo in Europa ad allacciarne uno a un lupo. Oggi usiamo i collari gps che si controllano da casa. Allora invece c’era solo la radiotrasmittente del collare. Dovevi camminare dietro al lupo con l’antenna in mano seguendo il bip, e d’inverno con la neve aiutarti con le tracce».
Ma non fa paura?
«Mai avuto paura del lupo. Diverso è quando ti corrono incontro i cani maremmani dei pastori. Le marce in montagna con l’antenna erano faticose, certo, ma ti permettevano di vivere accanto ai branchi. Ho imparato a osservare i lupi così,dormendo di giorno e spostandomi di notte. Devi ascoltare come loro, sentire il vento e muoverti come loro. Arrivi per forza a pensare come un lupo».
Si è fatto degli amici?
«La mia amata era una lupa che viveva sola ai margini del branco, sulla Maiella. Non c’era molto da cacciare e si nutriva di immondizia.
L’ho seguita per oltre un anno e sono sicuro che anche lei mi riconoscesse».
È più cattivo il lupo o l’uomo?
«Potrei parlare due ore delle loro caratteristiche senza che si capisca se mi sto riferendo all’uno o all’altro.
Siamo molto simili. Per questo ne abbiamo paura».
Lei sa parlare con i lupi?
«Se lancio un ululato mi rispondono.
Soprattutto i cuccioli, con quella loro voce immatura. Dove vivo, vicino Siena, un branco ha fatto la tana a 400 metri da casa. Un giorno mi sono affacciato nel cavo di un tronco dovemi aspettavo di vedere un istrice e ho trovato una cucciolata di lupacchiotti ancora con il cordone ombelicale».
Com’è nata una passione così?
«Da piccolo volevo un bosco. Non una casa nel bosco, proprio un bosco.
Sono nato a Roma, ma mi sono avvicinato alla natura con i boy scout. I miei mi volevano ingegnere, ma dopo la bocciatura in fisica decisi di fare il pescatore. Fai il pescatore, disse mio padre, ma con un pezzo di carta. Mi iscrissi a biologia».
E da lì al Progetto Lupo?
«La tesi di laurea sulle libellule mi appassionò poco. A Yale studiai conservazione della fauna selvatica e al ritorno il Wwf mi chiese una panoramica sui lupi in Italia.
Nessuno ne sapeva niente, allora.
Passai i primi mesi viaggiando per tutto l’Appennino».
Oggi il lupo cresce molto. C’è il rischio che si torni al fucile?
«Con il primo censimento degli anni’70 contammo un centinaio di esemplari. L’anno scorso l’Ispra ne ha trovati oltre 3mila. Spesso sono vicini a noi, ma non ce ne accorgiamo. Più che il fucile, il pericolo per la specie però è l’ibridazione. In molte parti dell’Appennino i lupi sono ormai incroci con cani. Va meglio sulle Alpi».
Si vedono anche oliare i fucili. Gli incidenti col bestiame o i cani domestici sono frequenti.
«Il lupo è una specie protetta dal 1971. Fargli del male è reato. Come con l’orso però gli incidenti sono dietro l’angolo. In Trentino il presidente Fugatti voleva deportarne 50. Era e resta una sciocchezza. Quando mi ha chiesto un parere gli ho spiegato perché».
Cosa ha consigliato a Fugatti?
«Di non preoccuparsi di sacrificare un esemplare, se può giovare alla specie, ma di sentire la scienza».
L’Europa ha annunciato la revisione della Direttiva Habitat del ’92 sulla fauna selvatica. Poco prima un lupo aveva sbranato il pony della presidente von der Leyen.
«I lupi sono in aumento in Europa e la lobby degli allevatori parla con voce forte. La Francia ha perso in un anno ben 12mila pecore, l’Italia poco meno. La Direttiva Habitat prevede deroghe laddove sia necessario abbattere alcuni esemplari e l’Europa ha messo a disposizione molti fondi per difendere gli allevamenti. Il suo futuro però è in bilico, appeso alle prossime elezioni europee. Nella mia vita accanto ai lupi ho imparato che ricerca scientifica e politica devono camminare insieme, quando si deve difendere la natura».