ItaliaOggi, 11 novembre 2023
Draghi, Orcel e Messina. Tre modi diversi ma convergenti per affrontare la crisi dell’Italia e dell’Europa.
Due grandi banchieri e un ex-grande banchiere centrale nonché ex-capo di governo. Tre modi diversi ma convergenti per affrontare la crisi dell’Italia e dell’Europa.
Dice Mario Draghi: «La Ue deve diventare più unita e forte o non sopravviverà». E l’Italia è il terzo Paese dell’Europa.
Dice Andrea Orcel, inarrestabile ceo di UniCredit, rilanciato a suon di miliardi di utili: «Quindici anni fa la Ue e gli Stati Uniti erano abbastanza simili sia a livello demografico che economico e in termini di risorse disponibili. Oggi la Ue è rimasta indietro rispetto alla concorrenza globale: il pil degli Stati Uniti è salito a 26.900 miliardi di dollari, quello dell’eurozona si è fermato a 15.000 miliardi, un divario che rappresenta un’enorme perdita di opportunità per i nostri cittadini».
Dice Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, prima
banca italiana: «Nei giorni scorsi ho potuto esporre al consiglio d’amministrazione il nostro programma a contrasto delle diseguaglianze e a favore dell’inclusione finanziaria educativa e sociale. Un programma di 1,5 miliardi di euro negli anni dal 2023 al 2027, considerando gli importi destinati alle iniziative e quelli relativi ai costi delle strutture a supporto delle iniziative stesse».
Tre analisi convergenti, anche se con sfumature e proposizioni diverse, come vedremo.
Dice Orcel: «Nel mondo l’Italia è celebre per i nostri marchi di moda e per le nostre eccellenze gastronomiche, ma in pochi sanno che in realtà la maggior parte delle nostre esportazioni comprende macchinari all’avanguardia e prodotti innovativi, ingredienti essenziali per il futuro dell’Europa e dell’Italia. L’Italia ha dimostrato il suo primato in molti settori tecnologici e di essere in grado di fama globale, ma potrà continuare a crescere solo se l’Unione europea andrà nella stessa direzione».
Dice Draghi: «O l’Europa agisce e diventa un’unione capace di esprimere una politica estera e una politica di difesa, oltre a tutte le politiche economiche… oppure temo che l’Unione europea non sopravviverà altro che come mercato unico».
Dice Messina: «Intesa Sanpaolo è una delle banche più solide a livello europeo: è la forza del nostro bilancio, unita alla sensibilità di Intesa Sanpaolo e delle sue persone nei confronti delle comunità in cui opera, a permettere la realizzazione del principale programma per il sociale promosso nel nostro Paese da un soggetto privato».
Quindi, il presidente Draghi evidenzia che così come è ora, l’Europa è destinata alla decadenza relativa, che Orcel ha documentato anche con il semplice dato del pil europeo e di quello statunitense. Per evitare questa decadenza, addirittura per sopravvivere, dice Draghi, l’Europa deve diventare più unita e forte. Ecco, la parola unità è chiave anche nell’analisi di Messina, quando denuncia le diseguaglianze e la necessità di inclusione finanziaria educativa e sociale.
È bello e confortante vedere che due banchieri e un ex-banchiere centrale che ha guidato l’Italia da presidente del consiglio, sia pure parlando ognuno per suo conto, si trovino a una così limpida convergenza. L’Europa, con dentro l’Italia, non può sperare in un futuro positivo se l’Europa si limiterà a essere un semplice mercato comune. Quello era stato il primo obiettivo. Infatti, la prima Unione Europea è stata quella del carbone e dell’acciaio con il piano di Schuman. Era il 18 aprile del 1951 e fu chiamata appunto Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che allora erano sinonimo di energia e di industria. In seguito al successo del carbone e dell’acciaio dai sei paesi aderenti (Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo), il 25 marzo del 1957 furono firmati i due trattati di Roma, che hanno istituito la Comunità economica europea (Cee) e la Comunità del l’energia atomica (Euratom). A distanza esattamente di un anno, il 19 marzo del 1958, si tenne a Strasburgo la prima riunione dell’Assemblea parlamentare europea, che ha precorso il Parlamento europeo, nato il 30 marzo del 1962.
I frutti di questa politica li ha indicati all’inizio di questo articolo Orcel, ricordando che 15 anni fa Europa e Stati Uniti avevano più o meno lo stesso livello demografico ed economico e più o meno lo stesso livello di risorse. Vuol dire che negli ultimi 15 anni tutto si è fermato, mentre tutto il mondo è cambiato con la prorompente crescita della Cina, lo sviluppo dell’India, l’esplosione di liquidità del mondo arabo grazie al petrolio e al gas, l’apparente trasformazione in democrazia della Russia erede dell’ex Unione sovietica. La mia è naturalmente una semplificazione, perché non considera la guerra in Vietnam, la cacciata dello Scià dall’Iran, la guerra in Iraq, le crisi petrolifere per arrivare al disastro in cui il mondo si trova oggi.
Aggiunge Draghi, che in realtà parla non solo come ex-banchiere centrale ed ex capo del governo italiano ma anche come incaricato ufficiale dalla presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, di elaborare un piano per l’Europa: «Nella zona euro c’è un rischio recessione ma direi che non è né profondo né destabilizzante, perché il punto di partenza è molto alto, con la disoccupazione più bassa di sempre e un mercato del lavoro robusto. Nel combattere l’inflazione provocata dalla crisi energetica la politica monetaria potrebbe essere stata un po’ troppo lenta ma c’è un motivo: lo shock dal lato dell’offerta è stato provocato solo dal gas, un aumento che è il risultato di una deliberata politica della Russia. In ogni caso ora l’inflazione sta scendendo e i primi due trimestri del prossimo anno diranno se avremo una recessione che comunque non sarà destabilizzante. L’economia europea deve ritrovare in fretta la competitività perduta negli ultimi 20 anni (concordando con Orcel, ndr) e per farlo occorre aumentare la produttività con investimenti nella tecnologia, occorre razionalizzare la spesa per la difesa, occorre muoversi per forniture comuni di energia in modo da abbassare i prezzi. Abbiamo bisogno di una produttività molto più alta, anche per sostenere una società che invecchia: possiamo riuscirci solo attraverso investimenti ad alto valore aggiunto e ad alto tasso di tecnologia». Quindi pericolo europeo, ma sul piano economico si può rimediare.
È anche il parere di Orcel, che dice: «In un momento in cui la mostra competitività è messa a dura prova e il panorama globale è caratterizzato dall’incertezza macroeconomica e geopolitica, abbiamo bisogno di un nuovo modello di crescita che consenta agli stati membri, tra cui l’Italia, di realizzare appieno il loro potenziale. Se questo non avverrà gli Stati Uniti e la Cina continueranno a essere sempre un passo o avanti».
Proprio per questi fatti, svolgendo la sua funzione di primo banchiere italiano, Messina ha preso con il consiglio di Intesa Sanpaolo la decisione di destinare a riserva un importo pari a 2,5 volte l’imposta straordinaria sull’incremento del margine di interesse, cioè sulla fallace decisione del governo di tassare appunto l’incremento del margine di interesse dovuto all’inflazione, per fortuna reso opzionale allo stanziamento dell’importo a riserva, che Messina ha voluto fosse appunto raddoppiato, sommandosi esso agli 1,5 miliardi destinati ai bisogni sociali.
E anche Draghi, nonostante le parole non drammatiche sulla situazione economica non molla: la Ue non faccia compromessi sui suoi valori, dice duro, aggiungendo: «La guerra in Ucraina è stata preceduta da una lunga serie di arretramenti sui nostri valori fondamentali: l’ammissione della Russia al G8 nonostante il mancato riconoscimento della sovranità ucraina, la promessa mancata di un intervento in Siria nel caso in cui Assad avesse usato il gas come arma; la Crimea, il ritiro dall’Afghanistan. La lezione che se ne può trarre è che non dovremmo mai scendere a compromessi con i nostri valori fondamentali, su cui è stata costruita la Ue e cioè pace, democrazia, libertà, sovranità nazionale». E aggiunge: «Ciò che non possiamo fare è starcene fermi, senza reagire. Abbiamo scoperto che ciò che per anni avevamo dato per scontato non lo era affatto. Ma non ho dubbi nel successo finale: non c’è alternativa che vincere questa guerra. Nel mondo assistiamo all’ascesa di autocrazie e democrazie illiberali, negazioni dei diritti civili e violazione dei diritti umani. Dobbiamo combattere ciascuno nella propria sfera personale ma anche collettivamente, per fare in modo che non prevalga la negazione dei nostri valori».
Tradotto in italiano, il messaggio è specifico per gli Stati Uniti: che i cittadini americani valutino bene chi eleggere presidente, dando per scontato che il pericolo maggiore viene dall’illiberalità attuata da Donald Trump nel suo sciagurato mandato.
Meno politico e finanziario, ma nella stessa direzione è il pensiero di Orcel che invita senza mezzi termini a passare all’attacco: «Riflettendoci, non sorprende affatto che gli Usa siano il principale blocco a livello mondiale. Hanno costituito un sistema perché le banche e i mercati finanziari contribuiscono positivamente all’economia reale. L’Europa ha il potenziale per raggiungere gli stessi obiettivi, portando gratis benefici per i consumatori italiani, le istituzioni bancarie e l’intera economia. Ma l’Europa oggi non è abbastanza unita per poter fare tutto ciò. L’Italia riveste un ruolo fondamentale in questa strategia. Grazie alla posizione geopolitica e all’ammontare delle esportazioni, che hanno raggiunto i 600 miliardi di euro. È arrivato quindi il momento di far sentire la nostra voce nell’eurozona. E Unicredit è pronto a farlo con le sue 13 banche in vari paesi europei e i loro 15 milioni di clienti».
E anche Intesa Sanpaolo punta sullo sviluppo internazionale: le banche controllate all’estero sono 11, in 12 paesi. A guidarle è Marco Rottigni, che è diventato chief del settore estero dopo essere stato direttore dei crediti di Intesa in Italia. La rete estera arriva anche in Cina, dove la banca è attiva anche nell’attività di gestione del risparmio.
Quindi primato in Italia, destinazione di fondi importanti all’inclusione finanziaria educativa e grande rivoluzione tecnologica con la creazione di Centai, la società compartecipata con il professor Mario Rasetti e i suoi scienziati per avere il primato nell’impiego dell’intelligenza artificiale. Il progetto molto, molto importante di AI è prossimo a essere concluso. In perfetta sintonia con gli auspici del presidente del progetto di sviluppo dell’Europa, Mario Draghi.
P.S. Ognuno dei tre banchieri ha parlato in maniera autonoma, senza sapere l’uno cosa diceva l’altro, ma come si può constatare dalle loro parole, a partire da quelle di Draghi, gli obiettivi e l’azione puntano da parte di tutti e tre nella stessa direzione. Con la promessa di una possibile leadership europea che parli italiano a Bruxelles e su tutto il mercato bancario europeo.
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Nel mentre tutto ciò avviene in Europa, dalla Cina, da cui nessun Paese o continente può oggi prescindere, attivano segnali precisi di deflazione: la domanda interna è crollata e i prezzi sono in calo dello 0,2%. Evidentemente, anche la Cina è arrivata, dopo il Covid e la lunga chiusura, a un punto in cui deve fare i conti con la rivoluzione in atto nel mondo e soprattutto con il fatto che sta prevalendo la guerra invece della pace. Con un’aggravante: la vicinanza delle elezioni americane e il rischio ben chiaro dai due lati, cioè dai due partiti nazionali. Chi è democratico può auspicare che ci sia una riconferma del rallentato presidente Joe Biden? Ma i candidati alternativi dove sono? E dalla sponda opposta, anche recentemente a New York ho verificato l’avversione a Donald Trump di chi lo aveva più sostenuto, cioè il grande gruppo mediatico creato dal novantenne Rupert Murdoch e ora lasciato nelle mani del figlio cinquantaduenne Lachlan. Oggi, dopo anni di sostegno, tutti i media di Murdoch considerano Trump un pericolo e un nemico e con tutti i processi che egli ha in corso l’anno elettorale si trasformerà più in una saga giudiziaria che in un confronto di programmi, non solo rispetto ai democratici ma anche all’interno del partito repubblicano.
Con una tale situazione il mondo occidentale e in particolare l’Europa non può rimanere immobile. C’è da sperare che l’incarico dato a Draghi scuota l’intelligenza, le coscienze e l’anima di tutti gli europei, anche nel non fare solo scelte di vicinanza e quindi di acquiescenza verso gli errori drammatici dell’attuale capo del più oppresso popolo della storia passata e recente. Ha ragione Draghi che nello stallo degli Stati Uniti è l’Europa che deve far sentire una voce unitaria rispetto agli errori drammatici, per il suo stesso popolo, di Benjamin Netanyahu. E una voce unitaria, in mancanza di una voce credibile degli Usa, l’Europa deve averla anche verso la Cina, da cui nessun Paese del mondo può prescindere sul piano economico, ma che ha bisogno di aiuto. La scelta obbligata di decenni fa di un solo figlio, possibilmente maschio, per il combinato di povertà e di super popolazione, oggi ha generato un forte invecchiamento della popolazione che inevitabilmente frena lo slancio e l’economia sta andando in deflazione, cumulandosi anche con la grave crisi immobiliare. Quindi se gli Usa sono in un impasse pericoloso, se la Cina ha problemi seri da risolvere e con il tempo sicuramente li risolverà, con le guerre in corso ecco che l’Europa, se riuscirà a essere unita e se il programma di Draghi sarà incisivo, ha un’occasione unica di imporre la propria anima colta, matura, oggettivamente democratica, nell’interesse di tutto il mondo. Basta che a Francoforte, alla Bce non prevalga la linea tedesca, essendo già la Germania il pericoloso untore della sua attuale recessione. (riproduzione riservata)