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 2023  novembre 12 Domenica calendario

Intervista a Rosanna Alloisio, mamma di Moana Pozzi

«Le ripetevo: “Non spogliarti, non li fare quei brutti film”. Dio sa se ci ho provato a convincerla, non c’è stato santo. “Mammina, non ti arrabbiare, tanto lo so che mi vuoi bene lo stesso. In fondo non piacciono nemmeno a me”. E rideva, aveva denti bellissimi. “Come sei antica. Anche le statue sono nude. Metteresti il reggiseno pure a Paolina Bonaparte”. Litigavamo. Le passava subito. “Quelle parole cattive che ti ho detto, dimenticale, non ne pensavo nemmeno una”. Impossibile non amarla. A volte mi chiamava da Los Angeles solo per chiedermi una ricetta. O per dirmi che mi aveva comprato un paio di scarpe a pois, li adoravo. Non devo perdonarla di niente, quello spetta solo a nostro Signore». Rosanna Alloisio, 82 anni, casalinga piemontese, è la madre di Moana Pozzi, iconica diva del porno, morta all’Hôtel-Dieu di Lione il 15 settembre del 1994, a 33 anni, per un tumore al fegato. «I primi tempi mi illudevo che da un momento all’altro mi avrebbe telefonato. Invece no. Sarà andata in un posto migliore, dove spero sia felice».

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Moana Pozzi da bambina con la madre Rosanna Alloisio
Come lo era da piccolina.
«Una bambina tranquilla, curiosa. Amava tutti gli animaletti. Aveva una cornacchia, Penelope, le faceva il bagnetto nel catino. E dei criceti, di cui avevo il terrore. Da grandicella giocava solo con la Barbie. O con il Lego. A scuola era una meraviglia, imparò subito a leggere e scrivere. La sorella Tamiko è diversa, come la notte dal giorno».

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Moana significa: «Là dove il mare è profondo».
«Quando ho conosciuto Alfredo avevo vent’anni, fresca di collegio dai Salesiani. Era bello. Mamma disse: “Ti farà piangere”. Ci aveva visto giusto. Sognavamo la Polinesia. Al prete quel nome non piaceva, non voleva battezzarla. Per convincerlo ho aggiunto Anna e Rosa, come le nonne».
Capricciosa?
«Mai. Buona, giudiziosa, dove la mettevi stava. Soffrivo di mal di gola. Moana metteva un dado nel pentolino con l’acqua. “Tranquilla, mammina, ti preparo il brodo”».

Dalle suore Orsoline.
«Alle elementari, le piaceva. A Ovada, qui vicino, c’era la scuola di musica Rebora, Moana studiava chitarra classica, suonava sempre Les jeux interdits. Era brava, cantava bene. Amava il tennis, prese il brevetto da sub sul mar Rosso con i militari americani. Faceva immersioni al lago di Bracciano, nell’acqua scura, non aveva paura di niente».
Adolescente complicata?
«No, anche se a 16 anni aveva già il corpo da donna, alta un metro e 78, prosperosa, non metteva minigonne o scollature, però attirava i ragazzi. “Oddio”, mi preoccupavo. Ero sola, mio marito, ricercatore nucleare, non c’era mai. Quando andava in balera stavo sveglia finché non rientrava, ma droghe non ne ha mai prese, non fumava e nemmeno beveva».

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Moana Pozzi in una foto d’archivio (LaPresse)
A 18 andò a vivere a Roma.
«Per studiare recitazione. Noi eravamo di stanza a Bracciano. C’era un alberghetto lì vicino. Vennero a girarci una commedia con Edwige Fenech. Moana passò, la notarono. “Bella come sei, potresti fare del cinema”. Ero contraria. “Prima finisci di studiare”. Cominciò a posare come modella per i pittori. Qualche particina, la tv. Noi sempre in trasferta, ci si vedeva poco o niente. Non so come o dove, un giorno purtroppo incontrò quello Schicchi. Ed entrò in quel mondo orribile. “Perché lo fai? Non ti rendi conto, finirai nel baratro”. Glielo spiegai in tutte le lingue. Però anche la migliore delle madri alla fine si stanca. “Non ti preoccupare, mamma, poi smetto”».

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Con Riccardo Schicchi nell’aprile 1992 (Ansa)
Invece continuò.
«Quando si ficcava in testa qualcosa andava fino in fondo. In paese, non le dico, c’era da vergognarsi a uscire. Nessuno ci mancava di rispetto però, specie per mio padre, era una pena. “Siamo una famiglia per bene, abbiamo sempre camminato a testa alta”. Moana restava zitta».
Felice?
«Non lo so. Con i primi soldi comprò un piccolo appartamento dietro San Pietro, con un terrazzo pieno di fiori. E un attico sulla Cassia, pareva la casa di una principessa. Andavamo a pregare sulla tomba di Papa Roncalli, il suo preferito. Era molto religiosa. Ho ritrovato la sua patente, nella foderina teneva una foto di Giovanni XXIII, una di Pallino, il suo cagnolino bianco, l’immaginetta di Santa Rita da Cascia. In camera da letto due quadri della Via Crucis, Il Cristo deriso e Ecce homo. “Come puoi fare quelle porcherie, allora?”, insistevo. “Sono diversa da come pensi tu. Ma resto sempre la tua Moana”».
L’ha mai guardato un suo film a luci rosse?
«No, per l’amor del cielo, non potrei sopportarlo, mi sentirei malissimo».

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Moana Pozzi con Pippo Baudo, nel 1993 (Olycom)
Con Bettino Craxi.
«Non erano solo amici. Lui non mi piaceva. “Come fai a stare con quel vecchiaccio?”. “È intelligente, gentile, si prende cura di me”. “Ti credo”, pensavo. Cercava la figura paterna che non ha avuto. Per mio marito io e le figlie eravamo soltanto una scocciatura, questa è la verità. Una volta Moana tornò a casa con una maglietta da uomo, enorme. “Me l’ha lasciata Bettino”. “Oddio, sembra quella di un ippopotamo”. “Dai, mamma, cosa importa?”. Lui diventò geloso, lei frequentava altri. Si sono lasciati».
Da ragazza ha avuto un figlio, Simone, che per anni fu creduto suo fratello.
«Non era suo figlio. Non ne ha mai voluti. “Si vergognerebbero di me”. Non è nemmeno mio, ma è come se lo fosse, sopravvivo per lui».
Eppure fu Simone a raccontarlo in un libro.
«Consigliato da una cattiva fidanzata che lo convinse a cercare pubblicità. Ma è un ragazzo d’oro, se n’è pentito».
A un certo punto Moana sposò Antonio Di Ciesco.
«Sedicente marito. Matrimonio a Las Vegas, con una pergamena a fiorellini. Un nullafacente, le faceva da autista. Si strafogava di ostriche con i soldi di mia figlia. Ha aspettato che morisse per registrarlo, lei lo avrebbe ucciso. Sul certificato di morte c’era scritto “nubile”».

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Immagini d’archivio di Antonio di Ciesco e Moana Pozzi (Ansa)
La malattia.
«Era quasi Pasqua. Moana tornò a casa. Mi chiedeva sempre di prepararle i ravioli di carne e la cima alla genovese in brodo. “Mettici tanta maggiorana”. Quella volta però non toccò cibo. “Sono due mesi che ho sempre la nausea, se mangio vomito, mi sale la febbre. Sono stata in Africa, forse ho preso un virus”. Aveva gli occhi un po’ gialli. I dottori dicevano che era un’epatite mal curata. La convinsi a fare qualche accertamento a Lione con un medico nostro amico. Le hanno trovato il tumore al fegato. Però era fiduciosa. “Vedrai, mi curo e guarisco”. Voleva vivere. In sette mesi se n’è andata».
Gli ultimi giorni con lei.
«Quanto ha sofferto, ma era una leonessa. Aveva ripreso peso. Nel letto d’ospedale, mi mostrò le gambe. “Sono tornate com’erano”. Due giorni prima di morire mi chiese di toglierle lo smalto alle mani, per metterne uno trasparente. “Ai piedi lasciami quello fucsia”. Con l’aiuto di un’infermiera si lavò i capelli, con tubi e flebo attaccati. Parlavamo, ridevamo, ero convinta che si riprendesse. “Appena esco ci trasferiamo in campagna e apro una libreria”. Quando è morta era serena, ancora bella, le ciglia lunghissime. “Non metto nemmeno il mascara”. Sembrava che dormisse».
Voleva essere cremata.
«Al cimitero non c’è, ho ritirato io le ceneri, ma dove sono non lo dirò a nessuno».
Chi era davvero Moana?
«Una ragazza fuori dal comune, un enigma. Faceva del bene pure ai sassi. Leggeva tanto, amava i classici, poi non so cosa è successo. Ancora oggi mi chiedo dove ho sbagliato, me ne faccio una colpa. Il parroco dice che non devo, che è così che era scritto in cielo. L’ho sognata soltanto una volta. Vestita di bianco, con una borsetta d’argento, scalza. “Sei senza scarpe”. “Dove sto andando non servono, è un bel posto, si sta bene”. E mi ha sorriso».