Corriere della Sera, 11 novembre 2023
Biden perde Joe Manchin
New York Joe Manchin, senatore democratico «ribelle» che durante la presidenza Trump ha votato più volte coi repubblicani che col suo partito, è stato per anni la bestia nera della sinistra americana: contrario all’aborto, ai matrimoni gay e al Dream Act per legalizzare la presenza negli Usa dei figli di immigrati clandestini, ago della bilancia di un Senato diviso a metà, tre anni fa ha silurato anche il Green New Deal dei liberal ambientalisti definendolo un sogno, non un deal. «Niente di male a sognare, la gente ha bisogno di sognare un mondo perfetto. Io, però, lavoro sulla realtà».Manchin, sponsor dei combustibili fossili e soprattutto del carbone del quale il suo Stato, il West Virginia, è grande produttore, ha messo a dura prova anche il presidente Biden bloccando per un anno il suo piano da tremila miliardi per interventi sociali e di contrasto dei mutamenti climatici. L’ha votato solo dopo l’eliminazione di due terzi degli interventi previsti: niente reti di sicurezza sociale, ridimensionata la transizione energetica.
La sua decisione di non ricandidarsi alle elezioni del prossimo anno dovrebbe essere accolta con gioia dalla sinistra Usa. E, in effetti, c’è chi festeggia. In realtà, però, la notizia è pessima per il partito democratico e grave per Joe Biden.
Manchin (lontane origini calabresi, col nonno che americanizzò il cognome Mancini), politico irruento, accusato di «connivenza col nemico» («sono un democratico centrista, moderato, conservatore», dice lui, ma ha sempre respinto i corteggiamenti repubblicani) era stato messo all’indice dai progressisti anche per i suoi conflitti d’interessi: investimenti di famiglia nel carbone mentre lui a Washington si opponeva a una rapida decarbonizzazione. Ma Manchin, polemizzando col suo partito e spesso anche col presidente Obama, ha tenuto comunque per 15 anni un’essenziale casella democratica nel profondo Sud conservatore.
Il «connivente»
Durante la presidenza Trump ha votato più coi repubblicani che col suo schieramento
Senza Manchin, l’unico politico del partito della sinistra eletto a una carica pubblica in West Virginia, i democratici perdono sicuramente un senatore: riconquistare il controllo di questa assemblea, decisiva anche per il suo potere di ratifica delle nomine presidenziali, sarà molto difficile. Un Senato in mano ai repubblicani significherebbe, per un Biden rieletto, avere le mani legate fin dal primo giorno.
Ma prima, appunto, Biden deve essere rieletto. E qui, per il presidente dai bassissimi indici di popolarità, la rinuncia di Manchin al Senato può avere un secondo aspetto negativo. Biden rischia un’emorragia di voti di democratici delusi verso terzi candidati. All’ex democratico e ora indipendente Robert Kennedy Jr. e all’intellettuale afroamericano Cornel West, indipendente pure lui, ieri si è aggiunta Jill Stein: sarà candidata dei verdi come nel 2016 quando fu una delle cause della sconfitta di Hillary Clinton.
Anche Manchin potrebbe correre come indipendente, col movimento No Labels (niente etichette) che combatte la polarizzazione della politica Usa. Non ci sono conferme né smentite, ma chi lo conosce bene dice che lui non entra mai in una gara se non può vincere. Probabilmente ha rinunciato al Senato consapevole che sarebbe stato comunque sconfitto dal popolarissimo governatore repubblicano dello Stato, Jim Justice.
Quanto al testa a testa per la Casa Bianca tra i due «grandi vecchi», se sarà Donald Trump a spuntarla, un Senato a maggioranza repubblicana aprirà le porte al piano che ha già fatto trapelare: piazzare fedelissimi arciconservatori, i «Maga people» che assecondano le sue tendenze autoritarie, in tutti i posti chiave dell’amministrazione. Smontando i contrappesi agli ampi poteri presidenziali che sono il cuore della democrazia americana.