Corriere della Sera, 12 novembre 2023
Ritratto di Giovanbattista Fazzolari
Tutti scrivono – qualcuno pure scodinzolando, as usual — Fazzolari di qua, Fazzolari di là, il sottosegretario ha deciso, voluto, promesso, smentito. Macron? Guarda, io ho parlato con Fazzolari. Gli ascolti Rai vanno a picco? Fazzolari è furibondo. Presentami Fazzolari, ti prego.
Retroscena farciti di concreta realtà, suggestioni alimentate da seducenti pettegolezzi. L’idea, qui, adesso, sarebbe di raccontare chi è, chi pensa davvero di essere l’uomo più vicino a Giorgia Meloni, il sottosegretario per l’Attuazione del programma con la delega ai dossier delicati e sulfurei e, perciò, il potente più potente di Palazzo Chigi: quindi, del Paese (tra qualche capoverso, ci parleremo: la fama di ruvido e irascibile con botte di arroganza è celata da rara cortesia, mentre risponde con il cellulare in modalità «viva voce», probabile precauzione per avere accanto un testimone in ascolto o davvero per semplice necessità – «Mentre parlo con lei, continuo a scrivere al computer» – allora forse anche un po’ nel mito di Napoleone, che era capace di dettare cinque lettere contemporaneamente, e del resto lui, Giovanbattista Fazzolari, figlio di un diplomatico, consigliere d’ambasciata, e di una insegnante di Lettere, ha studiato allo Chateaubriand di Roma, scuola francese per pariolini, e aspiranti pariolini).
Comunque: dev’esservi subito chiaro che Fazzolari adora fare Fazzolari.
A 50 anni suonati – dopo un’esistenza da palombaro della politica, consigliere occulto, suggeritore prezioso però sempre all’ombra di Giorgia, la sua adorata Giorgia – ora Fazzo, ma per i vecchi camerati resta «Spugna», se la gode tutta, perché se l’è sudata tutta per diventare finalmente personaggione pubblico, spazzando così via il mortificante ricordo della prima volta che finì in un titolo di giornale, già trentasettenne, solo grazie alla Kia New Carnival che aveva vinto al Fantacalcio: adesso può permettersi di attaccare il telefono a un direttore, sollecitare un’intervista, bloccarne qualcuna, dire quel cronista non mi piace e non ci parlo, quell’altro è buffo e ci parlo, tanto io so’ io, temuto e blandito, detestato e criticato, destinatario di bigliettini, messaggini, sussurri, omaggiato da manager all’apparenza giganteschi che gli fanno le fusa come gattini Ragdoll e da imprenditori che implorano l’unico sorriso che conta. Il suo. Che poi è sempre meno di un sorriso, ma qualcosa che s’avvicina a un ghigno. Perché il Fazzo, furbissimo, intorno lascia crescere la narrazione mitologica di uno severo e autenticamente di destra, però di quella certa destra patriota e pura, niente mondanità, niente tribuna d’onore dello stadio Olimpico, che adesso è lì, nella sala comandi del Paese; e lui – appunto – è quello incaricato dalla premier di scegliere e premere i bottoni giusti (anche se all’inizio sbagliò a schiacciarne un paio, polemizzando con la Cia – non è un refuso: proprio la Cia – e attaccando Bankitalia).
Con la premier il rapporto è simbiotico. Se al mattino arriva una provocazione di Matteo Salvini, lei si gira e lo guarda: che dici, rispondiamo? (di solito no, perché Fazzo è convinto che Salvini, al pomeriggio, poi cambia idea). È Fazzo che decifra le dichiarazioni di Marina e Pier Silvio Berlusconi, e pure quelle di Antonio Ricci. Giorgia sostiene che Fazzo sia «la persona più intelligente conosciuta negli ultimi 25 anni»: Mario Draghi è un uomo di mondo e l’ha presa a ridere, infatti dev’essersi trattato d’una dichiarazione di pura riconoscenza, perché Fazzo è sempre stato, fedelmente, meloniano, fin dal leggendario congresso di Viterbo del 2004, quando la biondina con i capelli a caschetto e gli scarponcini Dr. Martens, grazie ad appena 16 voti di scarto su Carlo Fidanza, fu eletta capa dei giovani di An e cominciò la sua personale scalata. Da quel giorno, Fazzo sempre accanto, ma un passo dietro. Consulente giuridico quando lei diventa vicepresidente della Camera e capo della segreteria quando Berlusconi la nomina ministra della Gioventù. Leale e secchione (gli chiedi di studiarsi il motore di un go-kart e lui, il giorno dopo, te lo smonta e te lo rimonta). Solo che fino a un anno fa, per tutti noi cronisti era: Fazzolari, scusa, chi? (questo suo essere invisibile gli ha anche consentito di sparare – verbo familiare: perché Fazzo tira sul serio al poligono – qualche visionario tweet contro il presidente Sergio Mattarella, una roba tipo «rottame», «oltre il ridicolo», «aspirante demonio»).
Ora dice che mi richiamerà tra qualche minuto. Ne passano quattro. La voce di Fazzo rimbomba. «Eccomi... Cosa voleva chiedermi?».
Che tipo di ebbrezza si prova ad essere tanto potente?
«È vero. Ho questa reputazione. E anche quella di essere un po’ burbero. Ma credo che, quest’ultimo aspetto, dipenda dalla mia riservatezza, non amo la visibilità, sono disinteressato alla televisione...» (essendo appena iniziato il colloquio, evito di dirgli che, in poche ore, è andato prima da Bruno Vespa a Cinque minuti, dopo il Tg1, e poi pure a Porta a porta).
Insisto: lei è un potente, le baciano la pantofola in tanti.
«Guardi: dipende da cosa si intende per “potere”. Per dire: non mi occupo delle dinamiche interne a Fratelli d’Italia. Però, certo, da sottosegretario ammetto di avere l’enorme possibilità di influire su molte cose... di incidere su una norma, di suggerire come sia meglio posizionare l’Italia su un determinato dossier... Ma mi creda: intervengo sulle questioni di cui m’intendo. Per capirci: quando devo consigliare un amministratore delegato, mi affido alla valutazione di qualcun altro...».
È difficile credere che lei lasci decidere ad altri.
«Beh, chiaro: poi dico la mia sul profilo delle persone che auspico occupino determinati ruoli in questo Paese».
Gira voce sia molto deluso dal suo vecchio amico Giampaolo Rossi, il direttore generale della Rai. Ascolti in picchiata, programmi che chiudono...
«Non mi interesso della Rai».
Non ci credo nemmeno un po’.
«Deve credermi».
Vabbè, senta: ormai è abbastanza passato il teorema secondo cui la Meloni è brava, ma circondata da una modestia diffusa a tutti i livelli. Lei che è lì, se ne è accorto?
«Mah. Se dobbiamo ragionare sul contesto dell’esecutivo, allora dobbiamo anche fare l’elenco di tutti i fenomeni paranormali che avevano guidato l’Italia fino al nostro arrivo...».
C’è della modestia pure adesso.
«Mettiamola così: se il contesto della Meloni è modesto, è però certamente di gran lunga migliore rispetto a ciò che abbiamo visto, e sopportato, in passato».
Lei che idea s’è fatto del caso Giambruno/Striscia la notizia e della famosa telefonata dei due comici russi alla premier?
«Narrazione disperata di chi vuole attaccare un governo che fa bene e una premier che fa benissimo».
Quindi è vero che lei ha la delega alla «propaganda».
«Lo penso veramente. Risultati economici come mai negli ultimi anni, prestigio internazionale, un largo consenso al governo e poi perdiamo tempo dietro polemiche assurde? Purtroppo, il livello dell’informazione è infimo. Non si sono nemmeno accorti che la Meloni stava chiudendo un accordo con l’Albania...».
Veramente, non se ne erano accorti nemmeno Salvini, Tajani e Piantedosi.
«Mi ascolti: la prima riunione sul piano immigrati/Albania risale a sei mesi fa... Capito? E c’erano tutti, da Piantedosi a Salvini, da Nordio a Crosetto, a Tajani, ai servizi segreti...».
Un paio di curiosità. È vero che con l’altro sottosegretario Alfredo Mantovano vi parlate a mezza bocca?
«Invenzione totale. Alfredo è un mio vecchio amico, una persona che stimo tantissimo. E ringrazio il cielo ci sia lui, in quel ruolo... O dovremmo rimpiangere la Boschi e Fraccaro?».
Ultima domanda: dov’era, fisicamente, la Meloni, quando ha risposto al telefono ai due comici russi?
«A Palazzo Chigi».
(Come fanno i veri potenti, Fazzolari non ha voluto sapere cosa avrei fatto di questo nostro colloquio).