Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  novembre 12 Domenica calendario

A volte mi chiedo come verrà raccontata la storia delle migrazioni nel Mediterraneo fra cinquant’anni

A volte mi chiedo come verrà raccontata la storia delle migrazioni nel Mediterraneo fra cinquant’anni. Non posso indovinarlo, ma so per certo che quegli storici non ancora nati (o attualmente bambini) useranno Nello Scavo come una delle fonti principali.Oggi, più che a un Tacito o a un Erodoto, Le mani sulla guardia costiera (Chiarelettere) fa pensare a una spy story e le fonti sono le gole profonde trovate da Nello Scavo, che si nascondono dietro a nickname e mandano istruzioni per scaricare e decodificare file protetti da chiavi d’accesso. Purtroppo però non stiamo guardando la serie francese Le Bureau. Abbiamo davanti un intrigo internazionale che lega le mafie libiche a quelle maltesi e italiane, il traffico di esseri umani al contrabbando di petrolio, e passa attraverso patti più o meno segreti fra Stati, che coinvolgono le nostre istituzioni e quelle europee.Quella di Nello Scavo, inviato di «Avvenire» è un’inchiesta importante e scottante, che dura da anni e, documenti alla mano, inchioda Roma e Bruxelles alle loro responsabilità. Un lavoro investigativo scomodo che lo ha costretto a vivere sotto scorta, ma non a rinunciare a capire cosa succede davvero nel Mediterraneo e a trovare le prove che lo dimostrino, nonostante i depistaggi di Stato.«Conosciamo il nome di ogni singolo mandante, morale e materiale, quello degli esecutori e dei loro molti e trasversali complici su tutte le sponde del Mediterraneo, dalle gattabuie nascoste nel deserto fino agli eleganti uffici delle istituzioni europee», scrive. «Ma nessuno ha ancora pagato per il più grande crimine commesso in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale».Ma di quale grande crimine stiamo parlando? «Il Mediterraneo è il palcoscenico della più vasta operazione di distrazione di massa mai conosciuta negli ultimi decenni», dice. «Attingendo ai pregiudizi sullo “straniero” e manipolando le informazioni, nonostante le ripetute condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo e i reiterati appelli delle Nazioni unite, si è arrivati a istituzionalizzare la deportazione di massa, la tortura, l’eliminazione fisica di decine di migliaia di esseri umani. Non con il silenzio, ma con la complicità della politica e delle opinioni pubbliche».La chiave di tutto è la Libya Connection, che si può riassumere in una serie di rapporti sporchi fra tre diverse sponde del Mediterraneo Centrale, che corrispondono a tre zone Sar, cioè a tre zone di ricerca e soccorso in mare: Italia, Malta e Libia. In queste acque, succede di tutto. E niente per caso.Cominciamo da Malta, la Malta che ha ucciso la giornalista Daphne Caruana Galizia, che «aveva trovato le cerniere che sigillavano le relazioni tra mondi apparentemente lontani, dai casinò maltesi, ai petrolieri, ai faccendieri del gas» e che stava rovistando nei rapporti oscuri fra Tripoli e La Valletta. Anche Nello Scavo comincia a seguire la pista, dopo la strage di migranti di Pasquetta del 2020, che presenta troppe anomalie. E così scopre che Malta dirotta i barconi verso l’Italia, possiede una flotta di barche fantasma senza targa che si occupano di respingimenti illegali a Tripoli e, sempre in acque libiche, segue il contrabbando di droga e petrolio destinato all’Europa. Può bastare?«Ogni barcone è un messaggio. Anzi un ricatto», spiega. «I destinatari sono i soliti: Italia e Unione europea. I mittenti anche. Le richieste sono sempre uguali: legittimazione politica, flussi di cassa, potere personale di boss con ambizioni politiche. Di questi ultimi, però, non c’è traccia nel dibattito pubblico. Fantasmi, come le vittime delle violazioni dei diritti umani». Ma Nello Scavo non si arrende e a questi fantasmi – quelli che non annegano, s’intende, quelli che stanno sempre a galla – vuole dare un volto e anche un nome. Comincia così una galleria di criminali che in Libia hanno un ruolo istituzionale e sono altamente rispettati. A quanto pare anche in Europa, nonostante siano ricercati dal tribunale internazionale dell’Aja.Il primo della lista è Abd al Rahman al Milad, detto Bija. Che in segreto compare al Cara di Mineo nel maggio del 2017, proprio quando l’Italia sta negoziando un accordo con le autorità libiche per bloccare le partenze. Bija è accusato dall’Onu di gestire le prigioni di Zawiyah e tutti i traffici criminali dell’area, è il capo della Guardia Costiera e insieme il primo trafficante della zona, legato alla milizia dei Kashlaf. E ha il divieto di uscire dal paese. Com’è possibile che sia stato invitato dalle autorità italiane un noto boss mafioso? E questa è solo la prima storia da seguire, che purtroppo segue anche Nello Scavo, perché le minacce che lo hanno costretto sotto scorta vengono da Bija in persona, che non ha gradito gli scoop.Poi c’è quella di Emad Trabelsi, ministro dell’Interno del premier Dbeibah. «Il suo è il dicastero chiave per il controllo delle milizie e degli affari che tengono insieme traffici di petrolio, migranti, armi, controllo del territorio e rapporti con i salotti europei». O di Mohammed al Khoja, capomilizia filoturco, a capo del Dcim (il Dipartimento contro l’immigrazione illegale) che amministra una guardia costiera e i campi di prigionia ufficiali, compreso quello di Tarik al Sikka, gestito personalmente. È proprio a lui che vengono affidati i fondi italiani e della Ue destinati alle politiche migratorie. Soldi consegnati in buone mani, insomma.Ma di che cifre parliamo? Anche in questo mistero Nello Scavo va a indagare. Perché cifre ufficiali non circolano, bisogna rovistare in documenti secretati. L’Italia e l’Europa non hanno nessuna voglia di confessare quanti soldi finiscono nelle mani dei mafiosi libici. Conviene distrarre i contribuenti con la criminalizzazione delle Ong e tenere a freno la Guardia Costiera italiana, corpo troppo serio, che ha il brutto vizio di fare il suo dovere in mare. Il Mediterraneo va desertificato, nessuno deve vedere quello che succede davvero. Ora poi si è aperto anche il fronte della Cirenaica e della Tunisia, il gruppo dei ricattatori si allarga, il prezzo si alza. Ma la parola d’ordine resta il silenzio. —