La Stampa, 12 novembre 2023
L’anno zero di Mediaset
L’autunno porta bene a Mediaset. Ma passata la lunga stagione di Silvio Berlusconi imprenditore, padrone e politico, l’erede al timone Pier Silvio non sa ancora che inverno lo attenderà.
Certo in cascina ci sono ancora i nuovi programmi di Bonolis, Bisio, Gerry Scotti e soprattutto lo speciale teatrale di Checco Zalone che devono partire ma la concorrenza (Rai a parte) si gioca, soprattutto, con le Over the top (Ott) che sono tanto attive nei contenuti quanto ancora di più sono invasive sul fronte della torta del mercato pubblicitario ferma da tempo (dai Nielsen) intorno ai 9,5 miliardi di euro l’anno.
E per una tv commerciale il problema principale resta proprio questo: Mediaset – quotata in borsa – insomma, deve resistere all’inflazione galoppante, alla gelata sui consumi, ai rischi di due conflitti che nessuno esclude possano internazionalizzarsi e quindi da un lato deve contenere i costi, dall’altro caratterizzarsi sui contenuti. Cioè sui programmi, che Pier Silvio Berlusconi non vuole siano trash ma, che in realtà, per ora restano lì in palinsesto (eccezione fatta per Barbara D’Urso) come tutti i cardini del palinsesto generalista che tengono in piedi Canale5, la grande ammiraglia, insieme al pacchetto degli ascolti, che a sentire Mediaset «nell’autunno del 2023 hanno posto l’azienda (cioè il gruppo) in cima agli ascolti sul target individui», cioè sull’intero pubblico.
Ma Mediaset, saprà resistere, saprà crescere? E poi è davvero come dice l’azienda che gli ascolti sono in crescita? Solo in parte, nel senso che la narrativa dal quartier generale di Cologno punta (pro domo sua) a sostenere e valutare i dati di share per la somma delle reti del gruppo, e in questo caso la versione cavalcata è in linea, ma sul confronto per reti, invece, no.
Quindi per rendere omogenei i dati (dal 1 al 28 ottobre, Auditel) si scopre che Raiuno nelle 24 ore è avanti a Canale5 sia nel day time con il 18,5% che nel primetime (21,4%) rispetto alla prima rete Mediaset che si ferma rispettivamente al 17,7% (daytime) e al (14,9%). Mentre il totale delle reti Tv commerciali accredita Mediaset al 37,9% e Rai al 37,1%.
Detto questo non sono i decimali a fare la differenza. Ma i programmi, dove le “promesse” del cosiddetto trash ad eccezion fatta per la seguita (dagli amanti del genere) Barbara D’Urso, ancora non sono state completamente evase.
Poi, il tema degli investimenti per realizzare l’intrattenimento di prima serata.
Solo Raiuno, secondo le stime che circolano nelle grandi società di produzione televisive con le sue eccellenze come la fiction, spende quanto Canale5, Italia1 e Rete4 messi insieme. È naturale allora, guardando il confronto da Cologno, che il numero uno di Mediaset Pier Silvio Berlusconi soffi sui carboni della concorrenza chiedendo che la «Rai torni a concentrarsi sul ruolo di servizio pubblico».
Ma i nodi, però, non vengono da viale Mazzini ormai da anni ammansita ai diktat della politica italiana a trazione berlusconiana, semmai il tema dei temi è che a erodere gli ascolti della tv lineare, seppur con tendenza meno accentuata rispetto a un anno fa, è la progressiva convergenza digitale. Insomma, secondo le tendenze del mercato, oggi, non sarebbero più vere le teorie Raiset (tanto care a Silvio Berlusconi) che tanto più va bene la Rai tanto più forte è Mediaset e nemmeno quelle che indebolendo la tv pubblica se ne avvantaggia quella commerciale: il bivio della tv commerciale del futuro restano i grandi soggetti industriali e le piattaforme internazionali che con contenuti globali e investimenti considerevoli conquistano sempre maggiore utenti, traffico streaming, abbonati e mercato pubblicitario.
Per questo i numeri consegnano una fotografia chiara del fenomeno, che se da un lato dimostra la virtuosità del management di Cologno che spendendo poco meno di un quinto della Rai sulla fiction, ad esempio (35 milioni contro 150 milioni di euro) – e con un budget per la coppia Italia1 più Rete4 inferiore a quello della sola Rai2 e della sola Rai3 – è praticamente sulla stessa linea di ascolti della tv pubblica, dall’altro pone Mediaset dinanzi al tema dello sviluppo e degli scenari futuri.
Come dire: un conto è contendersi il mercato con una Rai imbrigliata dai laccetti della politica, altra storia confrontarsi con giganti come Google, Amazon, Apple, Facebook e altri o sullo stesso terreno del lineare con la Warner Bros che con Discovery e il 9 rilancia su Fazio. È qui che si gioca la vera sfida e si capirà se dopo l’autunno anche l’inverno sarà mite o arriveranno scossoni, burrasche e acquazzoni. Per ora a far sperare c’è la Champions e la Coppa Italia che funzionano in casa Mediaset come, del resto, ha funzionato l’incontro Inghilterra-Italia che ha fatto segnare su Raiuno il record di questo ottobre con il 37,9% di share.
Ma non si vive di solo calcio, è tempo di innovare e guardare altrove. La pandemia ha cambiato il modo di fruire la tv e ragiona da settimane Pier Silvio Berlusconi con i suoi che, «con due guerre tanto inattese quanto cruente, la crisi dell’inflazione che minano la nostra fiducia non si può restare fermi: è necessario cambiare». —