La Stampa, 12 novembre 2023
Partiti a rischio crac
Fossero una società quotata in Borsa i partiti politici italiani avrebbero già dovuto presentare i libri contabili in tribunale e dichiarare fallimento. Perché i loro bilanci sono in profondo rosso e come se non bastasse il loro patrimonio, immobili e quant’altro, va sempre più assottigliandosi. Come dire che il fondo del barile è già stato raschiato e che, d’ora in avanti, le perdite di gestioni costose e sempre meno compensate dalle donazioni di simpatizzanti e lobby non potranno essere più coperte vendendo qualche gioiello di famiglia.
A essere messa peggio è Forza Italia, priva ora del suo grande finanziatore e fondatore, Silvio Berlusconi. Ma anche sulla Lega pesa il fardello dei debiti accumulati nei confronti dello Stato quando era ancora “Nord”, mentre Pd e Movimento 5 Stelle non sanno come turare le falle nei conti aperti dai loro stessi parlamentari morosi. Mal comune mezzo gaudio, si dirà. Ma non è così perché un partito con il bilancio sano c’è ed è proprio quello di maggioranza nel governo, Fratelli d’Italia, che può diventare così arbitro della sorte dei concorrenti, impedendo loro di uscire dall’angolo con un qualche provvedimento di legge che alzi l’asticella del finanziamento, basato oggi su 2 per mille e donazioni. Tempo addietro ci ha provato il Pd, proponendo un ritocco non da poco della riforma Letta, portando da 20 a 45 milioni di euro il fondo per il 2xmille, ma soprattutto con la ridistribuzione della quota di quello stesso fondo, che ogni anno resta inutilizzata perché parte dei cittadini non ne vuol sapere di finanziare i partiti. Anche altre formazioni politiche propongono ricette analoghe, salvo il M5S, che dopo essersi iscritto lo scorso anno nel registro dei partiti riconosciuti ai sensi della legge n.13 del 2014 per accedere al 2xmille, ora ha presentato una proposta per abbassare da 100mila a 18mila euro annui il tetto delle donazioni liberali da parte di persone fisiche e società. Ma a sbarrare la strada lo scorso anno all’inserimento in manovra dell’innalzamento della quota di tasse devoluta dai cittadini ai partiti è stato guarda caso il partito della Meloni. Che così tiene per la collottola oppositori e alleati di governo. Perché portare avanti senza soldi l’attività politica ordinaria, per non parlare delle campagne elettorali, non è per niente facile. Ed espone ad un altro rischio, quello di diventare scalabili dalle lobby.
Ma la necessità di aumentare un finanziamento che è di fatto pubblico è sentita oramai da quasi tutti i partiti. Anche se poi c’è chi se la passa peggio di altri. Prima di tutti Forza Italia, che in base agli ultimi dati disponibili, come quelli di Open Polis o Pagella Politica, ha debiti per 99 milioni di euro, un disavanzo di esercizio di oltre 340mila euro ma soprattutto un disavanzo patrimoniale di 106 milioni. «La riduzione dei parlamentari eletti nonché la discontinuità dei versamenti provenienti da essi e dai consiglieri regionali rappresentano la causa primaria del risultato negativo della gestione caratteristica», ha ammesso il senatore-tesoriere degli Azzurri, Alfredo Messina, il giorno dopo la morte di Silvio Berlusconi. Che anche all’ultimo ha lanciato una ciambella di salvataggio alla sua creatura politica con la rinuncia a un milione e 796mila euro di interessi sul credito vantato dall’ex Presidente. Ma il problema è che FI del 2xmille raccoglie solo le briciole, meno di un milione dei 20,4 milioni del fondo.
Ne fa invece incetta il Pd, che ne incassa quasi 7,4 milioni. I Dem sono però anche secondi nella classifica dei debiti, con un fardello di 5,5 milioni. Ma quel che è più grave è la scomparsa del loro patrimonio netto, passato dai 20,3 milioni di euro del 2010 ad appena 23mila euro. I conti starebbero peggio se non ci fosse stato il tesseramento straordinario per il congresso che ha incoronato Elly Schlein. Ma la performance difficilmente si ripeterà, mentre gli eletti continuano a non autotassarsi e sul bilancio pesano sempre 119 dipendenti, fra cui 18 giornalisti.
Sulla Lega grava invece il fardello dei 49 milioni che il partito di Salvini deve versare nelle casse dello Stato in base a sentenze della magistratura, ora ridottisi a 18 milioni e 148mila euro. Il nuovo corso del Capitano non sta però dando i risultati sperati, visto che l’ultima perdita è di 3,9 milioni di euro mentre c’è da saldare una rata di un milione e mezzo di debiti. Scarso l’apporto del 2xmille: appena 1,2 milioni devoluti dai cittadini, centomila euro in meno di quelli andati ad Azione di Calenda.
I Cinque Stelle sono quasi in pareggio. Ma questo si deve al fatto che, nonostante i morosi siano anche qui tanti, da parte della marea di eletti nella passata legislatura sono affluiti nelle casse del Movimento 7,4 milioni. Ora però i parlamentari sono molti meno e più morosi, tant’è che verso di loro e i consiglieri regionali il partito di Conte vanta un credito d 2 milioni e 552mila euro. Questo mentre le spese sono lievitate a 6,8 milioni.
A festeggiare resta così solo Giorgia, che con un bilancio ancora formato da partitino porta a casa un utile di 527mila euro e un patrimonio netto con il segno più per 2,6 milioni. Ed è anche su questi numeri che si gioca la battaglia per la leadership politica del Paese