il Fatto Quotidiano, 11 novembre 2023
“Quando Berlinguer disse no allo spot delle sigarette”. Intervista a Giuliano Ferilli, papà di Sabrina, memoria storica del Pci e di Fiano Romano
“Come è stato possibile ridurre ai minimi termini il maggiore partito dei lavoratori esistente nel nostro Paese?”. L’interrogativo dolente apre il libro di Giuliano Ferilli, papà di Sabrina, memoria storica del Pci e di Fiano Romano. Quella di Ferilli è la testimonianza di vita di un comunista italiano, militante e dirigente nella sua città sin da ragazzino. Tra le pieghe nostalgiche del racconto – Fiano e Berlinguer. Il segreto di una lunga amicizia (appena pubblicato per Lithos) – c’è un bel ritratto privato del segretario: Enrico Berlinguer, ovunque descritto come un uomo schivo e riservato, a Fiano si sentiva di casa. “Si era creato un clima fraterno – ricorda Giuliano – per cui nemmeno pensavo più alla sua grandezza storica, mi sembrava una persona comune, uno per cui avrei fatto qualunque cosa”.
Fiano Romano ha una lunga storia rossa. Come mai?
Iniziò con un gruppo di muratori anarchici che vennero dalla Germania, con la scissione del 1921 diventarono comunisti. Furono protagonisti di un incredibile “sciopero al rovescio”, come nel film di Giuseppe De Santis, La strada lunga un anno: mentre protestavano, costruirono la via che porta al cimitero comunale. E poi qui anticipammo la vera rivoluzione nel dopoguerra: l’occupazione delle terre. Fiano era un paese di poveri, di proletari che campavano di lavoro stagionale. Il Pci seminò il principio: ‘La terra a chi la lavora’. Diventammo tutti proprietari: il latifondo fu distribuito ai contadini, 2.500 metri di terreno per ogni abitante. Siamo rimasti sempre riconoscenti al Pci.
Il suo colpo di fulmine con la politica: la Festa dell’Unità del 1948 al Foro Italico di Roma.
Deve immaginarsi cosa significava per un ragazzino: era il ritorno alla vita pubblica di Palmiro Togliatti dopo l’attentato, si erano riunite le sezioni di tutta Italia. Io arrivavo in pullman da un paese di quattro o cinquemila persone, lì forse ce n’erano mezzo milione! E poi bande musicali, bandiere, slogan: rimasi col naso all’insù, rapito. Cominciai a pensare che avessero ragione questi comunisti (ride): se ci credeva tutta quella gente, forse combattere le ingiustizie era possibile.
Quando Berlinguer venne a Fiano, lei era segretario cittadino. Il Pci voleva aumentare il costo della tessera.
Per noi era un problema. C’erano due contadini che per fare la tessera ammazzavano il cappone e lo vendevano a Capodanno. Dissi con franchezza: abbiamo cantanti, artisti, pittori, intellettuali, è importante che contribuisca chi ha più possibilità. Mi presero in parola: ‘Bravo Ferilli, questa raccolta la organizzi tu’. Ero stato incastrato (ride), ma fu un successo: feci donare più di 100 quadri da pittori come Guttuso, Attardi, Schifano.
Il rapporto con Berlinguer si fece più assiduo.
Gli chiesi di inaugurare la Casa del popolo, rimase impressionato dal gran numero di persone che vennero a prenderlo. Ci fermarono i carabinieri: ‘Il corteo è vietato’. Lui rispose: ‘Non è un corteo, siamo un gruppo di amici che va alla casa del popolo’. Ci fecero passare.
Tra gli aneddoti memorabili, quello sulle sigarette.
Fumava le Turmak, gliele portavano dalla Svizzera. Una sera, sua moglie chiese il mio parere: ‘I produttori delle Turmak lo vogliono pagare solo per posare il pacchetto di sigarette sul tavolo quando va in tv a fare la tribuna politica’.
Una pubblicità occulta in tv da Berlinguer, scoop.
Lui ovviamente rifiutò e si fece una risata: ‘Letizia ancora non ha capito che sono il segretario del Partito comunista’.
Veniva da lei senza scorta.
Mi chiamò Cossutta, preoccupato per la sua sicurezza. Mi chiese perché Enrico venisse così spesso a casa mia. Gli risposi: ‘E io che ne so, domandalo a lui!’, mentre l’autista voleva lasciarlo libero di riposare la domenica. Quando ho riferito a Berlinguer del colloquio con Cossutta, mi suggerì una battuta: ‘È inutile che si preoccupi tanto delle mie gite a Fiano, a Togliatti spararono fuori da Montecitorio’.
Come mai ha scritto solo ora questi ricordi?
L’anno prossimo saranno quarant’anni dalla sua morte. Enrico Berlinguer è stato una figura fondamentale della politica del Novecento, ma una persona di un’umiltà tale che persino un segretario di sezione come me aveva la possibilità di parlargli e dargli consigli. È un mondo che non esiste più.
Ritorniamo al principio: l’eredità è smarrita. Come riempire quel vuoto?
Intanto bisognerebbe che ci si interessasse dei problemi di chi lavora. Ora bisogna lasciare in pace Elly Schlein. Il partito è uno strumento, non il fine. Il fine è cambiare la società.