la Repubblica, 12 novembre 2023
L’incontro di mercoledì tra Xi e Biden
Il summit di mercoledì a San Francisco fra Joe Biden e Xi Jinping è un bivio strategico: può frenare o accelerare il domino di crisi e conflitti che sta scuotendo il mondo intero.Sulla carta i presidenti di Stati Uniti e Cina arrivano al loro secondo incontro – il primo avvenne al G20 di Bali nel novembre 2022 – su posizioni opposte e divergenti.Pechino è il più importante alleato non militare di Mosca nella guerra ucraina, non ha condannato il pogrom di Hamas contro Israele, minaccia di invadere Taiwan, fa temere fuoco e fiamme alle Filippine e punta a guidare una coalizione di Stati del “Sud Globale” accomunati dalla volontà di ridimensionare il ruolo globale dell’Occidente.Per non parlare dell’obiettivo dichiarato di superare in crescita economica gli Usa nel 2030 e dominare tanto le comunicazioni digitali che gli scambi commerciali planetari grazie al progetto della nuova Via della Seta.Washington da parte sua ha definito la Cina popolare il “principale rivale strategico globale”, è impegnata a far fallire la nuova Via della Seta e sostiene Taiwan, guidando la Nato in una strategia politico-militare dell’ “Indo-Pacifico” che punta a contenere Pechino con ogni mezzo, dalle navi negli Stretti al “decoupling” economico, fino al bando di Tik Tok.Ma è anche vero che entrambi i presidenti, in questo momento, non sembrano aver interesse ad accelerare la sfida bilaterale sullo sfondo di un Pianeta in ebollizione.Xi Jinping infatti guida un Paese che per la prima volta da decenni è in ritardo sulla crescita, teme che la crisi dell’immobiliare contagi il sistema finanziario ed ha un problema di carenza di affidabilità – o corruzione – nei propri stretti collaboratori che ha portato al siluramento dei ministri degli Esteri e della Difesa nonché di alcuni dei più alti responsabili militari. Per non parlare del tallone d’Achille sui semiconduttori: il “decoupling” americano priva la Cina del tassello decisivo per lo sviluppo tecnologico, per il semplice motivo che i microchip oggi vengono creati in gran parte a Taiwan ed in California, e dunque il sorpasso dell’economia cinese nel 2030 rischia di sfumare. Joe Biden da parte sua è talmente esposto su Ucraina e Medio Oriente da rischiare un pericoloso boomerang sulla politica estera in occasione delle presidenziali del novembre 2024 e dunque ha bisogno di contenere le crisi, promuovendo stabilità, anche per sostenere la crescita economica interna allontanando i fantasmi sollevati venerdì da Moody’s con la decisione di abbassare il rating degli Stati Uniti da “stabile” a “negativo”. Tantopiù che, secondo gli ultimi sondaggi, il 78 per cento degli americani considera “molto importante” evitare una guerra contro la Cina popolare.Insomma, se Xi ha bisogno di rassicurare gli investitoristranieri per allontanare i fantasmi della crisi finanziaria, a Biden serve un risultato del summit di San Francisco per disinnescare lo scenario di un confronto aperto con Pechino durante la campagna presidenziale. Da qui la possibile convergenza sul terreno che può servire ad entrambi: la sicurezza economica globale. Il consigliere nazionale per la sicurezza di Biden, Jake Sullivan, in un recente articolo suForeign Affairs indica infatti la maggiore sfida per l’America nella gestione della “competizione nell’età dell’interdipendenza”, indicando la necessità di far convivere partnership e rivalità con i maggiori avversari globali degli Stati Uniti. Ed il recente G7 di Hiroshima ha indicato proprio la necessità di “definire la sicurezza economica”, suggerendo di elaborare formule capaci di sostenere le economie dei Paesi più avanzati anche in uno scenario di gravi crisi che si prolungano nel tempo. Questo spiega perché l’agenda che la Casa Bianca ha preparato per l’incontro Biden-Xi punta a disinnescare le attuali crisi più serie – stallo su Taiwan, l’arrivo dalla Cina della droga Fentanyl, conflitto Israele-Hamas e disaccordi sul clima in vista di Cop28 – per poter affrontare l’urgenza della “sicurezza economica globale”, priorità per entrambi.Resta da vedere se Xi coglierà l’opportunità del summit per siglare una tregua geostrategica con Biden, al fine di dare più impeto alla crescita economica di entrambi, oppure se vedrà nell’approccio della Casa Bianca un sintomo di debolezza, accelerando nella scelta del “Sud Globale contro le democrazie” al fine di rendere inesorabile il “declino dell’Occidente” di cui parla il leader russo Putin. L’ambasciatore cinese a Washington, Xie Feng, si è affidato al “New York Times” per far sapere alla Casa Bianca “le rassicurazioni che cerchiamo” sull’impegno Usa a “non cercare cambi di regime a Pechino, non volere una nuova Guerra Fredda, non sostenere l’indipendenza di Taiwan e non cercare il decoupling dalla Cina”.Sarà il summit di San Francisco a dirci se le relazioni Usa-Cina possono essere “stabilizzate” e dunque passare ad essere da un acceleratore di instabilità globale all’esatto opposto. Molto dipenderà anche dal rapporto personale fra i due leader. Anche perché è l’assenza di una lunga lista di accordi bilaterali da siglare – come avveniva in occasione dei bilaterali con i presidenti George W. Bush e Barack Obama – a suggerire che a fare la differenza sarà il dialogo diretto fra i leader dei due Paesi più ricchi del Pianeta. In attesa di sapere come andrà, il mondo trattiene il respiro e punta gli occhi su San Francisco per tentare di comprendere se il summit Usa-Cina avvicinerà o allontanerà lo scenario della “guerra mondiale a pezzi”.