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 2023  novembre 12 Domenica calendario

La disputa sul luogo delle meditazioni di Sant’Agostino

Il santo se n’è andato senza lasciare l’indirizzo. Ha indicato il luogo: Cassiciacum. Ma il soggiorno risale al 386. I secoli hanno cancellato tutte le tracce. Hanno trasformato i nomi. Il luogo è rimasto solo un indizio. E l’incertezza è diventato un enigma. Ha solo due soluzioni. Non dovrebbe esser complicato. Eppure: sono passati 1.637 anni, e ancora niente (ma attendete la fine di questo articolo). Chiamiamola contesa: Cassago Brianza, provincia di Lecco, o Casciago, provincia di Varese? Oggi, due placidi paesotti dell’alta Lombardia. Distano una cinquantina di chilometri. Nessuno dei due supera i 5 mila abitanti. I nomi non dicono niente? Comprensibile. Allora bisogna aggiungere: Agostino, nato a Tagaste (Algeria) nel 354, berbero, di madre (Monica) cattolica, studente prodigio, insegnante di retorica, supremo peccatore, lussurioso, amante delle gozzoviglie, in adolescenza pure ladro (furto veniale, confessato), passato da Roma e infine approdato a Milano, nell’anno 386 si converte. Lo fa dopo aver compreso come leggere la Bibbia, grazie al vescovo Ambrogio. Poi parte con madre, figlio, fratello e amici «per la casa di campagna». Destinazione: la villa offerta dall’amico Verecondo, insegnante di grammatica. Dove si trova la casa? Fuori Milano, a nord, verso le montagne, vicino a un irruens torrente: in località Cassiciacum (l’indirizzo/indizio è nelle Confessioni, libro IX).
Dopo quella di San Paolo, la conversione di Sant’Agostino sta alle fondamenta del cristianesimo. Ecco perché, da secoli, gli studiosi si interrogano sul luogo esatto in cui abbia trascorso i mesi successivi, tra la fine dell’estate del 386 e l’inizio dell’anno seguente. È il periodo di preparazione al battesimo: lo celebrerà Sant’Ambrogio, a Milano, la notte di Pasqua tra 24 e 25 aprile 387.
Dunque, qual è il paese che corrisponde all’antico toponimo latino? Cassago o Casciago? Brianza o Varesotto? Giallo storico, documentario, filosofico, filologico. «Siano rese grazie a te, Dio nostro... Compensa Verecondo per quella sua terra a Cassiciaco, dove ho trovato pace dal fervore del mondo in Te» (Confessioni, IX). In oltre un millennio e mezzo, non sono emersi altri documenti, attestazioni, indicazioni certe. Ergo, non se ne troveranno. Il mistero permane intatto. Resta un solo strumento d’indagine: la linguistica.

Prima di tutto: perché la vexata quaestio è di tanto interesse? A Cassiciacum Agostino scrive i suoi primi dialoghi filosofici: Contra academicos, De ordine, De beata vita, più i Soliloquia. Già questi scritti, scrive Giovanni Catapano, insieme agli altri dialoghi di poco successivi «basterebbero ad assicurargli un posto di rilievo nella storia della filosofia». In queste opere Agostino definisce il concetto di ordine governato da Dio (ordine delle cose, della creazione, dell’essere, della natura, degli eventi, delle cause, della vita morale, degli studi). Struttura il suo pensiero nella metafisica neoplatonica dell’Uno, come approdo di salvezza nel massimamente semplice che è Dio, contro la molteplicità in cui si dissipa l’esistenza dell’uomo. Scrive una metafora sulla provvidenza che resterà nella storia: «Poniamo che uno ci veda così poco, che il suo sguardo riesca a percepire in un pavimento a mosaico solo una tessera per volta...».
Infine, contemplando l’ordine divino, inizia a mettere a tema la domanda sul male, che lo tormentava fin da quando era manicheo. Si chiede perché «le membra della pulce sono disposte in modo mirabile e perfetto, mentre la vita umana è turbata e sconvolta dalla successione incostante di innumerevoli tempeste» (De ordine). È l’interrogativo che attraversa le Confessioni e, con una potenza speculativa e stilistica straziante, resterà per sempre incastonato nella cultura Occidentale: unde malum. Da dove viene il male. Perché il male.
Ecco i motivi per cui, ancor oggi, ha senso capire dove fosse la piccola accademia filosofica di Agostino tra l’autunno e l’inverno del 386. Ma il dubbio perdura. Dai testi di alcuni tra i maggiori studiosi contemporanei: «L’identificazione della località non è del tutto sicura» (Manlio Simonetti, introduzione ai Soliloquia, Fondazione Valla – Mondadori). «Cassago Brianza e Casciago di Varese da sempre si disputano l’onore di essere state la sede della villa di Verecondo» (Maria Bettetini, La misura delle cose, Rusconi). «Oggi si tende a identificare (la località, ndr) con Cassago Brianza» (Giovanni Catapano, introduzione a Tutti i dialoghi, Bompiani).

Il più celebre investigatore nella disputa si chiama Alessandro Manzoni. All’inizio del 1843, lo scrittore riceve una lettera da Jean-Joseph Poujoulat. È uno storico francese. Sta lavorando a una Histoire de Saint Augustin. Chiede aiuto per l’identificazione di Cassiciacum. La risposta di Manzoni è datata 11 luglio 1843. È una sorta di approfondito dossier. L’autore dei Promessi sposi accenna: «Una tradizione abbastanza diffusa, anzi la sola che esiste», indica Cassago, «villaggio a otto leghe a Nordest di Milano». All’epoca, il culto agostiniano nel paese brianzolo ha già qualche secolo di storia. È tradizione stratificata. E difesa. Ma non esistono documenti che attestino la presenza del santo, aggiunge Manzoni. Che poi accende il suo genio linguistico. Su toponimi e parlate lombarde, gioca in casa.
Primo, smonta la corrispondenza con Cassago: «La trasformazione dell’antico Cassiciacum in Cassago mi sembra forzata». Argomenta: «Difficile credere che la desinenza in ago..., alterazione naturale di acum, abbia potuto sostituirsi a iciacum, facendo sparire una sillaba di suono così marcato». Di fatto, nell’evoluzione dei toponimi dal latino al volgare, ago sostituisce acum o agum, iacum o iagum, ma non erode anche la consonante precedente. Manzoni fa alcuni esempi, ancor oggi familiari ai lombardi: Biliciagum è diventato Bellinzago, non Belago; Ambreciacum ha dato origine a Imbersago, non Imbrago. Da qui, l’intuizione: «Da tempo ero stato colpito dalla somiglianza ben più forte tra Cassiciacum e il nome d’un altro villaggio, Casciago». Il percorso sarebbe: Cassiciacum diventa Cass(i)ciago; poi cade la prima i, dunque Cassciago; infine, Casciago. «Non vi sarebbe stato altro mutamento che la semplice soppressione della i: cosa abbastanza ordinaria nel milanese».
Il libro di Poujolat su Agostino viene stampato a Parigi nel 1845. Riporta in appendice la lettera di Manzoni. Nel 1871 il glottologo Giovanni Flechia sostiene che lo scrittore «ha con grandissima verisimiglianza identificato l’odierno Casciago del distretto di Varese». In quel momento però, e fino ai giorni nostri, Manzoni è già messo in minoranza dal partito Cassiciacum-Cassago. Il suo più agguerrito oppositore è monsignor Luigi Biraghi, dottore della biblioteca Ambrosiana. Nel 1854 sostiene che la lectio corretta della località indicata da Agostino non sia Cassiciacum, ma Cassiacum: da cui, in via lineare, Cassago. L’ipotesi verrà travolta dai filologi che lavorano sui codici più antichi delle Confessioni. Ma intanto Biraghi ha mandato i suoi studi a Parigi. Nell’edizione successiva dell’Histoire, Poujoulat rinnega Manzoni. E fa ammenda per le «informazioni inesatte».
Cassago si impone però definitivamente negli anni Trenta del Novecento. Lo studioso d’eccezionale fama Carlo Salvioni, in un articolo postumo del 1927, in una nota, inserisce una sorta di digressione su Casciago (ipotizza un’etimologia non derivante da Cassiciacum). La marginale supposizione viene data per scontata dal linguista Dante Olivieri (altra autorità). E da lì rotola fino al lemma Casciago nel Dizionario di toponomastica pubblicato nel 1990 da un gruppo di studiosi di alto valore. Secolare vulgata «per supina accettazione».
Da qui (forse) si può iniziare a sciogliere l’enigma.

Nel 2023 ricorrono i 1.300 anni dal trasporto delle reliquie di Agostino a Pavia. Il «Comitato Pavia città di Sant’Agostino» ha organizzato una densa serie d’eventi. Molta attenzione è dedicata all’arca, il capolavoro trecentesco di scultura gotica che custodisce le spoglie del santo in San Pietro in Ciel d’Oro. Al monumento è dedicato un recente volume, Agostino e la sua arca a Pavia (Nomos edizioni), curato dal chirurgo-umanista Renzo Dionigi. Che racconta: «Dopo aver avuto il libro, il cardinale Gianfranco Ravasi mi ha detto: “È un gioiello”»). Nella pubblicazione, due saggi tornano sulla vexata quaestio. E la ribaltano.
«Ci si limita ad alcune proposte di aggiornamento delle argomentazioni di Manzoni (che non risulta da documenti suoi essersi ricreduto)», scrive Angelo Stella, storico della lingua e accademico della Crusca, fino a pochi mesi fa presidente del Centro nazionale studi manzoniani. «Senza alcun pregiudizio campanilistico», il professore s’è immerso tra repertori e codici. Ha individuato 22 atti, per lo più notarili, datati tra il 1069 e il 1272. Tutti d’area insubrica, da Milano a Varese. Ha trovato alcuni Cascliago e Casclago, cinque Castiago (ma quattro redatti da un solo notaio), decine di Casgiago.
La variabilità non inganni, è anzi segno che lì in mezzo, nella pronuncia coeva, c’era il suono sc: in mancanza d’una norma grafica, ogni scriba cercava di tradurlo al meglio nello scritto. I più colti (ri)latinizzavano; gli altri adattavano solo la forma grafica alla fonetica. In ogni caso, passaggi nell’evoluzione Cassiciacum-Casciago: secondo gli esiti «delle nuove tecniche della linguistica scientifica». E dunque, la conclusione del saggio di Pierluigi Cuzzolin (Istituto lombardo Accademia di scienze e lettere, che vanta tra i propri associati quattro premi Nobel): «Quindi a noi pare proprio che il paese di Casciago, dal punto di vista linguistico, possa vantare tutti i requisiti per farne esito impeccabile di Cassiciacum».