La Lettura, 12 novembre 2023
La scienza non è neutrale
Il grande fisico danese Niels Bohr diceva, a proposito della bomba atomica in procinto di essere costruita a Los Alamos, che sarebbe stato un ordigno terribile, ma anche l’inizio di una «Grande Speranza». Infatti Bohr condivideva con Oppenheimer, direttore del Progetto Manhattan per la costruzione della bomba, un certo ottimismo. Un controllo internazionale sull’energia atomica avrebbe reso possibile un «mondo aperto» fondato sui valori della scienza. Per Bohr era la cultura umanitaria della ricerca scientifica che poteva garantire il progresso, la razionalità e la pace. «La conoscenza è per sua stessa natura alla base della civiltà». Ma i «valori della scienza» non celavano a loro volta insidie e imprevisti? E come potevano i valori della scienza conciliarsi con la costruzione di una bomba di potenza inaudita?
Nel suo recente film Oppenheimer, Christopher Nolan ci fa capire come la produzione, inizialmente esaltante, di una bomba innescata dai meccanismi di fissione nucleare, finì presto per intrecciarsi a equivoci e malintesi, illusioni e debolezze individuali, ingenuità e calcoli politici, ambizioni e coscienza del peccato. Prendeva così forma un destino paragonabile alla ballata goethiana dell’Apprendista stregone, che scatena, per curiosità o per un presunto vantaggio, forze che non conosce e non sa controllare. I paralleli col mito, la religione e la letteratura non mancano: Oppenheimer fu paragonato da Bohr a un nuovo Prometeo, e lo stesso Oppenheimer disse una volta che, alla vista del fungo atomico, ripensò ai versi della Bhagavad Gita in cui Vishnu, personificazione divina dell’energia solare e origine di tutte le cose, era pure morte e distruzione.
Dialoghi esemplari, che Nolan desume in parte dal libro Oppenheimer di Kai Bird e Martin J. Sherwin, rivelano il vero nodo del problema: la scienza è neutrale e tutto dipende da come la si usa, oppure lo scienziato deve attribuirsi la responsabilità, se pur indiretta, dell’uso delle sue invenzioni?
La storia dà qualche indicazione. Nel gennaio 1939, alla notizia che due chimici tedeschi avevano scoperto la fissione, il fisico Luis W. Alvarez chiede costernato: «A che cosa stiamo pensando?» La risposta di Oppenheimer non lascia dubbi: «Una bomba, Alvarez, una bomba». Dunque la scoperta teorica fu subito accompagnata, ancor prima dell’inizio della guerra e indipendentemente da qualunque incarico assegnato dal governo, dall’idea che si poteva costruire un’arma di violenza mai conosciuta.
In seguito Oppenheimer confessò che si trattava inizialmente di «un impegno gradevole, piacevole e bello», alimentato dalla convinzione che «noi possiamo sollevare la pietra senza essere pronti a fronteggiare il serpente che vi sta sotto» e che, «anche se la stiamo costruendo [la bomba], non possiamo decidere come sarà usata». L’invenzione della bomba atomica era fin da principio un azzardo, che non riguardava solo l’uso militare che se ne sarebbe fatto, ma anche le dimensioni della deflagrazione in sede sperimentale, perché non si poteva escludere che lo scoppio dell’ordigno incendiasse l’atmosfera terrestre.
Quale urgenza costringeva Oppenheimer e i suoi colleghi ad affrettare la costruzione della bomba? C’era innanzitutto il pericolo che la Germania la costruisse per prima. Ma c’era pure una ragione più riposta, che riguardava la finalità e la stessa natura della ricerca scientifica, dominata da un diffuso orientamento pragmatico che associava alla conoscenza la volontà di volgerla in realtà effettiva. Lo rivelava una dichiarazione di Oppenheimer a proposito dell’«aggeggio» (la bomba): «Noi siamo teorici, noi ci possiamo immaginare il futuro, e ciò ci fa orrore. Ma essi [gli esseri umani] non avranno paura finché non l’avranno capito, e non l’avranno capito finché non l’avranno usato». Insomma si doveva procedere fino in fondo, fino a che l’aggeggio fosse effettivamente realizzato e sperimentato.
La sperimentazione ebbe luogo a Los Alamos e il successo del test atomico provocò l’esclamazione euforica dello scienziato: «Ha funzionato!». Ma l’euforia fu subito smorzata dal gelido avvertimento di un addetto militare: «Con tutto il rispetto, dottor Oppenheimer, ora ce ne occupiamo noi». Il seguito è ben noto: il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki fu appreso per radio da un Oppenheimer già virtualmente emarginato, e fu subito evidente che la bomba fu sganciata per mero calcolo politico. Nell’agosto 1945, commentò il fisico Patrick Blackett, i giapponesi erano virtualmente sconfitti, e la bomba fu usata per non condividere con i sovietici un’occupazione del Giappone nel dopoguerra. «Si può solo immaginare la fretta con la quale le due bombe – le sole due bombe esistenti – sono state trasportate attraverso il Pacifico per essere sganciate su Hiroshima e Nagasaki appena in tempo, ma solo appena, per essere certi che il governo giapponese si arrendesse solo alle forze americane». Fu questo il primo atto di guerra fredda verso l’Unione Sovietica.
Una delle scene più efficaci del film di Nolan è l’incontro di Oppenheimer col presidente Truman, magistralmente interpretato da Gary Oldman. A questi Oppenheimer dichiara di sentirsi le mani sporche di sangue. Truman accenna a dargli un fazzoletto per asciugarsele, chiedendo: «Lei crede che a un giapponese importi sapere chi ha costruito la bomba o chi ha ordinato di sganciarla?». La domanda retorica implicava la convinzione che la responsabilità dell’impatto dell’invenzione scientifica sul genere umano non fosse una prerogativa della scienza, ma della politica. La scienza è neutrale, era sottinteso, e tutto dipende da come la politica decide di usarla. Ma proprio la scienza, indipendentemente dalla politica e prima delle necessità politico-militari subentrate con l’avvento della guerra, aveva intravisto in una scoperta l’idea della bomba.
In realtà la scienza non è affatto neutrale. La scoperta scientifica viene al mondo con un alone di intrinseca credibilità, di indubbia effettività e di invincibile potenza, che determina fin da principio il destino e la finalità delle sue applicazioni. Poco importa se Oppenheimer dovrà subire un’inchiesta, ai limiti della legalità, mossagli contro da Lewis Strauss, un politico abile e astuto, di nessun profilo scientifico e tuttavia presidente dell’Aec, la Commissione per l’Energia Atomica. La vittoria finale sarà di una scienza impersonale e tirannica, destinata a dominare il mondo avvenire. Ad essa i politici e i militari dovranno sempre conformarsi nel ponderare le loro strategie, per il semplice fatto che la scienza è diventata la suprema produttrice di forza, della potenza di erigere e abbattere ordini e mondi.
Nel film di Nolan emerge anche una convinzione diffusa sul presunto ruolo subordinato della matematica, di cui a volte gli stessi fisici si fanno sostenitori. La matematica è lo strumento necessario per elaborare modelli della natura; ma il suo ultimo significato può sfuggire, specialmente a chi rimanga sorpreso nell’apprendere che essa è un sapere con un suo speciale statuto ontologico e una propria finalità.
Si diceva che le relazioni di Oppenheimer con i matematici dell’Institute for Advanced Study di Princeton, quando egli ne era il direttore, fossero disastrose. Nel prevederlo, forse, John von Neumann si era già dichiarato contrario alla sua candidatura alla direzione dell’Institute. Albert Einstein diceva incidentalmente a Oppenheimer che la sola cosa che gli sembrava di condividere con lui era il disprezzo per la matematica. Quando ipotizzava l’esistenza di un collasso gravitazionale che ingoia le stelle morenti, Oppenheimer diceva che era la matematica a suggerire le sue conclusioni: «Ma ciò che io ho è solo teoria. Cosa che non può incidere sulla vita delle persone».
Tuttavia la tesi che la «teoria» non può incidere sulla vita delle persone è insostenibile. È ingenuo pensare che la possibile distruzione o decadenza del genere umano dipendano solo dalle conseguenze fisiche dell’esplosione di una bomba. L’uso della bomba nucleare rimane oggi il massimo pericolo latente, insito in ogni tipo di conflitto. Ma anche la matematica condiziona non poco le nostre vite, a causa delle deformazioni sistematiche indotte dalle sue applicazioni in ogni aspetto della nostra vita. È il caso dell’uso indiscriminato degli algoritmi e dell’Intelligenza artificiale, spesso paragonata a un meteorite pronto a investire la Terra. Contrariamente alla bomba, dall’effetto palesemente distruttivo, l’efficienza dei calcoli – il frutto più visibile di un pensiero relativamente astratto generalmente incompreso e sottostimato – si propone come un pacifico strumento di soccorso per l’umanità. Ma la matematica, anche la più teorica, non è né neutrale né ininfluente, perché può diventare il presupposto di una raffinata tecnologia dagli usi e dalle conseguenze imprevedibili, compreso l’uso delle bombe atomiche. E c’è un’insidia anche più sottile. In una lettera dell’aprile 1946, Einstein spiegava come «il terrificante deterioramento nel comportamento etico delle persone derivi oggi, fondamentalmente, dalla meccanizzazione e disumanizzazione della nostra esistenza, un disastroso sottoprodotto dello sviluppo della mentalità scientifica e tecnica. Nostra culpa! Non vedo alcun modo per eliminare questa pericolosa carenza». Infatti non si riesce a immaginare un rimedio, perché si dà il caso che mettere in dubbio il valore della scienza – riconducibile peraltro a una sapienza millenaria – provochi una barbarie ancora peggiore del «deterioramento» procurato dal lavoro coscienzioso e nichilistico dei suoi ministri e proseliti.