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 2023  novembre 11 Sabato calendario

Su Madame Bovary

«Su papà, vieni! E, credendo che scherzasse, gli diede una piccola spinta. Lui cadde a terra. Era morto. Trentasei ore dopo, su richiesta dello speziale, accorse il dottor Canivet. Lo aprì e non trovò nulla». Chi non ha mai letto Madame Bovary, capolavoro della letteratura mondiale di ogni tempo e mia personale ossessione – chiaramente, non solo mia – scritto da Gustave Flaubert tra il 1851 e il 1856, chi non ha mai letto Madame Bovary ne ha sicuramente sentito parlare. È la storia di una donna, gli avrà detto qualcuno, traviata dalla lettura di certi romanzetti, una donna insulsa protagonista di un grande romanzo. Ancora, gli avranno detto che Charles, suo marito, è un omuncolo miope e di scarsa intelligenza. Gli avranno detto che Emma Bovary non è un’eroina, e che Charles Bovary non è un eroe. Chi non ha letto Madame Bovary avrà comunque sentito in giro che Emma è una fedifraga, che scialacqua i soldi del marito, e che poi, caduta in miseria, si uccide. Chi non l’ha letto molto probabilmente penserà che Madame Bovary inizi e finisca con Emma, perché è appunto un romanzo il cui titolo è dedicato a lei; la nostra protagonista.Posso sembrare un po’ risentita con chi non ha letto Madame Bovary, o può sembrare, da quello che sto scrivendo, che io mi senta migliore di chi non l’ha letto. Purtroppo non è così, perché ci sono troppi libri importanti che non ho letto io. Io ce l’ho, ce l’ho personalmente, con chi, avendo letto questo romanzo, dà a Emma della donna senza spina dorsale, chi dice che la lettura dei romanzetti ha davvero un’influenza su di lei, chi sostiene che Emma non sia un personaggio monumentale – chi sostiene che non sia me, non sia te –, con chi dice che Charles, povero diavolo, non è che una macchietta. Del resto, ho cominciato quest’articolo con un pezzo del romanzo che sta poco proprio prima del finale: il medico apre il corpo di Charles, subito dopo la sua morte, e non trova nulla. Potrebbe essere la metafora di Charles, uomo che non ha mai capito Emma perché non ne aveva gli strumenti; che, in poche parole, dentro di sé non aveva niente. O potrebbe essere – e questo è per me – la metafora di un uomo che senza Emma non è più nulla, non ha più niente dentro. Emma è morta, e Charles non può che morire. Charles non è un uomo miope incapace di vedere che sua moglie lo sta tradendo, che sua moglie non l’ha mai amato. Charles è– per me – un uomo innamorato. Innamorato fino a dover diventare cieco per poter rimanere con Emma. Charles è l’unico personaggio ad amare davvero qualcuno in questo romanzo. E ha amato sempre la stessa persona, dall’inizio alla fine del nostro romanzo: Emma. Tanto che – e questo è uno dei miei brani preferiti di tutto il libro – quando Emma muore, lui: «Per piacerle, quasi fosse ancora viva, adottò i suoi gusti, le sue idee. Si comprò stivali di vernice, prese a portare cravatte bianche. Usava un cosmetico per i baffi e per imitarla firmò cambiali. Dall’oltretomba lei lo corrompeva». Dio, quanto amo questa frase. Questa Emma Bovary tramutata in spirito che invasa il corpo di Charles, questa Emma Bovary sorella delle protagoniste di Shirley Jackson, dei personaggi di Stephen King. Quanto amo che Emma sia un corpo, da quando lo conosciamo, completamente invasato dal desiderio, anzi dal Desiderio, e che non siano certo i romanzetti, o le feste a Parigi, o gli omuncoli – quelli sì, omuncoli – che incontra durante la sua vita e con cui tradisce il marito, e che non sia nemmeno sua figlia, l’arrivo di un figlio il motore che la rende felice o triste.Niente può rendere felice Emma Bovary. Perché lei è il Desiderio fatto essere umano, e l’essere desiderante per eccellenza. E ogni volta che il demone del Desiderio in lei viene appagato, ecco un altro desiderio apparire. L’adulterio si scambia con l’iper-devozione religiosa, la fantasia (che in realtà non parte da lei ma da suo marito) di un figlio si scambia con l’odio per questa bambina (femmina) che nasce e verso cui Emma non prova nulla. L’amore si scambia con la sottomissione. La mancanza dell’ultima sottomissione, quella per eccellenza, con la morte. Emma fa le cose per bene. Si butta a capofitto in questi desideri. E quando tutto è finito, quando non c’è più niente da desiderare, ecco che le rimane un’ultima ossessione: morire. Non morire buttandosi sotto un treno – come altre nostre amate eroine letterarie -, un tocco e via, la tua vita è finita. Ma avvelenandosi con l’arsenico, il cui delirio è dolorosissimo e straziante: quando decidi di morire con l’arsenico, sai che ci metterai giorni e che soffrirai come un pazzo. Eppure lei lo fa, sposa quest’ultimo desiderio con tutto il suo cuore: morire invasata dal desiderio della morte.Come poteva non essere denunciato dalla morale un libro così? Un libro libero. Spietato. Che non ha rispetto di nessuno, neanche del Cielo. Un libro però a suo modo pienissimo di compassione per l’umano. «Si frugò in tasca per palpare la lettera ma non osò aprirla», questo è il padre di Emma, papà Rouault, che sta correndo a cavallo verso Yonville perché gli hanno mandato una lettera da cui ha capito che Emma sta molto male, o è morta. «Giunse a supporre che si trattasse magari di una burla, la vendetta di chissà chi, il ghiribizzo di un ubriacone. Se del resto era morta, non lo si sarebbe saputo? Ma no! Non c’era alcun segno straordinario sulla campagna, il cielo era azzurro, i rami oscillavano al vento, passò un gregge di pecore. Scorse il villaggio; lo videro affrettarsi tutto curvo sul suo cavallo e staffilarlo tanto che le redini gocciolavano sangue». Nemmeno per la morte della sua unica figlia, il cielo, la campagna, o i rami si muovono. Tutto è come deve essere, tutto è come vuole essere; e tu non sei che un nulla che ondeggia o non ondeggia al vento, mentre altre vite nascono, crescono, deperiscono e muoiono col loro eterno chiacchiericcio tutto intorno a te. Per sempre.