Tuttolibri, 11 novembre 2023
Sugli schiavi dell’antichità
«Senza gli schiavi, ventimila ateniesi non avrebbero potuto deliberare tutti i giorni sulla pubblica piazza», scriveva Benjamin Constant nel suo Discorso sulla libertà degli antichi comparata con quella dei moderni (1819). Un approccio realistico al mondo dell’antica Grecia che implicava una visione critica della tanto celebrata democrazia di Atene. La critica però diventa elogio, alcuni decenni più tardi, nelle parole di Thomas Cobb, generale dell’esercito confederato durante la guerra civile americana, morto combattendo i nordisti a Fredericksburg. Cobb scriveva, infatti, nel suo Historical Sketch of Slavery (1859): «Lo schiavismo è un elemento essenziale in una vera repubblica, per preservare una perfetta eguaglianza tra i cittadini e per far crescere e incoraggiare lo spirito di libertà». Si parla, ogni tanto, di «abuso» degli antichi. Ma ci sarebbe da chiedersi se quello di Cobb fosse davvero un «abuso»: gli ateniesi del tempo di Pericle o i romani dell’età di Giulio Cesare, probabilmente, si sarebbero riconosciuti pienamente nelle sue parole.Il tema dello schiavismo nel mondo antico è discusso da tempo. Negli ultimi decenni, attenuatosi anche l’influsso della dottrina marxista sugli studi storici, si è talvolta cercato di sfumare la visione proposta da grandi storici come Moses Finley che individuava in Atene e Roma due «società schiavili» (slave societies) in cui il ricorso alla manodopera servile era largamente diffuso e fondamentale per sostenerne la struttura. Ma in questo libro Luciano Canfora, con il suo straordinario rigore filologico e con la sua visione non consolatoria del mondo antico, rimette al centro il grande tema della schiavitù. Insistendo soprattutto su due motivi: la connessione tra guerra e schiavitù e il numero impressionante degli schiavi, variamente attestato da testimonianze antiche sulle quali molti storici moderni hanno esibito un non giustificato scetticismo.Per il primo tema, schiavi e guerra, suggerisce Canfora, basterebbe iniziare leggendo Omero. Tutta la trama dell’Iliade nasce, del resto, dalla contesa tra Achille ed Agamennone intorno a due schiave di guerra. Che la conquista di una città, oppure le razzie piratesche in cui i greci, come i fenici o gli etruschi, si distinguevano fin dai tempi più remoti, servissero anche per rifornirsi di manodopera servile è nozione ovvia nei poemi omerici. E non è un’invenzione poetica ma un tratto realistico. Si leggano, per esempio, le parole di Ettore ad Andromaca in uno dei passi più celebri dell’Iliade. L’eroe troiano ha ben chiara la visione di cosa lo attende dopo la sconfitta. Sa che lui e gli altri guerrieri cadranno in battaglia ma prefigura anche il destino di sua moglie: «Io penso a te, a quando qualcuno degli Achei vestiti di bronzo ti priverà del giorno della libertà e ti trascinerà via in lacrime; a quando in Argo dovrai tessere stoffe per un’altra donna o porterai acqua dalle fonti, contro il tuo volere, costretta dalla dura necessità; e forse qualcuno dirà vedendoti piangere: “È la sposa di Ettore che fra i Troiani domatori di cavalli era il più forte quando si combatteva intorno a Ilio”. Ma possa io morire, possa ricoprimi la terra prima che ti sappia trascinata in schiavitù». Vari episodi della storia greca, evocati da Canfora, confermano questa realtà. Per esempio, nel 416 a. C., la vendita sul mercato degli schiavi di tutte le donne e i bambini dell’isola di Melo, schiacciata dagli ateniesi. Del resto, lo diceva anche Eraclito, per una volta almeno con parole tutt’altro che oscure: «La guerra (polemos) è padre di ogni cosa, è il re di ogni cosa. È la guerra che ha reso alcuni schiavi, altri liberi».Ma quanti erano effettivamente gli schiavi nelle società antiche? Le testimonianze concordano sul fatto che il loro numero era alto. L’oratore Lisia diceva che «tutti gli Ateniesi posseggono schiavi». Una circostanza che, scrive Canfora, sembra confermata anche da una commedia di Aristofane, il Pluto, dove il protagonista, Cremilo, sebbene afflitto dalla povertà, ha tuttavia almeno due schiavi. Del resto, Tucidide racconta che, nel 413 a. C., approfittando dell’invasione spartana nel territorio dell’Attica, ben ventimila schiavi fuggirono da Atene. Mentre, secoli più tardi, stando alla testimonianza di Tito Livio, i romani razziarono addirittura 150mila schiavi dall’Epiro. Nel mercato di schiavi dell’isola di Delo, uno dei centri commerciali più importanti del mondo antico, secondo il geografo Strabone, si arrivava del resto a vendere decine di migliaia di schiavi in un solo giorno. Non c’è motivo, dice Canfora, di dubitare di queste cifre, come spesso si è fatto. Ci si può così rendere conto anche della dimensione reale delle cosiddette guerre servili che spesso afflissero il mondo romano (culminando nella celebre rivolta di Spartaco). Guerre in cui, secondo un altro erudito, Ateneo, morì più di un milione di schiavi.Un libro, insomma, quello di Canfora, che non è solo un esercizio avvincente di critica filologica e di ricostruzione storica, ma anche un antidoto al fiume di melassa classicistica che, spesso, nella pubblicistica corrente, avvolge la realtà del mondo antico. —