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 2023  novembre 10 Venerdì calendario

“L’ACCORDO CON L’ALBANIA È UNA MISURA TAMPONE, MA L’IMMIGRAZIONE È UN DATO STRUTTURALE DEL PIANETA” – ANCHE MARCO MINNITI MOLLA LA MELONI. L’EX MINISTRO DELL’INTERNO E PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE MED-OR DI LEONARDO, ULTIMAMENTE CONCILIANTE CON LA DUCETTA, STRONCA L’INTESA CON EDI RAMA: “RESTA IL NODO DEI RIMPATRI E L’EXTRATERRITORIALITÀ COMPORTA DEI RISCHI. IL PRECEDENTE LONDRA-RUANDA NON FUNZIONÒ. SU QUESTI TEMI NESSUNO SI SALVA DA SOLO. E L’UE NON PUÒ NON OCCUPARSI DI TUTTO CIÒ PERCHÉ…” -

Marco Minniti cosa pensa dell’accordo Italia-Albania? «L’unico precedente è quello con Regno Unito-Ruanda del 2022. A oggi non è stato trasferito alcun migrante. Aggiungo: la preoccupazione per loro era l’immigrazione albanese. Non fossero cose serissime si potrebbe dire: la Gran Bretagna voleva portare gli albanesi in Ruanda, noi gli africani in Albania, non mi sembra una prova di grande lungimiranza».

Aveva lodato la linea Meloni. Ha cambiato idea? «Avevo apprezzato l’idea di un patto con l’Africa […]. Due mesi dopo, in uno scenario destabilizzato dall’attacco di Hamas, dal Mediterraneo orientale in fiamme e dai rapporti mutati con i paesi arabi moderati — elementi che influiranno tutti sui flussi migratori — mi sembra prevalga la tattica sulla strategia».

[…] Il rischio? «Un esempio: un richiedente asilo ha diritto a nominare l’avvocato e parlarci. Cosa accadrà? Andranno gli avvocati in Albania? Verrà lui? Chi pagherà? Non vorrei che questa complicata gestione mettesse in dubbio il diritto alla difesa, soprattutto di un richiedente asilo. C’è il rischio che le tensioni col sistema giudiziario si amplifichino».

L’idea è risolvere tutto in 28 giorni. Pochi? «Tempi difficilmente rispettabili. In ogni caso mi sembra consolidato un punto: o vengono velocemente rimpatriati o tornano in Italia. Ritorna quindi il nodo dei rimpatri con i Paesi di partenza quindi il tema dell’Africa.[…]».

Secondo lei? «È chiaro che è una misura tampone che va nella logica dell’emergenza. Ma l’immigrazione è un dato strutturale del pianeta. Se era vero prima del 7 ottobre, questo principio diventa ancora più importante. Anzi vitale. C’è bisogno che l’Ue faccia sentire la sua voce. Invece anche stavolta ha scelto di non avere ruolo».

Scelto? «Il Consiglio d’Europa ha trovato una difficile mediazione sulle pause umanitarie, ma poi, all’assemblea Onu, l’Ue non è stata in grado di presentare alcun punto di vista unitario. E, al momento del voto, si è divisa in tre: una parte a favore della mozione della Giordania, una astenuta, un’altra contraria. Il segno dell’ininfluenza».

Il governo motiva l’accordo con la pressione record. L’Ue è stata lenta a decidere? «Ha perso una serie di occasioni. L’ultima al vertice straordinario di Malaga, dove bisognava presentare il piano di sostegno economico per l’ Africa e la proposta di un patto con Unione Africana e Onu per contrastare flussi illegali e costruire percorsi legali. Se queste scelte fossero state fatte prima del 7 ottobre l’Europa avrebbe lanciato un ponte di fiducia verso l’Africa e il Mediterraneo di grandissimo valore nell’attuale tempesta».

Anche la Germania pensa a un accordo simile. Sbaglia? «Su questi temi nessuno si salva da solo. E l’Ue non può non occuparsi di tutto ciò perché un pezzo grande del suo destino è legato all’Africa. Più tardi lo capirà e peggio sarà per Europa. Non vorrei che l’idea dell’hot-spot albanese fosse l’abbandono di quella strategia. […]».