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 2023  novembre 10 Venerdì calendario

Intervista a Siddhartha Mukherjee


Oncologo, professore di medicina alla Columbia University, vincitore del Pulitzer con ilmemorabile saggio L’imperatore del male: una biografia del cancro. Il biologo americano di origini indiane Siddhartha Mukherjee è una vera mente rinascimentale, un medico che nei suoi libri ha approfondito l’aspetto genetico oltre che quello oncologico, e che ora propone un viaggio affabulante nella biologia cellulare con Il canto della cellula: un’esplorazione della medicina e dell’uomo nuovo (Mondadori). La capacità di irretire lettori a digiuno di materie mediche, ricostruendo il cammino della scienza, dai dettagli di come nacque il primo microscopio, alla meraviglia di osservare le prime cellule, ha pochi paragoni nella letteratura scientifica contemporanea. È una missione cruciale, in questi tempi irrazionali e antiscientifici.
È affascinante considerare che discendiamo tutti da un’unica cellula primordiale. In un certo senso, ciò conferma l’ipotesi che tutto è uno. Quali sono le implicazioni scientifiche e filosofiche di questo fatto?
«Questo quesito cruciale risale ad Aristotele, ben prima della nascita della biologia cellulare. Come siamo fatti? Di cosa siamo fatti? La scissione tra scienze filosofiche e naturali nel rispondere a queste domande è molto moderna. I filosofi dell’antica Grecia e dell’India erano affascinati dalle questioni scientifiche, così come i grandi scienziati naturali come Newton e Einstein lo erano dalle conseguenze filosofiche delle loro scoperte. Non condivido la distinzione in due dipartimenti. Lo studio della cellula porta a chiederci:come può una cellula sapere come costruirci? Come fa a capire che deve costruire un umano, invece di una lucertola o un rinoceronte? Ma la cellula lo sa. Se osservi da vicino il procedimento cellulare scopri che mentre la cellula si divide in 2, 4, 8 cellule e così via, a un certo punto si delinea il contorno di un embrione nascente che poi diventa me o lei.
Sappiamo che questo dialogo, che chiamo “il canto della cellula”, riguarda molecole specifiche che si organizzano in modo da prendere una forma embrionica. Ciò dà il via a un procedimento il cuifunzionamento è affascinante.
Immaginiamo la costruzione di un palazzo di mattoni. Con quei mattoni puoi costruire mille variazioni. La materia prima è identica. Ma i mattoni stessi contengono le informazioni del progetto. Non ci sono muratori che costruiscono. I mattoni conoscono il progetto.
Questo è l’incredibile mistero. E se riesci a cambiare il progetto nel primo mattone avrai un palazzo completamente diverso. Stiamo per acquisire gli strumenti per poter cambiare il progetto fin dall’inizio.
Per questo il sottotitolo parla delnuovo uomo».
Spieghi ai lettori cosa intende.
«È l’idea di un essere umano con proprietà alterate nelle cellule.
Dobbiamo immaginarci oltre i limiti del codice delle cellule che abbiamo. Per esempio, umani che se ne vanno a spasso con nuove cellule. O con trasfusioni di sangue e quindi cellule altrui. O, a livello neurologico, con elettrodi collegati al loro cervello.
Per ora è una minoranza, ma stiamo già facendo alterazioni cellulari al corpo e quei corpi cambiano e si rinnovano. Quando si prendono gli antidepressivi o si impiantano deglielettrodi nel cervello per cambiare l’umore, la prima reazione è di dire: mi sento di nuovo me stesso. È molto interessante perché significa che i pazienti avevano un concetto di sé stessi e non riuscivano ad essere quel concetto. L’intervento cellulare li ha portati a un senso di sé che in realtà è un rinnovamento. Sono nuovi, anche se pensano di essere tornati a essere sé stessi».
Dai tempi di Gilgamesh gli umani cercano la pianta dell’immortalità fino ai miliardari di Silicon Valley o i ricconi americani che si iniettano il sangue dei figli per restare giovani.
Qual è il potenziale della ricerca cellulare in quest’ambito?
«Vivere per sempre nel nostro corpo mi pare un’idea spaventosa. Cosa intendiamo per immortalità? Se è quella fisica, corpo e cervello che vivono per sempre, credo sia una ricerca impossibile o molto difficile.
Ma vorrei cambiassimo la prospettiva di immortalità affinché vada oltre il corpo. Vorrei che la nostra ricerca diventasse una ricerca per l’immortalità delle nostre idee, o delle nostre “canzoni”. cioè quello che vogliamo comunicare, il nostro contributo al mondo, l’immortalità della nostra gentilezza. La mia idea di immortalità non è quella cellulare o fisica.
L’immortalità cellulare è una caratteristica delle cellule del cancro, il peggiore dei nostri mali.
Dobbiamo perseguire una diversa immortalità, grazie anche al mondo digitale, una ricerca guidata dal segno che lasciamo nel mondo, ilnostro contributo, le idee che abbiamo. Lasciamo l’immortalità cellulare al cancro e troviamo una immortalità umana che non dipenda dall’immortalità cellulare. Quando la missione è solo di tenere in vita un essere fisico in eterno, diventa corrompente e corrotto. Le mitologie hanno sempre messo in guardia sulla ricerca di immortalità senza scopo, una missione destinata a fallire. Penso alla leggenda di Titone che ottenne da Giove l’immortalità ma dimenticò di chiedere la giovinezza eterna.
Continuò a invecchiare fino a trasformarsi in una cicala: un altro mito che ci ricorda che l’immortalità non è la giovinezza. Se vivi per sempre e finisci gli scopi, incontri la maledizione di Titone».
Viviamo una fase storica antiscientifica. Negazionisti dei cambiamenti climatici, terrapiattisti, no-vax. Come scampare a quest’eterno ritorno all’autodistruzione oscurantista e antiscientifica?
«Gli scienziati si sono allontanati così tanto dalla tradizione umanistica, come dicevamo, che le persone non capiscono più la scienza. La mia missione è di ricostruire il cammino storico narrando errori e correzioni.
Per invertire l’impulso antiscientifico dobbiamo raccontare la storia della scienza. Descrivere il vero procedimento attraverso il quale abbiamo appreso, un cammino pieno di errori, ci abbiamo messo tempo, ma capendo gli sbagli che gli scienziati e noi umani abbiamo fatto, mi auguro che la brigata antiscientifica capisca che i fatti scientifici vengono raccolti attraverso un procedimento umano, non arrivano come rivelazioni.
Umanizzando il nostro cammino, indicando i rischi potenziali e quando abbiamo sbagliato e ci siamo corretti, mi auguro che tanta gente possa capire che bisogna allontanarsi dall’idea di un tecnocratismo elitario, come loro forse percepiscono la scienza, ma che capiscano invece che è un procedimento molto umano e che si sbagliano a negare i nostri risultati.
Dobbiamo tornare a umanizzare la scienza».