La Stampa, 10 novembre 2023
Il mercato del tessile è finito nel fango
Sono finiti nel fango gli impermeabili di Burberry, i maglioni di Cucinelli, le camicie di Dolce & Gabbana e tutta una storia di lavoro e di successo.
Sulla porta dello sfacelo c’è un operaio alla guida di un muletto. Si chiama Francesco De Biasi, carica le pezze da buttare. «Non ci dormo la notte per quello che è successo. Lavoro alla Beste da trent’anni, sono un ramosaio, addetto al finissaggio. Siamo tutti preoccupati».
Questo è il distretto di Prato che esporta filati nel mondo. Tutto il comparto del tessile è finito sott’acqua. Novemila micro imprese, più cento grandi aziende della moda. La Beste è forse quella che ha riportato i danni peggiori nell’alluvione del 2 novembre. Ha 285 dipendenti, tre stabilimenti produttivi, tre società controllate di cui una a Shanghai. Il fatturato del 2023 è intorno ai 90 milioni. Insomma: un piccolo colosso con i piedi nel fango.
Al settimo giorno, uno dei due fratelli fondatori, Matteo Santi, si aggira con gli stivali dentro il suo mondo in rovina. «Fino alle otto di sera del 2 novembre andava tutto bene. Il giorno prima, festivo, avevamo lavorato no-stop. Questo è il momento in cui produciamo i tessuti per la primavera del 2024».
E poi è successo: la tempesta d’acqua ha rovesciato 24 centimetri di pioggia in meno di tre ore, riempiendo un piccolo affluente del Bisenzio che passa qui dietro. «Si chiama Cambiaticcio: per nove mesi all’anno è in secca. È esondato in tre ore. Alle dieci di sera quindici operai si sono dovuti rifugiare al piano superiore, le auto nel parcheggio sono partite come barche alla deriva, lo stabilimento è finito sott’acqua. E c’era buio, la strada era interrotta. Solo molto più tardi, una ruspa è riuscita a aprirsi un varco per mettere tutti in salvo». Il segno sui muri dello stabilimento indica l’altezza dell’onda: 70 centimetri. Gli arredi, i computer, i macchinari: garze, cimatrici, smerigliatrici, la ramosa, i bruciatori, le stoffe per alcuni dei marchi più famosi del mondo. Milioni di euro di danni. E adesso la produzione è ferma.
All’ennesima alluvione italiana, le ricorrenze si sprecano. Ecco i primi due particolare significativi. Quel piccolo affluente, il Cambiaticcio, si butta nel Bisanzio proprio qui. Ma lo fa attraverso un passaggio intombato, che sembra una canna di fucile. E com’era quel passaggio? «Pieno di detriti, otturato dai sassi. L’acqua ha saturato subito il passaggio di cemento, così l’onda è uscita e si è riversata qui. Abbiamo le foto. E anche un precedente interessante», dice Matteo Santi. Ecco il secondo particolare. «Tempo fa, un imprenditore della zona ha pagato di tasca sua la pulizia degli argini del Cambiaticcio. Ha fatto tagliare tutte le canne che, in caso di pioggia, vanno giù e formano un tappo. E sapete cosa è successo a quell’imprenditore?». Ecco: l’imprenditore è stato multato perché non aveva l’autorizzazione per fare il lavoro.
«Adesso è questa la cosa che mi preoccupa di più», dice Matteo Santi. «Noi imprenditori siamo abituati a assumerci le responsabilità delle nostre decisioni, affrontiamo i problemi. Tutto questo non capita nella pubblica amministrazione, che si muove unicamente nel terrore di prevenire delle conseguenze. Il che genera ritardi e un asfissiante scambio di Pec. Non è che manchino le competenze amministrative, ma per prendere una decisione servono anni. La Regione Toscana è campionessa di burocrazia, nel rendere complicate le cose semplici. E noi, adesso, abbiamo una fretta tremenda».
È un doppio pantano, quindi. Stare fermi significa perdere le commesse. Perché il grande marchio della moda si rivolge altrove. Nessuno ti aspetta. Per questo il sindaco di Prato, Matteo Biffoni, lo ripete da giorni: «Abbiamo bisogno di risposte immediate. Il tessile non può fermarsi. Usiamo questo fine settimana per aggiustare gli argini e mettere tutti in sicurezza, ma da lunedì servono provvedimenti. Decontribuzione per i dipendenti, un fondo perduto per i macchinari da sostituire. Non c’è un solo giorno da perdere».
Il distretto viene da anni di alti e bassi. Il 2023 non è stato buono. «Confindustria stima un 20% di calo, io lo sento anche al 50%» dice l’imprenditore Riccardo Matteini Bresci, responsabile nazionale del «Sistema Moda». «Questa è una filiera. Tutte le aziende sono state colpite dall’alluvione. Adesso abbiamo il blocco della produzione. Il nostro problema è la liquidità. Abbiamo bisogno di un congelamento dei mutui bancari e dell’annullamento delle accise sull’energia. Avremmo anche bisogno dei ristori, ma se sono soldi come quelli per l’Emilia Romagna è inutile chiederli. Perché lì non li hanno mai visti».
Ricorrenze. Chi sarà il commissario per la ricostruzione? Il governatore Giani o il commissario Figliuolo? E mentre il tempo passa, mentre la pioggia ritorna a minacciare questo territorio – allerta arancione – ecco un altro esempio che spiega il pantano. «Prima toglievamo il fango e lo riversavamo nel torrente che lo portava via», dice Matteo Santi. «Ma qualcuno ha detto che non va bene. Bisogna portarlo nel depuratore di Prato. Perfetto: ma chi lo porta? Dobbiamo portarlo noi, pagando di tasca nostra. Il danno e la beffa. Ecco un caso di scuola»