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 2023  novembre 08 Mercoledì calendario

Questioni uterine. Intervista a Leah Hazard

Utero è un libro che vi stupirà. Prendere un organo del nostro corpo per sottrarlo agli stereotipi e farne il simbolo tangibile di una battaglia culturale fa tornare alla mente altri momenti, quando le femministe nelle piazze gridavano “l’utero è mio e me lo gestisco io”. Possibile che nonostante i diritti conquistati l’utero resti ancora il brutto anatroccolo della medicina ufficiale? Pochi i finanziamenti per la ricerca, ancora oggi. Leah Hazard, che ci risponde via Zoom dalla sua casa a Glasgow, in Scozia, è una ex giornalista della Bbc diventata ostetrica dopo un parto difficile. Ha scritto un saggio documentato, pieno di interviste, basato sull’esperienza sul campo, per smontare una concezione di femminilità emotiva, volubile, mistica, impulsiva. Uterina come ancora oggi si sente dire.
Da che deriva questo luogo comune?
«Per molti anni, la medicina e la filosofia antica hanno tramandato l’idea che l’utero vagasse per il corpo femminile e che dalla sua posizione derivassero le emozioni e i pensieri della donna. Quindi non ci si poteva fidare di lei, perché influenzata da un organo lunatico, capriccioso e caotico».

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Anche per questo la medicina occidentale ha trascurato l’utero?
«La medicina occidentale è fondata su una tradizione patriarcale. Per migliaia di anni, in realtà fino a tempi relativamente recenti, la maggior parte dei medici del mondo occidentale sono stati uomini e questi uomini hanno considerato il corpo femminile con sospetto e talvolta persino con disgusto e odio. Anche oggi, sebbene ci siano molte donne eccellenti in medicina, sopravvivono atteggiamenti del genere e stiamo ancora combattendo contro cliché profondamente radicati».
Perciò afferma che l’utero deve essere al centro di una battaglia culturale?
«Nell’utero convergono le idee sul potere, il controllo, il genere e la sessualità. Ingiustizie e diseguaglianze».
Tra cui la libertà della donna di riprodursi come desidera.
«La politica riproduttiva può essere usata come strumento di controllo, di oppressione delle minoranze e di gruppi che non piacciono a chi è al potere. Ci sono stati in America casi di isterectomia e sterilizzazione forzata di prigionieri, di detenuti immigrati e di donne ritenute mentalmente instabili. E naturalmente, in Europa, dove la sterilizzazione era uno strumento in voga tra i nazisti. La società patriarcale controlla e, prima di tutto, stabilisce cos’è la gravidanza e quando inizia la vita. E poi legifera su cosa le donne possono o non possono fare, se possono continuare o interrompere la gravidanza, e anche sulla contraccezione. Intorno a tutto ciò si gioca il ruolo dell’utero».
In questo senso sostiene che gli uteri sintetici saranno il futuro?
«Nel mondo ci sono moltissime donne che sono nate senza utero o che sono state costrette a rimuoverlo per motivi medici. E questo darebbe loro la possibilità di portare in grembo il proprio figlio. Possiamo discutere se questo sia corretto o appropriato eticamente, come accade già per la fecondazione in vitro, ma probabilmente dovremmo accettare che accadrà. Avere timori è saggio ma non può impedirci di fare progressi».
Come mai il diritto all’aborto ciclicamente viene rimesso in discussione?
«Stiamo assistendo a una revisione e restrizione di diritti che sembravano inviolabili parallelamente alla rinascita di un pensiero nazionalista, molto conservatore e di destra. Per consolidare il potere questi movimenti ultra conservatori puntano a cancellare i diritti delle donne e delle persone trans e non binarie nel tentativo di controllare la riproduzione per costruire il tipo di società che immaginano. Pensiamo alla sentenza Roe contro Wade che negli anni ’70 è stata fondamentale per la liberazione dell’utero, almeno negli Stati Uniti. Purtroppo, l’anno scorso, con la decisione della Corte Suprema, abbiamo assistito a un arretramento di questi diritti in molti Stati americani».
Lei denuncia qualcosa di ancora più subdolo: l’invisibilità delle donne.
«Mentre scrivevo il libro, ho parlato con molte persone che avevano cercato di ottenere assistenza ginecologica e riproduttiva, ma erano state ignorate dai medici o non credute o non avevano ricevuto le cure adeguate. L’endometriosi è spesso non diagnosticata in tempo per questo motivo. È una condizione che colpisce milioni di persone nel mondo ma, in media, ci vogliono dai 7 ai 10 anni per ottenere una diagnosi».
È indifferenza?
«Spesso, quando una donna va dal medico e dice “ho questo dolore” o “ho questi sintomi insoliti”, si sente dire che dipende dall’ansia o dalla depressione o magari dal peso o dal cibo sbagliato o da chissà quale stile di vita che non va. In sostanza è colpa tua».
Nel libro riporta alcune espressioni misogine che continuano a circolare, tipo “cervice incompetente” o “utero irritabile, ostile, arrabbiato” o “decadimento da menopausa”.
«Non diremmo mai a un uomo che non riesce ad avere un’erezione che ha un pene incompetente. È buffo anche solo pesarlo perché è oltraggioso. E invece questo spesso è il linguaggio usato per descrivere il corpo femminile. Ma quando mi sono documentata sulle origini del termine “utero irritabile”, ho scoperto che non si è mai trattato di una vera e propria diagnosi clinica. Si basava sulle osservazioni dei medici inglesi del XVIII secolo che avevano a che fare con donne con dolori o sintomi misteriosi. Era un’etichetta che veniva applicata quando i medici non riuscivano a capire cosa stesse succedendo. E spesso finiva che le donne venivano accusate per il loro stile di vita: nei referti veniva scritto che andavano a troppe feste, lavoravano troppo o avevano troppi figli. La cura per questo, ovviamente, era fare più sesso. Pensare che nel 2023 si dica ancora alle donne che hanno un utero irritabile o che sono irritabili è davvero deludente».
Una curiosità. Quando ha iniziato a lavorare da ostetrica?
«Mi sono laureata prima in letteratura e lingua inglese e americana, poi in regia. Per un po’ ho lavorato alla Bbc, poi quando è nata la mia prima figlia, nel 2003, ho trovato l’esperienza così affascinante, esasperante e disorientante che ho iniziato a interessarmi alla salute delle donne e alla gravidanza».
Non è andata come credeva?
«Beh, è stata molto difficile. Ero in forma, avevo seguito corsi, letto libri ma il parto è stato impegnativo. Ero scioccata, delusa, e parlando con altre donne ho scoperto che non ero la sola. Allora ho deciso di capire. Utero nasce da questa esigenza».
Il libro
Utero di Leah Hazard (Ponte alle Grazie, pagg. 400, euro 19,80)