Robinson, 5 novembre 2023
Le rimonte nel tennis
Facciamo una ipotesi: 6/0, 5/0 per l’avversario, e match point. Quante volte è successo. Quante possibilità hai a questo punto di vincere la partita? Poche, pochissime, quasi nulle. Ma non nulle. In tutti gli altri sport, a questo punto, sei spacciato, a meno di miracoli, incidenti, invasioni o apocalissi improvvise. Nel tennis, non soltanto teoricamente, ma anche praticamente, non è così; nel tennis c’è sempre una possibilità concreta di farcela. Perché adesso, sul 6/0 5/0 e match point per l’avversario, quel punto, preso in sé, è un vaso non comunicante, è un atomo indipendente, è totalmente autonomo. Vale quanto tutti gli altri. Non mancano una manciata di secondi alla fine. Non siamo nei minuti di recupero. Non mancano due giri di pista. Mancano i punti. E i punti valgono ognuno per sé. E se vinci questo, e poi il prossimo, e il prossimo, e poi cominci a fare più punti dell’avversario, la strada è lunga, lunghissima, ma puoi farcela. Hai tutto il tempo. Perché l’intero punteggio è proprio quello (6/0, 5/0, e match point), ma il singolo punto è solitario e indipendente da tutti quelli che lo hanno preceduto. Certo, condizionato, è ovvio; chi lo gioca sa che sta in quella situazione, lo sa sia chi sta per vincere sia chi sta per perdere – ma dal punto di vista psicologico tutto questo non ha favori scontati, e nella concretezza delle regole è un punto indipendente.Ecco, nel tennis davvero si realizza nella pratica il paradosso filosofico di Achille pié veloce e la tartaruga. Perché come per la dimostrazione teorica, anche qui si va dal punto A al punto B. In tutti gli altri sport non è così, in tutti gli altri sport Achille salta il punto B, C, D, e va al punto E, mentre la tartaruga non salta la sua una misura. Qui invece è proprio così. E qui quindi la tartaruga può davvero – non per paradosso – battere Achille pie’ veloce.Nel calcio, nel basket, può accadere che all’improvviso cominci una rimonta pazzesca, ed è accaduto. Nell’automobilismo e nel motociclismo può succedere un incidente, uno scoppio delle ruote, l’alettone che si spezza. Nel ciclismo forse oggi non succede più, ma a un certo punto accadevano anche le crisi di fame. Io mi ricordo che ero un ragazzino e facevo il tifo per Roberto Visentini, un grande ciclista di talento, in un giro diItalia era maglia rosa e crollò all’improvviso, ebbe una crisi di fame, una cosa inimmaginabile ma che pure ai ciclisti capitava. Oggi queste cose mi sembra non ci siano più, ma l’evento fortuito può accadere sempre.Il problema è che in tutti gli altri sport c’è la questione del tempo.Può accadere una cosa ma entro un certo limite temporale. Tu hai a disposizione venti minuti in una partita per rimontare. Hai ancora trenta km nel ciclismo o sette giri di pista per rimontare – ma tutto quello che può accadere può accadere entro quel limite di tempo. Possono succedere eventi, ma sono condizionati dallo scorrere del tempo.Nel tennis non è così. Nel tennis il tempo non esiste. Ecco perché ci sono tante rimonte. Perché come sanno bene tutti quelli che amano il tennis, è un gioco di punteggio e non di tempo.Facciamo un’altra ipotesi ancora più epica. In quel gioco, sul 6/0, 5/0 arriva appunto il match point dell’avversario. Eccolo il punto che si sta giocando, quell’atomo indipendente da tutto il resto. Su un pallonetto di chi sta per vincere, tu che stai per perdere fai uno smash stentato, disperato perché ci arrivi con fatica lì in alto, colpisci la palla ma non riesci a darle troppa forza, e la palla tocca il nastro ed esita, come fanno le palle quando toccano il nastro, come succede nel film di Woody Allen che si intitola appunto Match point. E poi decide – perché è la palla che a quel punto decide autonomamente, secondo l’umore del giorno, l’emotività e il carattere, secondo la simpatia o l’antipatia verso un giocatore. E decide di cadere dall’altra parte. Da quel momento, non hai soltanto annullato il match point, ma hai fatto succedere qualcosa. Dentro di te e dentro l’avversario. Hai messo un virus nel suo cervello, e hai sbloccato qualcosa nel tuo. E puoi ancora e sempre ricordarti la questione fondamentale del tennis: si gioca un punto alla volta, e non c’è un limite di tempo.Si può da questo momento e da questo gesto, vincere. Si può. E infatti questa ipotesi che ho fatto non è un’ipotesi. Questo racconto non l’ho inventato io. È successo proprio così. È successo quest’anno, qualche mese fa, a Sunderland in una partita tra la britannica Sara Moore e Jessica Ponchet. La prima era la numero 479 del ranking; e la seconda, numero 201.Erano 6/0, 5/0, e match point. La Moore ha fatto uno smash sbilenco. La palla ha toccato il nastro, ha esitato ed è finita dall’altra parte. In quel momento, quelle due giocatrici hanno sentito un clic. Probabilmente lo hanno sentito solo loro. Ancora più probabilmente lo hanno sentito ma hanno fatto finta di non sentirlo, hanno deciso di non sentirlo, hanno creduto di non sentirlo. Da quel momento, da quel match point fallito dall’avversaria, da quel nastro colpito che fortunosamente finisce dall’altra parte, comincia la rimonta della Moore che poi vince il secondo set e vince il terzo. Da 6/0, 5/0, e match point per l’avversaria.Il tennis è come essere giovani, quando pensi che nella tua vita puoi sempre fare qualcosa che oggi non immagini di fare. Quando pensi che qualsiasi cosa ti stia succedendo, o non ti stia succedendo, c’è tempo affinché smetta, o affinché succeda. Anzi, quando sei giovane, non ci pensi nemmeno che c’è tempo, perché dato che c’è così tanto tempo davanti, non percepisci il fatto che hai tanto tempo davanti. Cominci a capirlo solo quando il tempo davanti non è più così tanto, e allora semplicemente non sei più giovane.Tutti gli altri sport sono come l’età adulta o addirittura, negli ultimi minuti di una partita, come la vecchiaia: o ci provi a fare qualcosa, o non ce la farai mai più. Il tennis non ha un tempo, infatti le partite di tennis hanno una durata non prevedibile. Ci sono partite mitiche che sono durate giorni. Ci sono partite che si concludono in meno di un’ora, ma il tempo non è un fattore ed è per questoche assomiglia alla giovinezza (allo stesso tempo la giovinezza è uno dei fattori condizionanti che nel tennis possono creare fragilità, e quindi proprio perché se sei giovane puoi subire rimonte). Lo abbiamo visto, per esempio, a Wimbledon, tra Djokovic e Sinner quando Sinner dominava e noi sapevamo che la differenza tra Sinner e Djokovic non era solo talento ma anche la tenuta, la forza, il fatto che Djokovic aveva sempre la possibilità di cambiare la forza psicologica della partita. Come diciamo tutti: l’inerzia. Succede questo perché ogni singolo punto ha una sua autonomia, quindi il fatto di aver perso tutti gli altri punti, per quel singolo punto, non vuol dire niente. Ecco la giovinezza. Durante la giovinezza il fatto che il tempo passi non ti importa niente, hai a che fare con la vita, con gli accadimenti, con quello che vuoi fare, con quello che non sai fare e non riesci a fare ma pensi di avere sempre tempo affinché le cose succedano. Ed è per questo che il tennis è così affascinante e lo è per le persone adulte. Ed è per questo che le persone si appassionano al tennis nel periodo dell’anzianità. Vi si attaccano, rimangono davanti alla tv a vedere partite fino alle cinque di mattina e lo fanno perché quello sport non è soltanto un sport ma è uno dei pochi momenti in cui pensi che sei giovane, e tutta quella storia del tempo non c’entra niente. Il fatto che il tempo scorra non è determinante e la seduzione di questa possibilità è inimmaginabile per gli essere umani, visto che gli esseri umani hanno come unica questione della vita lo scorrere del tempo.Succede un clic. Quella volta di Sinner e Djokovic, noiquel clic lo abbiamo sentito. Su un punto impossibile di Djokovic. Lo abbiamo sentito semplicemente perché non riuscivamo a darlo per spacciato, e aspettavamo quel colpo impossibile e quel clic. Avevamo le orecchie tese per sentire se arrivava il clic, non ci siamo mai distratti. E per questo lo abbiamo sentito. E lo ha sentito Djokovic, e soprattutto l’ha sentito Sinner. Era in netto vantaggio, ma in quel momento, nel momento del clic, ci siamo, noi e Sinner, accasciati come se avessimo già perso. Abbiamo lottato, ma sapevamo in fondo al nostro cuore che avevamo sentito clic.Di rimonte, in realtà, ne ho subite quasi sempre. Mentre mi contorcevo sul divano davanti al televisore. Tutte le rimonte che faceva Lendl contro Gerulaitis o McEnroe – quella finale al Roland Garros, che dolore, il 1984, McEnroe due set avanti e nel terzo si fa annullare cinque palle break e poi clic, e lo perde, e perde.E Connors contro il fratello di McEnroe, Patrick, che perde due set, è 0/3 e 0/40 nel terzo. E ha 39 anni. E vince.E soprattutto Gabriela Sabatini, di cui sono stato innamorato per anni, e non mi importava niente che lei non lo sapesse, e per questo ero tronfio ai quarti del Roland Garros del ’93, 6/1 5/1, e poi perde cinque match point, cinque, comincia a fare doppi falli uno dopo l’altro e perde 10/8 al terzo con la terribile Mary Jo Fernandez.E poi le rimonte di Agassi. E tutte le altre rimonte mitiche. Nel tennis, quindi, puoi rimandare di continuo il momento della sconfitta. Se tu resisti sul prossimo punto. Se tu, anche se hai perso settanta punti fino ad ora, se vinci questo e il prossimo e poi l’altro. È come se ogni volta si ripartisse da capo. Anche se il condizionamento di quello che c’è stato fino a ora è molto forte. Ma questo condizionamento può essere anche ribaltato. C’è un momento in chi sta stravincendo in cui la vista del traguardo può sia distrarlo per stanchezza, sia dargli quel brivido di paura. C’è un momento per chi è prossimo alla sconfitta in cui non ha niente da perdere e può liberare i colpi, può sentirsi libero e mano mano che fa dei piccoli recuperi dice: perché se ho vinto questo punto non posso vincere anche l’altro? E a quello che sta stravincendo può venire questa paura: perché se ho perso questo, non posso perdere anche l’altro? Da qui, da questo momento, da un momento preciso del gioco che può essere un nastro colpito sul match point o che arrivi un passante incredibile, un cambio di campo in cui ci si innervosisce, un punto che si credeva a favore e invece il giudice lo da all’altro perché per un millimetro ha sfiorato la riga. Tutto può cambiare l’aspetto psicologico del gioco. E può cambiarlo semplicemente per questo: perché c’è tempo.E ogni volta, sia che subivo le rimonte sia che le cavalcavo, sia che le subisca ora sia che le cavalchi – se il tuo idolo sta vincendo non è detto che vinca, se il tuo idolo sta perdendo non è detto che perda, non c’è un traguardo, non c’è un arbitro che fischia la fine. Quindi ogni volta, dentro quel tempo, io so che c’è tempo, e se c’è tempo vuol dire che ero giovane quando ero giovane. E sono ancora giovane anche se non sono più giovane.