Domenicale, 5 novembre 2023
Storia delle lane Rossi e della lotta al freddo
La thermocoperta ci teneva al caldo nei freddi inverni veneti, quando il riscaldamento veniva centellinato nelle stanze da genitori che avevano vissuto l’esperienza della mónega, una struttura in legno ad archi con base in ferro progettata per essere infilata nel letto. Doveva tenere lontane le coperte dalla fogàra, la pentola in terracotta che conteneva le braci per mantenere al caldo i sonni mentre sulle finestre si formavano i gigli di ghiaccio. Lì le camere davvero non erano riscaldate, solo la cucina col camino.
Prima della diffusione dei piumini dagli anni 90, la thermocoperta e i termosifoni erano il salto tecnologico di una civiltà rurale che però dalle parti dell’Alto Vicentino, intorno a Schio, già dall’Ottocento aveva trovato la via del tessile industriale, con Francesco Rossi ed Eleonora Pasini che nel 1817 aprirono in contrà Sareo un piccolo lanificio. E il figlio Alessandro che dopo i viaggi in Inghilterra e Belgio, introdusse i telai meccanici azionati dalla caldaia a vapore e cominciò a sostituire alle lane dell’altopiano di Asiago quelle merinos d’importazione. È l’epopea della Lanerossi: 800 dipendenti nel 1861, 19mila nel 1970. Asili aziendali, parrocchie nate dentro le fabbriche, quartieri operai. Comunità organizzate al suono del fischio del cambio di turno. Schio ha un monumento dedicato al tessitore. Lo stesso Alessandro Rossi lasciò all’ingresso di Villa Rossi, a Santorso, due pecore merinos, simbolo del successo familiare.
Nel 1948 nacque la Thermotex per tutelare e sviluppare i brevetti relativi alla thermocoperta di Umberto Giandomenici, direttore dello stabilimento di Schio. Venne subito considerata «rivoluzionaria»: due strati di lana intervallati da una intercapedine di fili di lana piu? grossi a creare una camera d’aria che impedisse al freddo di penetrare e al calore di disperdersi, mantenendo il corpo a 37 gradi. All’epoca ne veniva concessa licenza di fabbricazione a industrie tessili europee e americane. E si trovava «nel corredo di ogni casa e nei sogni di ogni sposa», come decantava la pubblicità del tempo. Poi a seconda dei figli, si andava a rimediare giù allo spaccio. Nel 1970 Lanerossi produceva 800mila thermocoperte e plaid. Non erano pezzi economici. Si trattava di una coperta pesante, spessa.
Era pure studiata in classe. Per chi alla fine degli anni 50 voleva avanzare rispetto ai genitori operai, la Lanerossi offriva la scuola, ovviamente, sulla via del perito tessile. E i ragazzi dopo l’Avviamento si ingegnavano ad affrontare lo studio dei telai, della composizione del tessuto, del disegno tecnico. Con uno spauracchio: «La thermocoperta!». Era difficile da riprodurre. Tutta colpa di strati, intrecci e intercapedini. Ora Paola Navone e Otto Studio hanno firmato per Lanerossi una riedizione della storica coperta, che si veste di nuovi pattern e colori. Più caldi dell’originale, severa e rigidamente devota alla sua funzione primaria, ormai piegata da qualche parte in armadi paterni.