Domenicale, 5 novembre 2023
Il Catalogo del Gruppo 63
Umberto Eco sarebbe stato il più contento. Per lui, convinto compulsatore di liste antiquarie, l’apparizione di questo catalogo sul Gruppo 63, pubblicato dalla milanese Libreria Pontremoli con libri della collezione di Antonio Autieri, avrebbe rappresentato una festa grande, più di tanti lavori puramente accademici. E si sarebbe subito messo a leggere con la vertigine della lista, compulsando i ben 31 protagonisti di quella stagione, che la curatrice Raffaella Colombo mette in fila in rigoroso ordine alfabetico, da Luciano Anceschi a Patrizia Vicinelli. Per ognuno, un accurato profilo e i libri riprodotti cronologicamente, in un testo di quasi 320 pagine che si accredita fin d’ora come strumento bibliografico indispensabile. D’altronde la stessa libreria Pontremoli ha appena mandato in stampa un’analoga lista di libri degli Scapigliati (ne ha parlato qui Stefano Salis), per le cure di Luca Cadioli. Accoppiati, i due cataloghi disegnano una summa delle nostre lettere d’avanguardia.
E dunque eccoli qua, Arbasino e i tre fratelli Guglielmi, Malerba e Manganelli, Sanguineti e Balestrini, tutti insieme, appassionatamente, come erano schierati nelle memorabili giornate palermitane del convegno da cui il gruppo prese il nome, di cui qualche fotografia rimanda immagini sgranate che fanno un po’ tenerezza, con tutti quei giovani uomini incravattati e le pochissime donne, quasi sempre poetesse: Giulia Niccolai, Amelia Rosselli, Carla Vasio, Patrizia Vicinelli. Tutti diversissimi tra loro, ma uniti allora da fieri bersagli polemici – credo che ancora non si debbano perdonare i loro strali contro un personaggio degnissimo come Bassani, reo soltanto di occupare una posizione di potere. D’altronde, quanto a potere, molti di loro sono stati poi capaci anche di occupare posizioni tutt’altro che modeste, e non solo nell’industria letteraria, come Furio Colombo, plenipotenziario della Fiat negli Stati Uniti o Angelo Guglielmi, signore e padrone di Raitre nella sua stagione più felicemente innovativa. Mentre altri, Sebastiano Vassalli in testa («Vengo dall’avanguardia, maledetta!») si sono poi convertiti alle ragioni della letteratura più tradizionale.
Si chiama Gruppo 63, e l’anno è quello; però come sempre tutto era iniziato molti anni prima, con attività più o meno sperimentali che avevano germogliato nei decenni precedenti; e il catalogo fa bene a ricordarsi anche di testi di molti anni prima. Per esempio le prime poesie di Alfredo Giuliani, anno 1955, apparse nella raccolta Il cuore zoppo, salutata con entusiasmo partecipe anche da Pier Paolo Pasolini; o quelle di Francesco Leonetti, edite addirittura nel 1942 dalla mitica Libreria Mario Landi di Bologna; allo stesso modo, il catalogo non si limita alle produzioni più avanguardistiche, ma segue gli autori anche negli sviluppi successivi, quando alcuni di loro – partiti quasi sempre da plaquettes sperimentali o quasi clandestine – approdano anche alla grande editoria, a volte perfino a quella di lusso, come Arbasino ed Eco che pubblicano per Franco Maria Ricci, scrivendo rispettivamente i testi per Turchi e le miniature del Beato di Lièbana.
Finora abbiamo menzionato soltanto nomi di una certa notorietà; ma uno dei pregi del catalogo è proprio quello dell’inclusione di personaggi minori. Tra i 31 autori ce ne sono anche alcuni di cui oggi si ricordano soltanto le bibliografie più avvedute. O forse c’è chi oggi ancora sa con precisione chi sia stato Germano Lombardi, a quel tempo autore di romanzi che ebbero un certo riscontro? Oppure Giancarlo Marmori, che se ne era andato a Parigi, dove già nel 1962 aveva pubblicato un romanzo scritto direttamente in francese, La parlerie, che Feltrinelli traduce nel fatidico ’63 con il titolo Lo sproloquio? Per non parlare di Gian Pio Torricelli, autore di un surreale libretto intitolato Dunque cavallo, che in quarta di copertina esibisce Composizione, una poesia visiva di Emilio Isgrò (Dio è un essere perfettissimo come una Volkswagen che…) e viene presentato dall’attivissimo Adriano Spatola.
Le stesse sorprese ci riserva il catalogo per quanto attiene alle riviste. Perché certo, se alcune sono piuttosto note, come «Il Verri», pubblicata ancora oggi, «Quindici» o la più tarda «Alfabeta», (e «Il menabò» di Vittorini e Calvino, che però personalmente non avrei proprio incluso, per manifesta incompatibilità) di altre invece non avevo veramente mai sentito parlare. Mancavano totalmente ai miei file, per esempio, i due numeri di «Bab-Ilu», editi nel 1962 da Adriano Spatola, i sette di «Periodo ipotetico», diretta da Elio Pagliarani, o quelli di «? -beta, Laboratorio di critica della cultura visiva, della storia dell’arte, e» (giuro, finiva così, con una e senza neppure i puntini di sospensione), diretta tra il ’75 e il ’76 da Gino Di Maggio.
Insomma, per il collezionista che è in me, la sola soluzione sensata è quella di chiudere il catalogo, precipitarsi in libreria e fare un’offerta per l’insieme. Opzione, ahimè, impraticabile, soprattutto per questioni economiche: anche se i prezzi singoli non sono così elevati, comprare in blocco comporterebbe un esborso non banale. Rubarli? Ma no, suvvia, per lo meno se si è bibliofili e non bibliomani. Come avvertiva ancora Umberto Eco in un saggio assai più tardo, distinguendo tra le due categorie, apparentemente simili: «Il bibliomane ruba libri. Potrebbe rubarli anche il bibliofilo, spinto dall’indigenza, ma di solito il bibliofilo ritiene che, se per avere un libro non ha compiuto un sacrificio, non c’è piacere della conquista».