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 2023  novembre 08 Mercoledì calendario

Tre giorni con Vale e una gara di merda

È un fottuto delirio. Tutti corrono nella stessa direzione, sento le pistole che avvitano le ruote, come raffiche di mitragliate, le macchine sollevate da terra che riatterrano sull’asfalto, scoppi di motore, marmitte che urlano. Vedo auto da sei cilindri e cinquecento cavalli che mi piombano addosso e mi passano a un nano centimetro dai piedi. Qualcuno urla: «Out! Out! Ouuuut!». Io mi sposto evitando all’ultimo momento di essere investito. Ho l’impressione che potrei morire qui, ora, oppure frantumarmi le gambe e a nessuno importerebbe niente. Mi passerebbero sopra, probabilmente. Si accorgerebbero di me solo dopo la fine della gara, probabilmente. Costeggio la rete metallica, seguo la folla, entro in pista. Sulla tribuna c’è una scritta: Barcellona. La pit lane è piena di meccanici schizofrenici che spostano le auto di peso, di gente che fa video, che fa selfie, che cammina ovunque. E laggiù, sulla sinistra, un cerchio di esseri umani intorno a lui. Vale. Tutti gridano il suo nome, cercano di attirarne l’attenzione nella speranza di beccare anche solo un mezzo sguardo in camera. Come ai tempi della MotoGP, come è sempre stato. Com’è tuttora. Resto vicino a lui fino a quando sale in auto, gli steward fischiano sempre più forte: è il segnale che devo allontanarmi dalla pit lane. Albi sta tornando verso il box. Passo veloce, testa piena di pensieri. È l’ennesima partenza che fa con Vale, l’ennesima gara. Ci guardiamo ed è come se capisse quello che sto per chiedergli, infatti mi dice: «Come faremo quando smetterà? Come si fa a stare senza l’adrenalina prima della partenza, quella sensazione che ti fa salire i brividi e non si può spiegare? Come si fa a stare senza quella roba lì?».
Eccolo, il motivo per cui sono atterrato in Catalunya e ho passato tre giorni con Valentino Rossi e il suo ristretto team – Cami, Albi, Max e Samu – in una tappa del Fanatec GT World Challenge Europe. Capire meglio cosa c’è dietro Quella-Roba-Lì.
Perché la gente crede a troppe cose: che Valentino corra da due anni in questa competizione per non annoiarsi, per continuare a giocare, per togliersi qualche sfizio, che che che. Ma cos’ha davvero in testa? Uno con nove mondiali nel salotto, uno che è passato attraverso tragedie e infortuni e vittorie che trascendono le vite e i decenni, uno che potrebbe starsene a casa e godersi la pensione. Come mai è ancora qua? Come mai si mette in discussione ancora una volta e compete in uno sport dove ha solo da perdere con piloti più esperti, più giovani, che lo trattano come uno qualsiasi, come un avversario da battere al pari degli altri, anzi più degli altri? Ciò che sta facendo Valentino Rossi, forse, sarà evidente solo tra un po’. Quando sarà sotto gli occhi di tutti, come al solito, verranno usati termini quali leggenda o impresa. Ma la fatica e l’impegno che ci sta mettendo per arrivare a livelli sempre più competitivi, quelli no. Si possono cogliere soltanto adesso. E – spoiler – in realtà ciò che sto raccontando non è soltanto un viaggio dentro il suo team quanto all’interno di un concetto più astratto e misterioso. Un viaggio nel concetto di motivazione per l’essere umano. Per questo sono qui.
VENERDÌ ORE 18
Un mondo diverso. Il circuito del Montmelò è su una collina. Con una Cinquecento arancione noleggiata in aeroporto mi fermo a lato di una piccola rotonda appena fuori dall’ingresso principale. Sono le sei di pomeriggio e ci sono ancora 28 gradi. Viene a prendermi Cami.
Cami è Camilla Fratesi, fotografa, videomaker, social media manager della VR46 e di Vale. Arriva con un piccolo scooter elettrico Yamaha ricoperto di adesivi gialli. Mi avverte che si è svegliata alle tre di notte per seguire la MotoGP e i ragazzi dell’Academy in Giappone e che, dopo una giornata in pista, è sudatissima ma noi ce ne freghiamo e ci abbracciamo lo stesso. Mi consegna il pass media e poi mi scorta al P2, uno dei parcheggi attaccati alla zona box. Da lì, salgo con lei sullo scooter. Il sedile è stretto e minuscolo. Non la vedo da tre anni almeno e noto un piccolo tatuaggio sul braccio, una scritta. Se lo è fatto molto tempo fa, solo che io non ci avevo mai fatto caso. Leggo: oggi è sempre. «Vieni, passiamo da dietro, ti porto nell’hospitality del team».
Il team è il WRT, ossia Weerts Racing Team, dal nome del proprietario Yves Weerts, un belga altissimo e brizzolato, amministratore delegato del gruppo di famiglia con interessi nella logistica, nel settore immobiliare, nelle fonti rinnovabili e, chiaramente, nel motorsport. L’hospitality è divisa in due: una parte interna con i tavoli, lo spazio per il buffet e gli uffici, e una zona esterna ricoperta da una moquette stile erba sintetica, composta da cucina e dehors con altre sedie e tavoli. Ci sediamo qui. Alla mia destra c’è Casa 46, il motorhome di Vale. E proprio da lì ci raggiunge Albi, Alberto Tebaldi, amministratore delegato della VR46, amico da una vita di Valentino. Albi ride, ride sempre. E quando non ride è al telefono. Ha la barba appena fatta, i capelli a zero e gli occhi chiari pronti a entusiasmarsi dietro agli Oakley da vista, ogni volta che parla di corse. Cami ci saluta e va in sala stampa e Albi mi offre un caffè, prima di portarmi in giro. È lui il mio Cicerone di questi giorni.
«Per me è come se venisse a vedere la gara un mio amico» mi dice. «Cerco di spiegarti quello che ho capito, dato che è un mondo completamente diverso. Nonostante la poca visibilità mediatica di questo campionato, le grandi aziende come BMW, Ferrari e Lambo investono moltissimo. Nei team, tutti di livello, ci sono persone che potrebbero ben figurare in MotoGP. Ma se lì, ormai, ci sono troppe cose extra race, qui ti godi l’evento sportivo. È un po’ come la Sbk». Subito mi torna in mente un’immagine appena vista con Cami: una tavolata di gente fuori da un camper che mangiava, beveva, chiacchierava, con i panni stesi ad asciugare accanto, come se fossero in vacanza. Esattamente l’atmosfera di cui sta parlando Albi. «Chiaramente a Vale, che è un racer, questa cosa piace da matti. Qui gli impegni sono i meeting con i piloti, quelli con gli ingegneri, strategie di gare… Niente interviste, una sola conferenza, nessun appuntamento con gli sponsor» aggiunge. Ci sono altre due differenze fondamentali. «Il tuo compagno di squadra non è il primo nemico ma il tuo primo alleato. Noi siamo stati fortunati perché abbiamo Maxime Martin, velocissimo, un figo, veramente generoso. Il terzo pilota è Augusto Farfus, brasiliano. Poi le gare: sono di due o tre ore. Una sola dura ventiquattr’ore, la 24 Ore di Spa, una delle più belle che abbia mai vissuto, pazzesca proprio, dove tutto viene portato al limite estremo, una sfida piena anche di tante sfide personali, di tecnici che stanno sempre svegli, che non riescono ad andare a pisciare e che quasi si addormentano sul tavolo dove lavorano».
Vale poteva scegliere campionati più abbordabili, invece ha detto: voglio fare il Fanatec. «Altri sono divisi in tre categorie e, a seconda della categoria a cui si partecipa, quando gareggi hai meno avversari e tutti del tuo stesso livello. Invece lui è un matto. Ha voluto confrontarsi con chi è più forte».
Infatti il primo anno non è stato facile. «L’Audi era veloce ma tecnicamente non semplice da guidare. E proprio dopo la 24 Ore di Spa del 2022 ha iniziato ad andare veramente forte. Il passaggio con BMW ha fatto il resto e abbiamo capito in fretta che insieme al team potevamo davvero lottare per la vittoria ed essere sempre tra i primi quattro o cinque». Già, molte volte è andata così. Finché a Misano, qualche mese fa, è arrivato il punto più alto: la prima vittoria del 2023. Il prossimo anno invece la sfida si chiamerà WEC, campionato del mondo di endurance. Albi lo conferma: «Andremo ad Austin, Interlagos, alla 24 Ore di Le Mans. Sono otto gare in giro per il mondo. Sono tutte di durata: otto ore, dodici o ventiquattro. Una sfida tosta. Ma partiamo per giocarci il mondiale. È eccitante. Il livello insomma si alza ancora e se penso a come è cominciato questa cosa…».
 
Conta la gloria Vale ha sempre detto: «Ok, quando scendo dalla moto vado a correre in auto». E durante la sua carriera, oltretutto, lo ha sempre fatto: i rally, di Monza e non solo, i test con la Ferrari… Eppure quello che sta spiegando Albi è che per lui andare a una gara solo per partecipare non è mai stata un’opzione. Durante la settimana Vale ha bisogno di prepararsi a una sfida vera, anche se dall’esterno sembra che affronti tutto con leggerezza. Sembra, perché in realtà è il suo modo di approcciare la vita, per molti ereditato dal padre Graziano, che si potrebbe sintetizzare così: se non ti diverti, non lotti per vincere e se non lotti per vincere non ti diverti. «Quando siamo venuti a fare il primo test a Valencia, nel 2021, ci dicevamo: “Ok, capiamo se possiamo farcela”. E Vale era andato subito abbastanza forte. Ma i piloti sono animali che vogliono primeggiare» continua Albi. «Quindi immagina lo stato d’animo di chi corre da sempre in auto e si è visto arrivare un motociclista che oltretutto si chiama Valentino Rossi: quando se lo sono trovati in pista hanno dato l’anima e piuttosto di farsi passare, avrebbero venduto la madre. Ed è tuttora così, nessuno gli fa sconti. L’anno scorso abbiamo commesso quasi tutti gli sbagli che potevamo commettere. Per fortuna Vale è una macchina che impara e si evolve a una velocità allucinante. È impressionante, impossibile vederlo fare lo stesso errore due volte. È uno dei motivi per cui è Valentino Rossi. Non serve dirgli nulla, sa già tutto. È molto severo con sé stesso». La prova provata Vale l’ha avuta alla 24 Ore di Spa, come mi spiega ancora Albi. «Di notte è una battaglia, un casino. La pista non è illuminata, devi andare forte e saper essere furbo, malizioso. Ha fatto le qualifiche sotto un’acqua esagerata, non si vedeva niente, tanto che, se in gara avesse piovuto così, sarebbe stata subito bandiera rossa, è pericolosissimo. Quando è sceso dalla macchina mi ha raccontato che non aveva nessun riferimento». Un momento. Valentino Rossi ha vinto tutto e potrebbe starsene a casa a giocare con la PlayStation. Invece no. Invece eccolo qui a sfidarsi e imparare. Ecco perché quello che sta facendo adesso ha un peso specifico e un valore enorme. E poi questo sport, in tante nazioni, non ha molto seguito. Telecamere o no, più soldi o meno soldi: Valentino corre per il gusto di correre e di fare le corse come all’inizio.
 
Nel box Seguo Albi fuori dall’hospitality, qui c’è una zona transennata dove i fan possono aspettare che Vale esca a firmare autografi. A quest’ora però il paddock è semi deserto. Passiamo in un corridoio tra due motorhome, a destra c’è quello della 46, la macchina di Vale, Maxime Martine e Farfus. A terra, impilate, file e file di pneumatici. E prima di entrare nel box troviamo Max, un’altra colonna di questa storia.
Max negli anni è diventato il nuovo Uccio. È il backup di Vale, lo assiste, cura il suo materiale tecnico e, soprattutto, è il custode di Casa 46. Max è tonico, occhi e capelli chiari, sempre attento, preciso, in perenne modalità on. «Max è la persona più impressionante che io abbia mai visto nella mia vita» dice Albi. «È un cyborg, è mostruoso, uno da analizzare. Ha una potenza fisica incredibile. Sai come me lo immagino? Che la mattina, appena sveglio, se ne sta in bagno, nudo, con un piede sul pavimento e l’altro che poggia su qualche mobile, e canta mentre si fa la barba: il ritratto della sanezza, dell’entusiasmo».
Max ascolta serio e con i pugni sui fianchi. Dei giornalisti non si fida granché. In ogni caso dopo le parole di Albi si mette a ridere, mi saluta e scappa via. Mi renderò conto soltanto a fine weekend che questo resterà l’unico momento in cui l’ho visto fermo per più di tre secondi.
Ci fermiamo nel retrobox, Albi mi mostra dove i piloti posano il casco, il sottocasco e i guanti; a lato, due frigoriferi con bevande, snack e frutta. Da lì entriamo nel box. Ora la situazione è calma, ma da domani mattina questi pochi metri quadrati – dove convivono meccanici, tecnici, ingegneri, piloti, assistenti dei piloti, ragazze dei piloti, e strumentazioni varie, ruote, attrezzi, pc, cavi, schermi e, chiaramente le auto – diventeranno un caos.
 
La BMW M4 GT3 di Vale è al centro: blu, linee gialle e bianche, 46 impresso sugli sportelli, adesivi Skechers (lo sponsor principale) sulle fiancate.
Albi me la descrive: «Innanzitutto guarda quanto la posizione del motore è spostata indietro rispetto a una BMW normale. Il telaio è tutto Dallara». Dentro sembra proprio essere un posto molto scomodo, ci sono cavi, tubi, comandi, tasti, monitor e cinture ovunque. I pedali sono incassati in una scatola con al centro dei pesi. Il sedile, incavato, è imbottito di gomma piuma, ha le cuciture abrase e delle toppe di scotch. Poggiate sopra ci sono delle borse nere.
«Sono una sorta di raffreddamento» spiega Albi. «Invece quello schermo leggermente sulla destra è collegato alla telecamera posteriore e segnala le macchine dietro con un triangolino verde o rosso: verde significa che l’auto si sta allontanando, rosso che si sta avvicinando».
Non è possibile fotografarlo, mi accuccio per vederlo meglio ed è allora che mi accorgo di lui.
Valentino ha una t-shirt nera, il cappellino ed è di spalle, seduto accanto a un uomo con le cuffie. Entrambi stanno guardando dei dati sullo schermo di un portatile. «Si sta confessando» ride Albi. «È con Morgan, la sua coscienza, ovvero il suo telemetrista: sai, davanti ai dati non puoi mentire, non puoi dire che in quella curva hai dato gas quando risulta che hai alzato il piede. Qui poi, a differenza della MotoGP, fai la gara insieme al box perché non ti limiti a vedere delle tabelle quando passi dal rettilineo, sei sempre in contatto con i tecnici che hanno una visione più complessiva e ti aggiornano e ti parlano in macchina. Però, altra differenza, il telemetrista non fa solo questo lavoro: al momento giusto si alza e va a fare il cambio gomme, che è una roba devastante: i pneumatici pesano dai trenta ai quaranta chili e sono incandescenti»
Il primo incontro con vale Cinque minuti dopo Vale si libera e ci raggiunge. La prima volta che l’ho incontrato eravamo in uno stanzino dell’hospitality Yamaha durante il GP di Jerez. Alla fine dell’intervista gli proposi di posare nudo abbracciato alla moto, fotografato da una prospettiva zenitale, interpretando così la famosa immagine di John Lennon e Yoko Ono. Lui sorrise e rifiutò: «Io voglio solo correre in moto». Era il 2007, massimo 2008, e quelle parole mi sono rimaste impresse. Era già un mito, eppure all’epoca ebbi l’impressione che non sapesse nemmeno lui di quanto fosse larger than life. Mi sbagliavo. In realtà lo sapeva però non voleva considerarsi in quel modo.
Negli anni ci siamo rivisti poche volte, poi nel 2018 ho passato diversi giorni a Tavullia per realizzare uno speciale sui dieci anni della VR46 per la rivista Riders. In quell’occasione mi colpì il senso di famiglia che aveva creato intorno a sé e, anche allora, avvertii come la sua grandezza si traducesse in qualcosa di molto semplice: una grigliata al ranch su un tavolo di legno o una gara tra la polvere. Ed è questo l’aspetto incredibile di Vale: sei consapevole di essere davanti a una leggenda, ma ciò che ti resta è la sua normalità, il desiderio di voler correre e basta. Appena ti trovi davanti a lui, ti assale un senso di soggezione poi, più ci parli, più senti che potresti passarci ore a discutere solo di corse, Inter e altre robe così.
Mi raggiunge ridendo, ci scambiamo un cinque. Sembra più magro rispetto a quando correva in moto, così, dopo i saluti di rito, viene naturale partire da qui.
 
Com’è cambiato il tuo allenamento?
«Guidare la macchina è meno estremo. Con la MotoGP bisogna allenarsi un sacco, uno che ha quarant’anni paga uno svantaggio rispetto a chi ne ha venti. Sai, in questo periodo ho cambiato molto il mio metodo, però il bello è che sto continuando ad allenarmi con tutti i ragazzi dell’Academy: le giornate a Misano Adriatico, a Portimao, al Ranch… Di base sono io il loro allenatore sulla moto, ma la parte in palestra, ecco, l’ho ridotta».
E ti sei avvicinato molto a Kimi Antonelli. Mi ha colpito perché ho pensato che ora, come è successo con i ragazzi dell’Academy, stai cercando di esser tu che impari dai giovani e non viceversa. Anche nelle auto. È così?
Vale ascolta guardandomi fisso e muovendo su e giù la testa, con la bocca leggermente aperta e le mani dietro la schiena. Sorride, fa sì con la testa.
«Il rapporto con Kimi è bellissimo. Ha una bella ammirazione per me e per quello che rappresento a livello sportivo. Io cerco di aiutarlo, dai, però facendo più kart e simulatore e meno allenamento aerobico, avere un confronto con lui aiuta anche me. Poi, sai, sulla macchina spesso è la durata che ti sfianca: le gare vanno avanti ore, quelle di ventiquattro sono toste, soprattutto le ultime otto diventano pesanti, quindi ho dovuto imparare come essere competitivo per tutto quel tempo, come idratarmi, alimentarmi e anche come riposarmi. Quest’anno ne ho fatto solo una, di Spa, e per fortuna nel mio motorhome ho la stanza insonorizzata».
Interviene Albi: «Quando siamo arrivati il nostro motorhome era parcheggiato davanti alla prima curva. Per me era una figata, ma stacci te quattro giorni in mezzo a motori che passano giorno e notte, e non si fermano mai! Lì hai la staccata e poi il rumore di accelerazione delle macchine… Alla fine stavo impazzendo. Vale, però, è un dormitore di professione. Si metteva i tappi e nei cambi turni riusciva ad addormentarsi anche solo per un’ora».
Lì c’è una curva mitica, difficilissima, l’Eau Rouge, che tu hai fatto per la prima volta…
«È un punto dove non vedi più la pista. La macchina devi riuscire a metterla, in venti-trenta metri di larghezza, nella traiettoria giusta. Quando arrivi dici: cazzo, come faccio a farla piena, non ci sto. È stretta».
In qualifica, mi diceva Albi, non vedevi niente dalla pioggia.
«Quando in macchina hai qualcuno davanti, c’è uno spray pazzesco, ti tira addosso una nuvola d’acqua. In moto non succede. Ma in macchina cerchi di guardare chi hai davanti e gli vai dietro, per il resto vedi pochissimo. A tenere pieno nel dritto ci vuole il pelo, è pericoloso. Certo, che ambiente a Spa, tutta la gente che campeggia, grigliate, festa, casino e ubriachi nel paddock. Un’altra pista assurda, bella, velocissima che non conoscevo è Bathurst, in Australia. Ci sono tre quattro curve da 240 chilometri all’ora, lì se sbagli un attimo la tiri sul muro».
La domanda vera è: ma chi te lo fa fare?
«Lo faccio perché ho voglia di correre. È stato veramente un toccasana smettere con le moto, ma se fossi rimasto a casa sarebbe stata tosta. Il prossimo anno nel WEC faremo molti spostamenti fuori dall’Europa, per via del jet lag sarà più dura però dai, vuoi mettere? Andremo anche a San Paolo, dove non sono mai stato».
Perché hai detto che smettere con le moto è stato un toccasana?
«Venti gare cominciavano a essere un peso, non c’è più uno stop. Quando se ne facevano quindici era diverso, e comunque da metà novembre a metà gennaio non facevi niente. Adesso finisci il 27 novembre e già il 7 dicembre ricominci ad allenarti. Troppo stress. Qui, quando abbiamo vinto a Misano, un quarto d’ora dopo la gara ero già nel box con i miei amici e il team a bere e a far casino. Ma se vinci una gara di MotoGP prima devi fare il podio, poi le conferenze stampa, poi altri incontri e solo dopo due ore e tre quarti torni nel box ancora con la tuta: diciamo che il bello della vittoria è un po’ passato. Ti fanno l’applauso, certo, ma l’adrenalina è scesa»
Il bodyguard Dietro a Vale c’è un armadio alto due metri, occhiali da sole e cappellino; si guarda intorno. Ci presentiamo, anche se so già chi è: si chiama Samu, belga di origini italiane, è la sua guardia del corpo. Non ha nemmeno quarant’anni eppure è già il titolare di una delle più grandi aziende a livello europeo nel settore della sicurezza.
Quando stavamo organizzando la trasferta, Albi mi spiegava che il loro primo grande shock è stato il paddock aperto: «Chi acquista il biglietto per il Fanatec GT può andare ovunque. Quindi ci siamo dovuti organizzare perché Vale veniva circondato di continuo dai fan, e Vincent Vosse, il team manager, ha consigliato Samu. E lui, da grande appassionato di auto e di Valentino Rossi, ha risposto: “Vengo io”. Avrebbe potuto delegare, ma non ci ha pensato un secondo».
Adesso, a tutti gli effetti, Samu fa parte del team. E con lui Vale è più tranquillo.
Albi aggiunge: «In ogni gara ci sono un sacco di tifosi, tutti in fila per un autografo, per incontrare Valentino, per dirgli che è un grande e altre cose del genere. È bello perché siamo usciti dal mondo moto eppure l’amore nei suoi confronti non diminuisce e ci riempie d’orgoglio. Nonostante questo, però, bisogna stare attenti, a Spa le condizioni sono toste. Ad esempio un ubriaco è diventato molesto e Samu ha fatto entrare Vale nel van. Poi è tornato indietro e gli ha urlato: “Adesso non ho tempo, ci vediamo alle otto qui, ti aspetto”. L’ubriaco non si è presentato, anche perché quando Samu si incazza capisci che è meglio stargli alla larga». Valentino deve andare e Samu lo segue. Ci rivedremo tutti insieme per la cena.
 
Albi è stato categorico. «Impossibile mangiare prima delle nove di sera, impossibile» mi ha detto prima di mettersi a ridere come sempre. Allora aspetto parlando con Camilla esattamente dove ci eravamo lasciati, nel dehors dell’hospitality. Cami ha un pacchetto di sigarette sul tavolo però ne sta fumando una elettronica, ha i capelli raccolti in uno chignon alto e con le dita della mano sinistra gioca con un ricciolo, mostrando un leggero imbarazzo. Perché non le piace parlare del suo lavoro. Nel corso degli anni ha ricevuto decine e decine richieste di intervista, che puntualmente ha rifiutato. Preferisce restare dietro le quinte. Da quando si è ritirato dalle moto il profilo Instagram di Vale appare più rilassato, un po’ come lui: una foto con la figlia Giulietta, in vacanza, con una birra in mano. «Mi chiedo spesso: se Valentino non lo conoscessi cosa vorrei vedere di un personaggio così iconico? Anche perché la mia passione è la stessa identica passione dei fan che aspettano ore sotto il sole» mi dice Cami. In uno degli ultimi reel ci sono lui e Kimi Antonelli che combattono contro una zanzara. Cami svapa, sorride: «Eh sì, tanta roba. Ma perché il video della Giulietta che guida la motoretta? Di cosa stiamo parlando…».
Le chiedo quanto ragionamento c’è dietro e lei fa di no con la testa: «È istinto, quello che ti trasmette Vale mentre cammina, senza storytelling, molto reale. Vale è una rockstar, e vedere una rockstar che lotta con una zanzara in bagno crea entusiasmo, fa ridere».
Immagino che a un certo punto voglia smettere di riprendere e dire: basta, ora me lo godo. «Ah be’, io tengo la GoPro in mano ma mi godo il momento, poi quello che viene viene. Te lo devi vivere. A Misano, quando ha vinto, in una mano avevo la camerina, nell’altra il bastone con la camera 360, e al ragazzo che lavora con i simulatori gli ho fatto: “per favore, mi tieni la GoPro?” Perché così almeno avevo una mano libera per battere il cinque alle persone».
Ed è a questo punto che Camilla dice, con una semplicità disarmante: «Vale non è un concept, Vale non è un brand. Quando qualcuno utilizza questi termini mi vengono i brividi. La parola chiave è rough». Ed è una cosa meravigliosa, che aggiunge un altro tassello a spiegare la grandezza di Vale, in un mondo dove tutti si sentono influencer e si fanno un sacco di menate. Ecco, lui è rough. Ossia grezzo, istintivo, appunto. «Sì, senza filtri».
La figura di Tokyo Vale scende da Casa 46 insieme a Samu, Max e Albi. Si mette in fila per il buffet ed è guardandolo che mi viene una riflessione: per come sono abituato a considerarlo, mi colpiscono due aspetti che riguardano l’uscita dalla comfort zone.
Prima, nelle moto, la parola di Valentino Rossi era la Bibbia. Qui no. E me lo conferma anche Albi: «Ora la Bibbia te la raccontano gli altri. Però quando ha consolidato le sue prestazioni, l’atteggiamento degli altri piloti è cambiato: perché sanno che quando fai quei tempi lì meriti rispetto».
Del secondo aspetto me ne accorgo proprio a cena: in MotoGP il gruppo di Vale occupava mezzo team, qui invece sono loro cinque, a cui si aggiunge Sam, un inglese che lavora per Monster. Anche in questo caso mi viene in soccorso Albi: «Sai, adesso c’è chi dice che nell’Academy non facciamo crescere più nessun ragazzo ma i nostri giovani di ieri sono i campioni di oggi, come Morbidelli, Pecco, gli altri. Formarli ha richiesto un dispendio di energie enorme, ci abbiamo messo l’anima. Dopo tutto questo sforzo, mancheremmo di rispetto a loro se impiegassimo le energie verso qualcun altro o per le corse in auto di Valentino. E anche quando si è trattato di capire chi avrebbe seguito Vale è stato tutto naturale. Uccio, dopo averlo accompagnato per venticinque anni, ha tantissima esperienza e tante cose da dire, quindi si è preso il team. Carlo, il preparatore di Vale e di tutti i ragazzi, è rimasto sull’Academy, e io ho seguito Vale nella parte racing. Ma ci sentiamo di continuo e quando siamo andati a vedere il Gran Premio in Austria ci siamo ritrovati tutti insieme nel motorhome come ai vecchi tempi ed è stato bellissimo, anche perché ora Vale può far tardi con noi, a parlare di continuo di corse, di piloti, di cazzate».
Intanto Vale ha davanti a sé un piatto di carne e patatine fritte con ketchup e un bicchiere di vino rosso. Si toglie la giacca di jeans e resta in t-shirt. Manda un audio a un gruppo whatsapp, dove descrive le sue sensazioni in pista. Mentre mangiamo chiede come stanno andando i ragazzi dell’Academy, in Giappone per la MotoGP, poi aggiunge: «Oh, Max ma ti ricordi quella volta a Tokyo?».
Max spalanca gli occhi, deglutisce e si mette a ridere.
Insieme raccontano un aneddoto pazzesco.
Vale: «Nel pieno della rivalità con Lorenzo, dopo la gara eravamo così incazzati che rifiutammo di prendere il bus per l’aeroporto con tutto il team».
Max: «Ci siamo andati in macchina, da soli».
Vale: «E ci dicevano: “Siete sicuri? Guardate che non capite le indicazioni”».
Max: «E noi: “Ma che vuoi che sia!” E siamo partiti, guardando gli aerei sopra le nostre teste e dicevamo: “Basta seguire la direzione”».
Vale: «Quando siamo arrivati all’aeroporto, abbiamo scoperto che non era quello giusto. Il nostro era a un’ora e mezza di distanza! E noi a fare i fenomeni…».
A quel punto arriva Vincent Vosse, il Team Principal, l’uomo che ha sempre voluto Vale. Alto un metro e novanta, camicia bianca, occhiali da vista e coppola in testa.  Vale si alza e lo abbraccia. Poi restano in piedi a chiacchierare.
Albi mi introduce a Vincent: «Ne abbiamo incontrati tanti, prima di decidere, ma Vincent ci ha convinti più degli altri. È uno della vecchia scuola: da ex pilota conosce tutti i piloti di tutte le epoche, è un super appassionato. Sa che creare un ambiente in cui star bene è fondamentale. E con lui non parlavamo mai di marketing, sempre e solo di corse, a Vale è piaciuto tantissimo. Quando ci ha cercato ha detto: “Seguo da sempre quello che Vale fa sulle quattro ruote, secondo me con un programma di test serio e un team alle spalle può diventare uno dei migliori”. Ci siamo fidati, e abbiamo fatto bene».
 
La prima cena Vale torna a sedersi e nel frattempo è cominciata Italia-Nuova Zelanda di rugby. Max è un tifoso e la commenta piuttosto teso, fissando il televisore posizionato al centro del dehor, davanti al nostro tavolo.
Faccio qualche domanda a Valentino.
Adesso che il tuo compagno è il tuo primo alleato, chi è il rivale?
«Non ce n’è uno di preciso. Studio i più forti, Maxim Martin, Dries Vanthoor, Marcello, poi ci sono Pierguidi e Fuoco della Ferrari. Qui è tutto più impersonale perché ci sono centocinquanta piloti, in MotoGP invece stai sempre con quei venti di cui sai tutto, vita, morte e miracoli e poi in pista li vedi praticamente negli occhi. Adesso faccio mezza gara a sportellate con uno e non so neanche chi è. E poi, sai qual è il problema? Ora fare polemica con qualcuno, è troppo impegnativo. Trenta siti che riprendono quello che hai detto, la notizia rimbalza da tutte le parti, è uno stress. Prima litigare aveva un suo senso. Ti offendevi, ma dopo due giorni era finita. Adesso è tutto amplificato. Perché secondo me il sentimento fra piloti è lo stesso di vent’anni fa, cioè si stanno sul cazzo tutti. Ognuno ha quei due, tre che proprio odia, però non lo dicono o non vivono più».
I tuoi riti sono cambiati tanto o sei sempre molto superstizioso?
«Ho diminuito un sacco. Era diventato un incubo, da psicopatico. Prima, se qualcosa non andava, entravo in paranoia, ora invece la prendo con più tranquillità».
E la musica invece? Metti sempre Vasco?
«È cambiato anche questo. Prima, di domenica ascoltavamo Siamo solo noi, ma proprio tutto il disco. Adesso nel motorhome guardo la tele, magari Sky e la MotoGP, tipo come viene viene».
Ci interrompiamo perché la Nuova Zelanda sta massacrando l’Italia e dagli altri tavoli cominciano a perculare Max che non sta allo scherzo e, dopo l’ennesima meta, si alza e se ne va tra le risate generali.
Riprendo a parlare con Vale.
Raccontami dei libri che hai postato sul tuo profilo Instagram.
«Mi piacciono molto i gialli. Ho letto quello di Salvatore Esposito di Gomorra e quello di Maggioni, La calda estate, un giallo su Milano e adesso uno bello di Nicola Lagioia, La città dei vivi. Questo mi sta piacendo di brutto, va dritto al punto».
Mi chiede se anche io ho dei figli e quando scopre che ne ho quattro è lui a farmi una domanda: «Ma è vero che avere una bimba dà più gusto di un maschio?». Gli rispondo e lui commenta: «Ah allora no, è solo diverso, ma è lo stesso una figata, mi piacerebbe averne uno tra un po’, vediamo».
Riceve una telefonata. È Francesca, la sua compagna, gli racconta che Giulietta ha la febbre. Quando riaggancia commenta: «Povera la mia tartufina».
La mia tartufina, così chiama la figlia. Splendido.
Sono le undici e mezza e Vale dice: «Dai, andiamo a letto».
Mi spiegano che l’indomani la sveglia è fissata alle sette. Molto presto per chi conosce Vale, però c’è la Sprint di MotoGP e lui vuole vederla. Poi alle 8:45 c’è il primo turno di pre qualifiche.
 
SABATO Il campo d’asfalto L’hotel in cui dormo è a Mollet del Valles, un piccolo paese a nord di Barcellona. Davanti, c’è un campetto di asfalto con canestri e porte da calcio. Chiaramente, alle otto e un quarto, non gioca nessuno. Invece il paddock è già pieno e fuori dall’hospitality del team WRT, nella zona transennata, una ventina di fan aspettano Vale. Uno di loro mi racconta che tra poco aprirà un canale YouTube dove parlerà solo di Valentino e mi fa vedere le foto della sua casa, completamente dedicata a Vale, con poster, immagini, cimeli ovunque. Aspetto fuori dal motorhome e dopo pochi minuti, eccolo: Samu davanti, lui in mezzo, Max dietro. Mi torna in mente un dettaglio: ieri, a cena in t-shirt, rilassato e senza ansie, Vale aveva tutta l’aria di un normalissimo ragazzo, mentre a vederlo adesso, con un passo più deciso, gli stivali e la tuta indossata per metà, la maglietta bianca, termica, a maniche lunghe, gli occhiali da sole, il sorriso, il cappellino, il petto in fuori… be’, fa l’effetto Clark Kent e Superman. Vale, per la gente comune, è la cosa più prossima a un supereroe.
Li seguo nel box, attorno i fan lo acclamano. Il box è dove tutto accade. Nel box ti devi muovere come un ninja. Puoi pure essere il capo del team ma se sei in mezzo mentre stanno trasportando un treno di gomme, ti urtano e ti spostano di peso, senza aprire bocca. Io seguo Albi che, come al solito, mi spiega le cose ridendo. «Sono bestie, i meccanici, lo vedi come sono grossi? E se stai tra i coglioni ti passano vicino e ti fissano. È così perché qualsiasi decimo risparmiato può essere prezioso: ad esempio, recuperare un secondo e mezzo al cambio gomme, sai cosa vuol dire? A Misano abbiamo vinto la gara propria con un sorpasso fatto al box». Albi punta il dito verso uno schermo: «Lo vedi quel dato? Quello verde». Lo schermo è pieno di numeri e di scritte ma solo un punto è verde, in alto a sinistra. «Ti dice che stai andando più forte e di quanto rispetto al tuo giro migliore. Se diventa giallo, stai calando. E poi guarda…». Scatta di lato, verso un altro monitor. «In 1 secondo e 30 ci sono ventidue piloti. Anche se in un giro vai più veloce di tre decimi sei comunque quindicesimo. Che palle eh?». Accanto a noi c’è Augusto Farfus, il terzo pilota: capelli lisci a caschetto, si muove nel box come se fosse a un chiringuito a Ibiza. «Vorrei avere la sua serenità» ride Albi. «È un pilota storico BMW, una colonna, ha una esperienza incredibile e sta sviluppando la Evo 2025. Io invece sono uno che i weekend di gara per certi versi li vive male. Prendo degli antinfiammatori perché mi viene il mal di testa».
Quando arriva il momento del cambio pilota, mi appiccico a una colonna sperando di diventare invisibile. Due meccanici danzano attorno alla macchina con un mix di forza, tecnica e ignoranza. In 11 secondi cambiano tutte e quattro le gomme. Sì, aveva ragione Albi, è una roba da animali. Finita la danza, l’auto resta ferma. Non capisco e Albi mi spiega: «Per ripartire aspettano il suo segnale». E indica un ragazzo moro, palestrato, in piedi con un paio di cuffie. È Raphael Hess, il capotecnico. A un certo punto fa un segno con la mano sinistra, tipo benedizione. «Ti fa tornare in pista solo quando individua un buco dove infilarti, perché con tutte queste macchine, trovare un momento senza nessuno davanti, ti fa andare più forte».
Vale, finita la sua sessione di prove, resta nel box. Max gli passa l’Enervit, Vale lo tira giù, poi si mordicchia una pellicina sul mignolo, beve dalla borraccia, parla con Maxime, si confronta con Vincent, studia i dati sui monitor.
Finita la sessione rientra nel motorhome e, passando, si ferma a firmare gli autografi. Dietro la transenna ora ci saranno più di una cinquantina di persone. Compresa una donna che piange, un asiatico con un asciugamano in testa per ripararsi dal sole, diverse ragazze che lo fissano con lo sguardo da innamorate perse.
Vale pranza alle 11:45. Max gli porta nel motorhome riso bianco, verdure e carne. Alle 14:30 c’è un’altra sessione di pre qualifiche, poi alle 16:30 l’unica conferenza stampa. E anche qui l’effetto è straniante: i giornalisti che lo ascoltano sono appena undici, le telecamere a riprenderlo pochissime. Eppure per lui, per Camilla e Albi non è affatto un problema, anzi: è una figata, una liberazione. Si infastidiscono, giusto un attimo, quando le domande della tv spagnola sono tutte sulla MotoGP, su Marquez e il suo addio alla Honda, e nemmeno una sul feeling di Vale in questo weekend.
 
Max scappa Torno in hospitality alle 20 e in un tavolino, da solo al computer, trovo Samu. Ne approfitto. Gli dico che ho saputo della volta in cui si è incazzato per proteggere Vale. «Sono un tipo calmo e i fan gli sono molto affezionati. Il mio lavoro è permettere che tutti possano avere il proprio momento di attenzione da lui senza disturbarlo». Poi si mette a ridere: «Per trovare i collaboratori mi rivolgo a servizi di sicurezza locali, che poi coordino: a volte devo stare attento anche a loro. Così ho imparato: appena arrivano faccio fare a tutti una foto con Vale, così poi possono concentrarsi soltanto sul lavoro». Cerco di intercettare anche Max, seduto a un altro tavolo. Ma appena gli dico che vorrei rivolgergli due domande si alza e scappa via. Niente da fare.
 
La seconda cena Vale scende dal motorhome alle 21:30, Samu unisce due tavoli: stasera mangiamo anche con Maxime Martine e Vincent Vosse. Vale, dal suo cellulare, si sintonizza su Sky per guardare il secondo tempo di Inter-Salernitana. Durante la cena regna sovrano il cazzeggio. Capisco meglio quando Albi mi diceva che Vincent sa anche divertirsi: è il capo banda, non è mai serio, con Vale parlano di fare un party finale della stagione, di musica, di corse e guardano l’ultima caduta di Pecco, mentre Vale commenta come se si facesse male lui: «Ahia, le caviglie diobo’, come ha fatto a non farsi niente». Poi l’argomento della tavola diventa la ATO, un campionato immaginario che farebbe il verso alla SRO, l’organizzazione che gestisce il GT World Challenge Europe. SRO sta per Stéphane Ratel Organization, dal nome del fondatore. ATO invece è l’acronimo di Alberto Tebaldi Organization. Albi ride: «Prima o poi, ci diciamo, faremo un campionato solo nostro con regole solo nostre. Allora, la prima è che la mattina non si corre». E già qui ridiamo tutti. Un campionato a misura di Vale. «Seconda regola: si corre solo in alcune piste, le più belle. Terza: tutte le macchine devono essere uguali. Sai che figata». Vale, tra un gol e l’altro di Lautaro Martinez (quella sera ne fa 4), chiama Francesca e la sua tartufina per capire come procede la febbre, parla della chat di tifosi interisti vip dove è stato inserito, commentando i vari messaggi che gli arrivano, e mi chiede delle polemiche che ci sono in Italia in questi giorni per lo spot Esselunga. Poi assisto alla selezione che lui e Camilla fanno per i social. Scelgono piuttosto velocemente quali contenuti pubblicare per reel e stories. Per la musica è meno facile, Vale vuole qualcosa di giamaicano e alla fine decide per Slave Driver, Bob Marley & The Wailers. «Figo sto titolo» commenta. Domani sarà il primo a partire nelle qualifiche e il primo in gara.
 
Quali sono i pro e i contro di fare la partenza?
«Solitamente si lascia il più veloce dei tre per terzo perché, se nell’ultima parte di gara entra una safety car, quello più forte magari fa la differenza. Il primo è importante perché fa la partenza, però solitamente dura un po’ meno, circa 55 minuti, mentre gli altri due 1 ora e cinque minuti. Augusto sarà secondo e Maxim l’ultimo. La caratteristica di questo campionato è che capire dove ci si trova è impossibile finché si fanno le qualifiche, perché non si sa quanta benzina hanno a bordo le macchine e come sono messe le gomme che utilizzano. In MotoGP invece il tuo potenziale lo capisci già dalle prove libere».
A Misano cosa è scattato?
«Prima di tutto, nelle piste che ho già fatto in moto, di solito guido più forte. Però Misano la conosco proprio tanto. È stato figo. Mi ha dato gusto quasi quanto vincere una gara di MotoGP».
Quasi?
«Eh, in MotoGP di più, ma anche per il contesto, c’è più gente. E poi lo sforzo per vincere una gara di MotoGP è ancora più grande. Però c’erano tutti i miei amici, abbiamo fatto un casino».
Magari ci torni come wild card in MotoGP. Ogni tanto qualcuno lo dice…
«Impossibile. Al massimo posso tornare come commentatore».
Scherzi?
«A me piacerebbe farlo. Soprattutto la Sprint con Sanchio e Meda, sarebbe divertente. Però quando vado alle gare mi piace ancora seguirle in pista, dal vivo vedi quell’ultimo pelo».
Però Vale che commenta sarebbe tanta roba.
«È che farlo sempre è un grande impegno, un lavoro. Però una volta ogni tanto mi piacerebbe. Prima o poi succederà».
Anche stasera abbiamo fatto tardi, è mezzanotte passata. Vincent dubita che Valentino si sveglierà alle sette domani, lui gli assicura di sì perché vuole seguire la gara di MotoGP alle 8. Poi colazione e preparazione per le qualifiche.
E, soprattutto, la gara.
È una questione di sensazioni, di atteggiamenti, di sguardi. Lo capisci subito che c’è un’altra energia. È domenica. Ore 9. La mattina ci sono le qualifiche, il pomeriggio la gara. L’unica eccezione è sempre Furfas che, come il giorno prima, sembra al bancone di un bar che aspetta un cappuccino: si stira, sbadiglia, ha la flemma di un vacanziero. Ma intorno a lui, nel box, la tensione e la frenesia ti mettono ansia.
Vale arriva dal retrobox già col casco.
Vale sale subito in auto.
Vale parte.
Albi se ne sta qualche secondo in stile umarell con le braccia dietro la schiena a fissare i monitor. Poi si gratta la testa, incrocia le braccia, si tocca il mento, va nel retrobox e torna con un pugno di noccioline in mano.
Max è peggio. Non riesce a stare fermo, fa una danza misteriosa fatta di piccoli passi sul posto, tocca le sedie, si guarda in giro. Vale è tredicesimo, poi sedicesimo, slitta in posizione ventuno e infine diventa ventottesimo. L’altra BMW ufficiale è un secondo più forte. Le cose non stanno andando bene.
Alla fine Vale torna nei box, scende, gli va incontro Farfus, poi dà le sue impressioni a Maxime. Max prende il suo casco, il suo bite, gli sfila la tuta e gli passa, nell’ordine: un panno giallo, con il quale Vale si asciuga il sudore, un cappellino, infine una borraccia. Gesti fatti con estrema naturalezza, abitudini regolari, sempre uguali, ripetute nel tempo. La pausa tra i turni di qualifica dura cinque minuti. Vale controlla i tempi di Farfus, leggermente migliori dei suoi, non di molto. Farfus comunque finisce la sua ora diciassettesimo. La macchina ha un setting sbagliato, non performa. Il nervosismo è palpabile, soprattutto quello di Max, l’unico che fa avanti e indietro e prende rotoli di carta celeste, nascosti dietro una parete, poi si asciuga il sudore sulle guance, sulla fronte, sulle sopracciglia. O meglio: è l’unico a non essere un meccanico o un pilota, perché loro sì che sono giustificati a sudare come fontane, hanno casco e tuta! Max no, indossa pantaloncini e maglietta a maniche corte. Eppure suda lo stesso come un dannato.
Nella tensione del Q3, però, a un certo punto Vale si avvicina a Max. Gli sussurra qualcosa, chiamano Albi, guardano tutti e tre in direzione di una coppia e scoppiano a ridere. Quel che si definisce: sdrammatizzare. Chissà cosa si sono detti. Maxime Martin chiude ventitreesimo. Con la media dei tre tempi, in gara, partiranno in diciannovesima posizione
ORE 12
Dopo le qualifiche è il momento degli autografi. Sin dalla mattina i fan sono ormai centinaia. Ora si trovano tutti tra l’hospitality e il corridoio tra i due motorhome che porta ai box. Sono più che a Misano, dice qualcuno. Forse a Valencia erano più numerosi, aggiunge un altro. In ogni caso la folla arriva fino alla fine del paddock.
Per i bodyguard è il momento più delicato: la fila deve scorrere con velocità.
Tuttavia Samu trova il tempo per girarsi e dirmi: «L’ottanta percento che vedi ora, continua ad aspettare Vale qui anche durante la gara. Insomma, dico io, hai pagato il biglietto e non ti guardi nemmeno la partenza?».
ORE 14
La pausa pranzo è brevissima, il tempo di mangiare un panino ed è già il momento del brief pre gara. Ripensando alla folla in fila, chiedo ad Albi qual è stato il momento in cui ha percepito che la popolarità di Vale stava diventando qualcosa di immenso. «Ah, lo so con certezza. Ce ne sono stati due. Dopo la gara di Welkomm, la prima con Yamaha, Vale era già considerato Vale, ma nessuno avrebbe mai immaginato che, lasciata la Honda e salito su una moto allora mediocre, sarebbe riuscito a compiere quell’impresa. Si scatenò un delirio. E poi nel 2015. L’ingiustizia subita da Marquez l’ha avvicinato ancora di più alla gente. L’anno successivo a Silverstone ovunque c’erano le magliette #iostoconVale. A Misano 2016 vedevi la gente che dall’autostrada arrivava in circuito a piedi». Ormai ci stiamo avvicinando alla gara e lo capiamo quando ci raggiunge Max: ha tre cubetti di ghiaccio in mano e se li mette in bocca, li succhia un po’, poi li riprende, se li spalma sulle braccia, poi in viso, poi se li rimette in bocca. È agitatissimo.
Questa volta, però, vado dritto con una domanda: è sempre come la prima volta?
Lui mi fissa. «Forse peggio, perché so cosa mi aspetta: tensione, ansia, rabbia».
Ha un walkie talkie che spunta dal taschino, con il quale comunica soprattutto con Samu. Ma Cami mi racconta che all’inizio lo avevano tutti e che si chiamavano in codice, come ne La casa di carta. Max era Cento, dal nome del comune dove abita, in provincia di Ferrara. Lei era Tavullia, Samu invece Palermo, la città di origine di suo padre. «A Spa abbiamo esagerato, non dormivamo da quarantott’ore, eravamo fuori di testa e ci facevamo gli agguati. Magari eri riuscito ad appisolarti un po’ e sentivi dal walkie talkie: Tavullia, stai dormendo? Fatti vedere!».
 
ORE 14:40
Nel box c’è gente abituata a parlarsi bocca a bocca o bocca a orecchie. In ogni caso fiato su fiato: se non sei intimo lo diventi.
Vale entra nel box già col casco, si sistema la tuta sull’inguine e sale in auto. Chissà, forse è una di quelle superstizioni sopravvissute alla MotoGP.
Parte e va a posizionarsi in griglia. Max ha dimenticato gli occhiali da sole di Vale nella Casa 46 e Albi va a prenderli. Nell’attesa, Max tortura altri cubetti di ghiaccio: li maneggia, li stringe, se li infila in bocca e smascella. Quando Albi torna, Max prende gli occhiali e scatta verso la pit lane. Provo a seguirlo ma lo perdo in un attimo. Mi ritrovo in mezzo a una marea di gente che cammina tutta nella stessa direzione, tra urla, macchine che ti sfiorano, rumori che mi rimbombano nella cervicale. Sto andando in pista ed è un fottuto delirio.
Una volta dentro, non so bene come trovare la griglia di Vale. Magari basta andare dove c’è più casino. In effetti è così.
Una delle guardie ormai mi conosce e mi lascia passare. Vale è appena uscito dall’auto ed è circondato da Samu, Cami e Max che lo sta aiutando a togliersi la parte sopra della tuta, poi gli passano un gilet da mettere sopra alla maglietta bianca.
Vale prende la borraccia, si disseta, si toglie il bite e lo ripone nel suo contenitore, si mette il cappellino e gli occhiali da sole. Intanto Albi gli fa ombra con un ombrello neroazzurro. Arriva il capotecnico, Raphael. Vale saluta il pubblico, si fa intervistare, prende una pacca di incoraggiamento da Farfus, continua a bere, si abbraccia con Maxime e poi deve rifare la vestizione: prima si sfila il gilet, poi infila il sottocasco, Max gli gira intorno e lo aiuta a infilare le braccia nella tuta, Vale si tira su la zip e prende il casco con la protezione del collo. Sempre Max, da dietro, lo assiste nella chiusura. Adesso è il momento dei guanti, prima il sinistro, poi il destro.
Gli steward cominciano a fischiare, bisogna lasciare la pista. Vale si dà il cinque con Albi, che lo segue mentre fa il giro dell’auto ed entra dalla parte del volante. Gli steward fischiano sempre più forte. Vale si mette le cinture, posa le mani sul volante, i tecnici fanno gli ultimi settaggi. Resta lì solo Max, fino al secondo prima della partenza.
Io e Albi torniamo verso i box. Ed è qui che mi dice: «Ma come faremo quando Vale smetterà? Come si fa a stare senza l’adrenalina prima della partenza, quella sensazione che ti fa salire i brividi e non si può spiegare? Come si fa a stare senza quella roba lì?».
ORE 15
Fin dalla prima curva, sul monitor che proietta la gara è come se le macchine fossero una sopra l’altra. Sono così tante che fatico a distinguere perfino i numeri. Albi si gratta il collo, ha le guance rosse. A un certo punto Max e Albi escono dal box e vanno nel motorhome. Vale è diciannovesimo, il suo miglior giro è il settimo. Entra la safety car e Farfus dice: «Wow».
Tempo due giri e ne entra un’altra. Vale si riaggrega con quelli davanti. Peccato però che una volta ripartiti va in testa coda.
Max si leva le cuffie e tira un cazzotto a una parete. Non capisco cosa stia succedendo, dato che Vale non rientra nel box. Quando alla fine arriva, Max gli va incontro e gli cinge un braccio intorno alla vita, come a dire: io sto con lui. Con Vale. Nel bene. Nel male. Che nessuno si azzardi a fiatare.
E Vale ha due occhi che sono una bestemmia. Albi mi raggiunge: «Alla curva 7 un altro pilota, Chaves, lo ha toccato ma non è successo niente. Alla 10 Vale, provando il contro sorpasso, ha toccato Chaves che è andato in testa coda e si è preso dieci secondi di penalità: un’infinità. Così deve essersi innervosito perché al giro successivo, sempre alla 7, è finito nella ghiaia. Dai box gli hanno detto di scendere dalla macchina, poi di risalire, ecco perché ci ha messo tanto a tornare». Già, ci vuole coraggio e umiltà a uscire dalla comfort zone, dove sei il Re, e andare dove dovrai metterti in discussione. Anche se ti chiami Valentino Rossi. Maxime riparte solo che, poco dopo, si ferma anche lui. Ritiro.
«Che gara di merda» commenta Albi.
 
ORE 18:20
Il risultato condiziona l’umore di tutti. Vale e gli altri si rifugiano nella Casa 46 e guardano la fine della gara da lì. La folla fuori dall’hospitality aspetta Valentino per l’ultima sessione di autografi e di selfie e lui resta sui gradini dell’hospitality così i fan, in processione, gli vanno incontro poi lasciano il posto a quelli dietro. Anche dentro l’hospitality, gli ospiti del team, tutti in piedi, aspettano che Vale rientri per una foto e una firma. Mi ricordano che la prima volta che vidi Valentino restai scioccato: stava mangiando nell’hospitality Yamaha del Mugello, anno 2007, e appena si alzò tutti ma proprio tutti i presenti si alzarono per rincorrerlo. Credo sia davvero difficile sapere quanto tutto questo possa gasarti e quanto possa diventare una rottura di coglioni.
Vado nel retro e saluto Camilla e Albi che sono pronti per prendere il taxi e raggiungere l’aeroporto. Albi sorride comunque, tuttavia è giù di morale e quasi si scusa con me per com’è andata la gara. In realtà sono io a essere dispiaciuto, in fondo per me è stato tutto, comunque, una figata. Dopo un po’ arriva anche Vale. Per la prima volta da quando lo conosco, ci abbracciamo.
Anche lui mi dice: «Oh, mi dispiace che è andata così». Però, rispetto a Max, Albi e Camilla, sembra il più rilassato. Ci riabbracciamo e salutiamo.
Recupero la Cinquecento arancione e, con un vago senso di tristezza, torno in hotel. Per come sto io, posso solo immaginare quanto sono amareggiati loro.
Quando torno in hotel il campo di asfalto è pieno di ragazzi che giocano a calcio a petto nudo mentre altri indossano le maglie di Messi all’Inter Miami, dell’Argentina o la numero 10 del Brasile. Litigano per un rigore non dato e poi cadono, si sbucciano, ridono e si incazzano. Mi fermo a guardarli per un po’, poi salgo in camera. Più tardi, anche se sto crollando dal sonno, guardo l’ultima puntata di un documentario intitolato Zone blu, un reportage nelle aree sparse per il mondo dove c’è un’alta percentuale di centenari rispetto alla media. La domanda in cerca di risposta è: qual è il segreto della longevità? Queste zone, anche se lontanissime una dall’altra, sono accomunate da una serie di caratteristiche, tra cui: conservare l’allegria qualsiasi cosa accada, avere sempre un obiettivo e fare parte di una comunità dove gli altri si prendono cura di te e tu degli altri.
Ed è qui che, d’improvviso, connetto i punti. E capisco.
Valentino Rossi è Valentino Rossi perché tutte queste cose lui le ha interiorizzate senza che nessuno gliele abbia mai spiegate.
È per questo che si circonda di gente che ride continuamente, consapevole dell’importanza di godersi il momento tatuandosi oggi è sempre.
Lui sa, forse da sempre, che per fare le corse al meglio è importante vivere in un ambiente piacevole e lavorare con persone con cui sentirsi in sintonia. Perché – per dare tutto in tre giorni – non c’è spazio per le incomprensioni.
Vale è il punto di riferimento di una comunità che, senza di lui, non potrebbe essere così unita, con l’Academy e tutti quelli che si ritrovano al ranch nello stesso spirito di chi gioca a calcio in un campo di asfalto e dà l’anima per qualcosa che non sa nemmeno bene cos’è. Perché è sempre questione di giocare per il gusto di giocare, correre per il gusto di farlo. Perché un pilota è un pilota, prima e dopo tutto. Gli altri possono pure provarci, a farti diventare serio, impostato, ma tu sei quello lì. Magari un giorno Vale vincerà il WEC e per chiunque sarà ancora di più un mito. Male che andrà, per l’ennesima volta, avrà tracciato una strada. Io ce li vedo, tra qualche anno, Vale e i vari Pecco, Bez, Uccio e gli altri a correre tutti insieme e a sportellarsi come scemi in un campionato gestito dalla Alberto Tebaldi Organization.
Per Vale – e l’ho capito con chiarezza in questi giorni passati con lui – non importa se ci sono i fan a inseguirlo, i microfoni a chiedergli come sta. L’essenza di ciò che è, sta da un’altra parte. Il motivo che spinge quelli come lui a sfidarsi per strada come in una finale, a giocarsi un mondiale in moto, a dare tutto per vincere in una pista sconosciuta coi tuoi amici: be’, è un altro. Ed è quella sensazione che non ha una parola precisa per essere descritta.
È Quella-Roba-Lì.
 
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