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 2023  novembre 08 Mercoledì calendario

Il mio manga italiano

Cos’è un manga? Un fumetto giapponese è la risposta esatta. Però può essere anche un fumetto che del manga segua lo stile e i codici. Insomma: un fumetto giapponese può essere fatto anche in Italia. Come quello che sta uscendo per Einaudi Stile Libero, intitolatoZeroventi, sceneggiato dallo scrittore di successo (cinquantenne, veronese) Matteo Bussola e disegnato da Emilio Pilliu, fumettista quarantenne di Iglesias. Ed è un manga d’amore, questo, con una storia che vede protagonisti Nadine e Davide, due giovani che (come dice la quarta di copertina) fuggono da due amori sbagliati e si incontrano fugacemente a Venezia (che con le sue bellezze incornicia tutta la vicenda).
Se davvero, come dicono gli scienziati, per innamorarsi si impiega zero virgola venti secondi (da cui il titolo) probabilmente quello è il tempo di lettura di una vignetta galeotta, posta nelle prime pagine di cui non vogliamo rivelare il contenuto. Basti dire che in tutte le altre si racconterà l’attesa e il desiderio, come nelle belle storie d’amore che sembrano dover durare per sempre. Ma qui un finale a sorpresa rimanda al secondo volume (per ora ne sono previsti quattro) e quindi chissà.
Matteo, in pochi sanno che tu nasci come disegnatore di fumetti.
«Io quello volevo fare nella vita.
Tanto è vero che quando Einaudi mi ha contattato per fare un libro di alcuni racconti miei pubblicati in Rete, io sono rimasto un po’ spaesato. Perché, dopo l’uscita del primo libro nessuno si ricordava più che io ero e volevo essere un fumettista».
Hai dovuto far pace con questo strano destino…
«Alla fine mi sono detto: in fondo volevo raccontare storie. Che io usi o meno la matita non ha poi così importanza».
E poi però la matita la usi lo stesso: per disegnare la copertina.
«In effetti tutto è partito da un’altra copertina in stile manga: quella che ho disegnato per il mio romanzo
Il rosmarino non capisce l’inverno. Una copertina che ha contribuito a farne di gran lunga il mio libro più venduto. E allora parlando con Einaudi ho detto scherzando “qui va a finire che un manga ve lo faccio sul serio”. E così è andata».
Ma non hai mai pensato di disegnarlo tu?
«Ti confesso che quella possibilità l’ho vissuta per una frazione di secondo. Ma poi ho pensato che sarebbe stato meglio rimanere vivo. Io ci avrei messo molto più tempo, anche per i tanti altri impegni della mia vita.
E poi, dico la verità, non so se sarei stato all’altezza di realizzare un lavoro del livello raggiunto da Emilio».
Per realizzare un manga bisogna sapere bene cosa sia.
«Ovviamente io sono da sempre lettore di fumetti e di manga. E del linguaggio dei manga mi interessa da sempre un certo modo di raccontare i sentimenti, l’interiorità dei personaggi, quel modo così particolare di dilatare la narrazione. Non a caso il termine manga viene da Hokusai, dai meravigliosi schizzi che lui faceva per ritrarre la vita di tutti i giorni».
Ora però il vocabolo identifica un fumetto, spessocon storie molto lunghe e situazioni esasperate. Per esempio è tipico del manga il passaggio da una situazione drammatica a una comica.
Invece il vostro manga è molto misurato.
«Vero. Abbiamo scelto di non usare degli eccessi, dei fuori registro, che alcuni fumettisti giapponesi usano. Io vengo dal mondo un po’ datato di Rumiko Takahashi (che, tra gli altri, ha creato Lamù e Ranma 1/2 )per la sua capacità di stemperare il dramma con l’umorismo, per farti cambiare punto di vista. E anche da quello di Mitsuru Adachi (autore, tra gli altri, diTouch ) che amo per i suoi silenzi e per saper raccontare così bene la difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo. È quel genere di dolcezza che si trova anche nei miei romanzi. Non c’è bisogno di urlare, di esagerare: si può dire quello che si vede con un tono leggero, tranquillo».
Aggiungerei anche affettuoso.
«Esattamente».
Com’è andato il lavoro insieme a Emilio, con cui peraltro avevi già collaborato?
«È stato un caos totale. Anche in senso buono. Dopo aver ideato i personaggi e la trama gli ho consegnato le pagine di sceneggiatura con il contagocce.
Quindi per forza di cose ho visto i suoi disegni che accompagnavano la mia scrittura. E devo dire che la grande capacità espressiva di Emilio, il suo essere immersivo in quel tipo di linguaggio, scoprire come riusciva a sentire i personaggi, ha influito anche sul mio lavoro. È bellissimo lavorare così».
Non sei uno di quegli sceneggiatori che vogliono il controllo assoluto del risultato finale.
«Quando il disegnatore ti propone una soluzione che non era precisamente quella da me pensata, io dico evviva! E forse lo dico perché sono un disegnatore anch’io».
Chissà se tua moglie, Paola Barbato, altra grande scrittrice e sceneggiatrice, sarebbe d’accordo.
«Forse no, ma credo che non lo ammetterebbe mai (ride)».
L’ultima lettura che emozioni ti ha dato?
«Ho letto interamente il fumetto una volta che era stato disegnato e ho ricevuto un senso di sorpresa. A tutto quello che non funzionava abbiamo posto rimedio.
E quelle correzioni mi hanno fatto apprezzare ancora di più il talento di Emilio. Mi bastava esprimergli una mia perplessità su una vignetta e lui in mezz’ora me la inviava corretta alla perfezione. Una sensibilità e un’intelligenza grafica prodigiose che fanno sì che il risultato finale sia di gran lunga superiore alla somma delle parti».
Le lettrici e i lettori dei tuoi romanzi ritroveranno il Bussola che amano anche in queste pagine a fumetti?
«Di sicuro troveranno le stesse atmosfere, le stesse suggestioni e lo stesso incedere narrativo. E lo dico con un auspicio: mi piacerebbe davvero che attraverso questo libro possano entrare in questo territorio che io amo tanto: quello del manga, quello del fumetto».