il Giornale, 7 novembre 2023
Codice Carla – al cinema dal 13 al 15 novembre – è l’ultimo omaggio a Carla Fracci. Un film per la regia di Daniele Luchetti, con la Fracci regina della danza in un contrappunto di voci di colleghi (Bolle, Ferri, Abbagnato), attori (Irons), performer (Abramovic, Bersani)
Codice Carla – al cinema dal 13 al 15 novembre – è l’ultimo omaggio a Carla Fracci. Un film per la regia di Daniele Luchetti, con la Fracci regina della danza in un contrappunto di voci di colleghi (Bolle, Ferri, Abbagnato), attori (Irons), performer (Abramovic, Bersani). Ricordi di vita quotidiana sono affidati al marito Beppe e al figlio Francesco Menegatti. Si racconta un’icona della danza, ma anche la forza del corpo che si sacrifica e soffre sfidando le leggi della natura.
Francesco Menegatti, la vostra più che una casa-bottega era una casa-officina.
«Ricordo i massaggiatori, la serie di strumenti attorno al letto di mamma, la porta che si chiude perché iniziano le operazioni di manutenzione. Anche io ogni tanto ho usato le mie mani sulle gambe e la schiena di mia madre, forse era un espediente per appropriami di qualche suo spazio».
Un’esistenza anche di dolori fisici quella di Carla Fracci.
«Mai sentito, però, un lamento, neppure durante la malattia. Penso abbia inciso l’approccio alla sofferenza che viene inculcato alle ballerine».
Non ha mai esternato neppure il male che se l’è portata via. Questione di pudore?
«Mamma era estremamente riservata».
Era credente?
«Molto. In questi giorni sicuramente mi avrebbe chiesto di portarla alle celebrazioni per i defunti. Guai a perdere le funzioni di Pasqua o di Natale».
Che rapporto aveva col cibo?
«Pareva che mangiasse, poi al termine del pasto notavi sul suo piatto mollica, grasso del prosciutto...».
Era molto attenta.
«Era attentissima, ma non ossessiva».
Da alcune scene del film, si direbbe che la sua sia stata una famiglia allegra.
«Mah... Allegra non direi, semmai molto colorata, c’era un bel casino in casa, gente che andava e veniva».
Quando ha capito che sua madre era un mito, a che età?
«Quando è stata posta vicino a Alessandro Manzoni, nel Famedio del Cimitero di Milano».
Nel film esce poco la dimensione della docente.
«La docenza è stata il suo grande cruccio. Mamma potrà essere studiata guardando e riguardando i video, ma ci sono cose che vanno trasmesse con l’insegnamento, con il braccio che viene lì e ti corregge, con lo sguardo. Cose che a mia mamma sono state precluse. Peccato. Quanto era entusiasta di quel risarcimento finale: le masterclass alla Scala, non faceva che parlarne, le considerava la cosa più bella che le fosse capitata nell’ultima parte della vita».
Accennava allo sguardo. Che sguardo aveva per lei, figlio? Era facile all’abbraccio, fisica?
«Fisica sì, ma alla milanese, un po’ distante e un po’ vicina: un mix. Sguardo fatto di occhi neri al punto che non riuscivi a capire se la pupilla fosse dilatata».
Carla Fracci come viveva il giorno dello spettacolo? Era tesa, d’umore altalenante?
«Dipendeva molto dalla recita. Quando la stampa la dava per finita creando tanta pressione allora sì, era un po’ tesa. Anche per certe serate epiche come quella con Nureyev alla Scala. Ho ancora nelle orecchie il conto alla rovescia prima di andare in scena, la voce dell’operatore che dice Carla 15’. Carla 10’. Carla 5’. Erano minuti di magia pura, di grande intensità, mistici».
«Pur stando sulle punte, ho i piedi ben per terra», soleva dire sua mamma. Concetto ribadito anche nel film. Quanto era concreta?
«All’ennesima potenza. Concreta in tutto».
Che rapporto aveva col denaro?
«Era molto parsimoniosa, attenta, si preoccupava se le cose non andavano come sperato. Forse lo si doveva al suo passato (papà tranviere, mamma operaia – ndr).
Cosa rappresentava per lei il 7 dicembre alla Scala? Non mancava una inaugurazione.
«Un ritorno a casa, un momento di ricongiunzione con l’ambiente che l’aveva vista crescere e al quale aveva dato tutto quello che aveva. Alla prima del 2014, con Fidelio di Beethoven in scena, l’accompagnai io anziché papà. Andammo anche alla cena del dopo-prima. Fuori c’erano i poliziotti antisommossa che nel vederla la salutavano, e lei ancora si stupiva che le persone la riconoscevano».
A quando un progetto a lunga scadenza alla memoria di Carla Fracci?
«Ci sto pensando. Vorrei fare qualcosa che resti, una Fondazione o un’accademia per talenti, o entrambe, qualcosa che attraverso il nome di mamma possa fare qualcosa per gli altri».