il Giornale, 7 novembre 2023
La magia che diede la vita alla settimana arte
Proiezione di fotografie scattate in rapida successione così da dare l’illusione di movimento: cos’è il cinema se non magia? Nel 1895 i fratelli Lumière inventando il cinematografo codificarono un’arte che nasce da un inganno, che poi si trasformerà nella fabbrica dei sogni. Chimere, abbagli, fantasticherie, visioni... E Georges Méliès, il secondo padre del cinema, non fu forse prima che regista – un prestigiatore e illusionista? Quando assistette, stupefatto, alla proiezione pubblica di un film dei Lumière, quello spettacolo gli apparve per quello che era ai suoi occhi: un trucco di magia rivoluzionario, un gioco di prestigio ultramoderno.
E quando fu lui a mettersi dietro la macchina da presa, non fece che trasferire nel cinema i trucchi del suo mestiere, filmando rappresentazioni di spettacoli d’intrattenimento. Nell’Escamotage d’une dame chez Robert-Houdin, del 1896, della durata di appena un minuto, si vede una donna che nascosta sotto un telo viene fatta sparire facendola uscire di scena e interrompendo la ripresa e poi riprendendo a filmare come se non ci fosse stato alcun intervallo: è il più antico esempio di montaggio. Un trucco, che sembra una magia.
Domanda: ma come avvenne, esattamente, che la magia incanto, celluloide e sali d’argento – prese la forma del cinema, che altro non è se non la più sofisticata delle illusioni? La risposta o una delle tante: tutto è apparenza... è la grande mostra A me gli occhi. Maghi, forzuti, illusionisti, fachiri e cinema (fino al 28 aprile 2024), a cura di Matteo Pavesi, aperta alla Cineteca di Milano e dedicata a quella invenzione-rivoluzione chiamata cinematografo che alla fine dell’Ottocento stravolse la natura dello spettacolo dal vivo. Con la conseguenza che teatri, sale da concerto, circhi e café chantan all’improvviso si trovarono a competere con una nuova arte, la settima, e la prima del Novecento: il cinema. E il mondo, come toccato da una bacchetta magica, cambiò.
A noi gli occhi e benvenuti in quella scatola magica in cui è stata trasformato lo spazio espositivo della Cineteca di Milano, la più antica del nostro Paese. Un anno di lavoro, un allestimento curatissimo di Roberto Della Torre, duecento pezzi fra manifesti originali (spesso in copia unica), locandine, fotografie, disegni (come quelli, rarissimi, con cui Georges Méliès abbozzava le sue scenografie), le ottocentesche «macchine del meraviglioso», film restaurati per l’occasione, libri antichi di magia, il «baule magico» del Mago Silvan (che ci accompagna nella visita alla mostra, 86 anni, migliaia di trucchi, e una convinzione: «La magia è semplicemente tutto ciò che non ha una risposta...») e una spettacolare messa in scena per raccontare una storia meravigliosa. Ossia come avvenne che, tra gli anni Venti e Trenta, in tutte le capitali europee (a partire da Milano, dove all’epoca il Teatro Dal Verme era un circo in muratura), i luoghi delle esibizioni dal vivo mutarono profondamente e i suoi protagonisti – illusionisti, lottatori, mangiafuoco, macisti, forzuti e clown – passarono direttamente dal palcoscenico ai set. Dall’intrattenimento popolare alle nuove tecnologie del Novecento. Dalle fantasmagorie ottocentesche alla malìa dell’arte cinematografica. Dal pre-cinema alla post-produzione. Ma i primi effetti speciali li aveva già concepiti Méliès quando a Montreuil, vicino Parigi, allestì il suo studio cinematografico dove girò il primo film di fantascienza, Viaggio nella Luna, ed era il 1902...
Tra le meraviglie in mostra. Giochi ottici del Sette e Ottocento. Un esemplare di pantoscopio, strumento ottico di intrattenimento popolare, che offre allo spettatore strabilianti «vedute ottiche», stampate su carta e colorate a mano, retroilluminate. Il primo apparecchio per riprendere, proiettare e stampare la pellicola cinematografica, presentato a Parigi nel 1895 dai Lumière (il pezzo esposto ha il numero di matricola 371!). Un monitor che attraverso foto e filmati narra vita e opere del primo maciste della storia del cinema: Bartolomeo Pagano (1878-1947), genovese. L’enorme manifesto dello Spark Ballet che debutta, anno 1927, all’Odeon, storico cinema milanese dove si alternano proiezioni di film e spettacoli di music-hall. Foto e filmati d’epoca del fachiro Mustafà, l’«ultimo» dei grandi mangiafuoco, epigono di Tahra-Bey, che negli anni ’70 e ’80 dello scorso secolo si esibiva a Milano in piazza Duomo: una leggenda cittadina, a suo modo, rimasta nell’immaginario dei milanesi, ma anche dei vigili urbani. Quando morì si lasciò alle spalle multe non pagate per un miliardo di lire...
E poi, sulla parete dell’ultimo corridoio, ecco un’infilata di schermi su cui scorrono le più belle magie del cinema. Gioco di dadi, un cortometraggio muto del 1909 dove un gruppo di persone giocano con dadi giganti in uno scenario decisamente surreale. Tutti i film di e su Harry Houdini (1874-1926), illusionista, re delle fughe impossibili e regista. Modesty Blaise, film del 1966, produzione inglese, con Monica Vitti e il nostro Silvan. Ovviamente il capolavoro F come falso diretto e interpretato da Orson Welles nel 1973. I film magici di Woody Allen (li avete visti, vero, Scoop e Magic in the Moonlight?). Poi verranno i blockbaster come L’illusionista (2006) con Edward Norton, The Prestige (2006) di Christopher Nolan o Now You See Me (2013) con il suo cast magico...
E, poco prima dell’uscita, capovolgendo il tempo, uno stranissimo cortometraggio del 1924, Entr’acte, in cui compaiono persino Marcel Duchamp e Man Ray impegnati in una partita a scacchi su una terrazza. Lo girò René Clair su un’idea del pittore Francis Picabia ed è considerato il film-simbolo del surrealismo. A pensarci, l’avanguardia più magica di tutte.
Sipario. Che oggi si dice The End.