la Repubblica, 7 novembre 2023
Baricco parla del suo Abel
Esce il mio nuovo romanzo, Abel, e mi viene da festeggiarlo raccontando a tutti la sua genesi curiosa, una storia piuttosto mia, personale, che tuttavia adesso mi piace condividerequi. Il fatto è che qualche anno fa mi è accaduto di pensare che dopo tanti romanzi e tanto lavoro mi sarebbe piaciuto provare a staccare il gesto dello scrivere da quello di mantenere in qualche modo me e la mia tribù. Devo essermi chiesto: ma cosa accadrebbe se io non avessi nessuna necessità materiale di scrivere? Continuerei a farlo, scriverei diverso, meglio, peggio? Ho in serbo da qualche parte uno scrittore libero che non ha mai potuto uscire da un qualche esilio?Mi sa che tutti gli scrittori, prima o poi, una domanda del genere se la fanno. Non è così originale. Però a me non usciva dalla testa quindi ecco quello che ho fatto. Ho rigirato un po’ di tessere nella mia vita professionale, ho preso delle decisioni, e alla fine mi sono ritrovato nella seguente situazione: se anche non avessi mai più firmato un contratto o pubblicato un libro, intorno a me nessuno sarebbe finito nei guai, o anche solo fuori dalla sua comfort zone di benessere. C’erano altri lavori che potevo fare. Li avrei fatti. Bon, deciso. Adesso si trattava di vedere cosa sarebbe successo.La prima cosa che successe è che per un bel po’ non ho più scritto una riga. Alle volte si ècosì fastidiosamente banali.Poi, però, a poco a poco, incominciò a crescermi dentro quella che era una mancanza, un battito mancante, uno spazio bianco. Il fatto è che per me scrivere è sempre stato, oltre a un modo per campare, una sorta di esercizio spirituale, e spesso un eremo dove meditare, e sempre il mio segreto Carnevale. E questi tre pezzi di me non sembravano aver trovato una dimora diversa, analogamente perfetta. Così nel libro mastro del mio sentire i conti non tornavano più, e denunciavano una vita in perdita.Eh, no. Ricordo di aver fatto un bel po’ di camminate, la testa china a guardarmi i piedi. Era quattro, cinque anni fa. Poi un giorno sono tornato a casa, ho acceso il computer, ho aperto un file e ho scritto: “Un western metafisico”. Non avevo una storia, ancora meno una trama e se devo dirla tutta neanche lo straccio di un personaggio. Ma dovevo scrivere, dovevo farlo al più presto, dovevo farlo subito. Ho lasciato che emergesse dal nulla una scena, semplicemente una scena. La vidi arrivare. C’era gente sui bordi ultimi della Frontiera. Trovare la voce giusta fu un attimo. Iniziai a scrivere.Perché proprio il western, si dirà. Be’, non avevo tempo e voglia per edificare mondi, come faccio di solito, mi serviva qualcosa di pronto all’uso, e in questo senso i generi sono perfetti: una buona parte del materiale è già sul tavolo, i pezzi sono quelli, non devi fare altro che iniziare a giocare. E il western di tutti i generi è quello che amo di più: forse perché contiene tutti gli altri, come alcuni dicono. Ma insomma, mi sono buttato da quella parte. Alla seconda riga c’era già uno sparo. Fantastico.Insomma, è andata che mi sono ritrovato a “scrivere scene”, ritrovando un mio respiro e una prassi che avevo abbandonato:arrivavano una ad una, alcune completamente scoordinate con le altre, alcune già un po’ allineate, ma su linee strane, per così dire quantiche. Niente di particolarmente lungo. Alle volte era una sola paginetta. Tutte le intitolavo con la prima riga,come si fa con le poesie. Sento una vibrazione allora sparo. Dopo un po’, con una punta di sgomento, mi sono accorto che erano tutti endecasillabi (hey, è un vero outing, ragazzi). Tanto che a un certo punto mi è venuto da pensare che non erano scene, ocomunque non erano solo scene, ma, esagerando un po’, erano canti scritti in prosa di un qualche poema perso dentro me stesso. È a quel punto che nella cartelletta che raccoglieva le pagine stampate ho scritto a mano quello che resta il primo titolo del libro che adesso si chiama Abel. Il titolo era: L’opera poetica di Abel Crow, sceriffo.Decidi di non firmare più contratti e guarda dove finisci. Strani posti.Ci sono rimasto per un bel po’ di tempo. Sempre con molta parsimonia: scrivevo lento, abbastanza di rado. Ma il sound e il sapore di quello che scrivevo avrei potuto ritrovarli in un istante in qualsiasi istante. Sono passato tempi di gioia e tempi di malattia, e sempre ancoraAbel era là. Quando non avevola forza di scriverlo lo pensavo. Lo respiravo, come mi era successo tante altre volte, scrivendo i miei romanzi: solo che questa volta tutto era più segreto, più sospeso su nulla. Solamente io al mondo sapevo chi era Abel Crow, e, per quanto potessi immaginare in quel momento, nessuno mai l’avrebbe saputo oltre a me.Be’, immagino che adesso si tratterebbe di spiegare perché alcuni di voi si troveranno a pagare degli euro per comprare un libro stampato, regolarmente edito da un editore, disponibile nelle librerie, frutto di un contratto regolarmente firmato, e intitolato Abel. È la parte banale della storia. A voler ridurre gli eventi all’osso, è andata così: ho iniziato a far leggere un “canto” al figlio, poi uno alla donna che amo, poi l’altro figlio, poi uno di qua e uno di là, erano come regali, o come messaggi da qualche lontananza, insomma mi veniva molto naturale, ogni tanto era così dolce spedire quelle righe. Aveva effettivamente il sapore del compimento. Di qualcosa riportato a casa. Un senso così forte, cristallino, che tutt’a un tratto il gesto di scrivere per me stesso mi è parso una sorta di gesto luttuoso, interrotto, celibe. A modo suo tristissimo. Insomma, alla fine, la gente che avevo intorno ci credeva così poco al fatto che non avrei pubblicato nulla che ho finito per non crederci più neanch’io. È scivolato tutto in modo molto naturale. Ho preso quello che avevo scritto, gli ho limato addosso l’ombra di una forma, ho aggiunto qualche canto che dava armonia. La figura che mi sono ritrovato sotto gli occhi era stranissima, ma con una sua bellezza preziosa. Era qualcosa che non avevo mai immaginato e adesso l’avevo fatta. Chiaramente non era un libro finito. Ma, capii con assoluta chiarezza che non era un libro fatto per finire. Un giorno ho detto al mio editore che avevo un romanzo. Poi è accaduto tutto il resto. Poi tutto il resto accadrà.Contrariamente a quanto faccio talvolta nei miei romanzi, inAbel non ho scritto la parola Fine, nell’ultima pagina, in maiuscolo. Sapevo cosa sarebbe successo. Il computer l’ho riaperto ben prima che uscissero le prime bozze di copertina. Mi venivano incontro altre scene. Ho ripreso a scrivere lento e di rado. Ho ripreso a respirare dal punto in cui mi ero interrotto. Il primo canto nuovo l’ho dedicato al dottor Wood: adoro il suo humor e la confusione con cui passa sulla terra. È quello che cura i pazzi. Ma insomma, chi leggerà capirà. Si troverà bene, con lui. Io ci passo insieme intere serate.Never ending book.