La Stampa, 7 novembre 2023
Il papa ambiguo
Nonostante le spiegazioni ufficiali è molto difficile credere che la mancata lettura del discorso ai rabbini europei, ricevuti ieri in udienza da papa Francesco, sia stata provocata da un problema di salute. Un problema che, tra l’altro, non sembra essersi presentato durante gli altri e diversi impegni papali nel corso della giornata. L’episodio – certo non mitigato dalla prudenza diplomatica del discorso non pronunciato e scritto dai collaboratori – in un momento in cui in Europa e in America si riaccende la vergognosa fiamma dell’antisemitismo, costituisce un segnale preoccupante. Non si può negare infatti che quanto è avvenuto renda ancora più complicata la situazione, già poco chiara, dei rapporti fra Bergoglio e il mondo ebraico. Una posizione, quella del pontefice, che è sempre più difficile definire semplicemente ambigua.Questo atteggiamento ambiguo, inoltre, non riguarda solo Israele, ma anche l’Ucraina nonché altri conflitti che il papa ignora, come quello scatenato dagli Azeri contro gli Armeni. A Francesco non piacciono le guerre, ma dietro questa affermazione, che oserei definire persino ovvia, sembra nascondersi ogni volta qualcosa d’altro: il rifiuto di esprimere un giudizio morale, di segnalare con chiarezza la differenza fra vittima e aggressore. Viene addirittura da pensare che – nonostante le iniziali affermazioni subito dopo l’attacco di Hamas – il pontefice non sia più del tutto sicuro che le vittime di un attacco improvviso e ingiustificato abbiano almeno il diritto di difendersi, così come sorge il sospetto che la sua dichiarata antipatia per gli Stati Uniti arrivi a impedirgli di provare simpatia per i paesi aggrediti che godono della protezione americana. Ma nel caso di Israele e degli ebrei ci sono altre questioni che aggravano la situazione. I cattolici della Terra Santa sono quasi tutti palestinesi e risiedono anche a Gaza, dove si sono rifugiati in una parrocchia alla quale pare che il papa telefoni quasi tutti i giorni. Ma può essere sufficiente questa presenza cattolica, senza dubbio incolpevole e sottoposta a mille pericoli, per giustificare la poca chiarezza con la quale le gerarchie ecclesiastiche – seguendo il pontefice – si sono fin qui pronunciate? E che dire del documento sulla «fratellanza umana» firmato nel 2019 da Bergoglio insieme al Grande Imam di Al-Azhar, mostrando così di ignorare l’antisemitismo di tale istituzione, emerso con chiarezza in questi giorni?La dichiarazione Nostra aetate, frutto del Concilio Vaticano II, e successivamente gli scritti di Ratzinger hanno abbandonato la famigerata teoria della sostituzione, affermando una volta per tutte che i cristiani non si sono sostituiti agli ebrei nell’alleanza con Dio, perché irrevocabili sono i doni divini. Tuttavia, nonostante questi passi decisivi la diffidenza del mondo cattolico verso il popolo ebraico sembra riemergere ogni volta che dichiararsi solidali con gli ebrei richieda di pagare un prezzo.L’ebraismo non è una religione tra le tante che partecipano ai raduni mondiali per la pace. L’ebraismo vuol dire le nostre radici, l’ebraismo siamo noi. L’ebraismo insieme alla tradizione cristiana è alla base della cultura occidentale, una cultura certo non perfetta ma l’unica che difende la libertà della persona, la protezione della vita di ognuno e l’uguaglianza fra donne e uomini di fronte alla legge. Fino a prova contraria l’Occidente è l’unico parte del globo in cui i valori – giustamente difesi nel documento sulla «fratellanza umana» – hanno trovato un’attuazione, sia pure imperfetta. Non difendere l’ebraismo, accettare il nuovo antisemitismo come una sorta di fatale conseguenza della questione palestinese, significa rinunciare alla nostra cultura, alle radici della nostra libertà, e favorire un acritico avvicinamento a quel mondo islamico apertamente sostenuto dalla Cina e dalla Russia.Ci è possibile, come cristiani, come cattolici, accettare questa ambiguità che nasconde a fatica l’antica e sempre presente diffidenza verso gli ebrei? Penso che anche dal punto di vista laico l’attacco dell’islamismo radicale alla nostra cultura, al nostro modo di vivere, è così palese che non possiamo nasconderci la realtà: dietro l’attacco alle sinagoghe, ai cimiteri ebraici, è tutto l’Occidente a essere attaccato. I cristiani – o se si vuole gli atei di antica tradizione cristiana – non saranno certo risparmiati grazie all’ambiguità della Chiesa. È bene che tutti se ne rendano conto. —