il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2023
Ridono gli advisor: incassi da 200 milioni
I commenti alla vendita, in corso, della rete Tim a Kkr oscillano come l’umore della fidanzata di Hugh Grant in Quattro matrimoni e un funerale: tra il depresso e l’eccitato. “Non si poteva fare altrimenti”, “è un nuovo inizio”, “una decisione storica” e su questo, se non altro, c’è poco da dire: nessun’altra società di telefonia verticalmente integrata ha mai scelto di liberarsi dell’infrastruttura. C’è chi però guarda con legittimo ottimismo al futuro, ovvero al momento del closing, fissato per l’estate 2024, quello in cui l’affare sarà formalmente chiuso: parliamo dei destinatari di bonus e success fee, cioè le commissioni che toccano agli advisor finanziari in caso di successo della vendita .
Non stiamo dando alcuna notizia, è pratica normale in questo genere di affari: basti dire che nell’ultimo triennio la capofila di questo mercato – Jp Morgan, che non a caso è uno degli advisor del fondo statunitense Kkr – s’è portata a casa solo in commissioni della divisione Investment Banking quasi 30 miliardi di dollari. In genere le success fee si calcolano in percentuale sul valore dell’affare e su una torta così grossa possono oscillare tra l’1 e l’1,5%: fonti vicine all’affare Tim-Kkr (che vale 20-22 miliardi) parlano infatti di una cifra che finirà in commissioni tra 200 e 300 milioni di euro.
E qui possiamo tornare a Jp Morgan, che in questa vicenda ha un ruolo di assoluto rilievo: tra i protagonisti dell’affare c’è infatti il chairman per Europa, Africa e Medioriente della banca statunitense, che altri non è che l’ex ministro dell’Economia (ma pure ex Ragioniere generale e dg del Tesoro) Vittorio Grilli. Vendere la rete è stata la scelta di Tim, nonostante la “freddezza” del primo azionista Vivendi, fin dal Piano industriale del luglio 2022, ma serviva il via libera del governo, non scontato specie da quando l’offerta scelta è stata quella di Kkr e non quella della cordata tra la pubblica Cassa depositi e prestiti e il fondo austrialiano Macquarie, cioè l’accoppiata che possiede Open Fiber.
L’interlocuzione con l’esecutivo sarà stata di sicuro facilitata dall’antica frequentazione tra Grilli e Gaetano Caputi, già dirigente al Tesoro e oggi segretario generale di Palazzo Chigi e vero regista dell’operazione insieme al sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, il duo “meloniano” che ha completamente esautorato dalla partita Giancarlo Giorgetti. La faticaccia di mettere tutti d’accordo è comunque giustificata dall’incasso finale: le commissioni di Grilli e soci dovrebbero superare i 60 milioni di euro. Gli altri advisor finanziari coinvolti sono Mediobanca, Vitale, Goldman Sachs e LionTree per Tim; Morgan Stanley e Citi, oltre a Jp Morgan, per il fondo statunitense Kkr; Ubs e Colombo & Associati per il Tesoro (che per ora è però ancora spettatore della partita).
Saranno queste società a dividersi la torta delle commissioni, ma non solo loro avranno da beneficiare dalla chiusura dell’affare. Ad esempio anche l’amministratore delegato di Tim, Pietro Labriola – anche qui, come sempre accade in questo tipo di acquisizioni – avrà un premio se la vendita della rete andrà in porto: il suo bonus potrebbe superare i 20 milioni.
Vivendi permettendo, ovviamente: il ricorso annunciato dal primo azionista di Tim pende, per così dire, anche su bonus e commissioni…