il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2023
La mafia usava il fax
Inizia tutto negli anni Novanta, quando si comincia a diffondere l’uso del fax. Questo strumento, che all’epoca sembra così moderno, apre le porte a una marea di possibilità anche per le organizzazioni criminali. I fax permettono un rapido scambio di informazioni, offrendo un’efficienza senza precedenti nella comunicazione.
Poi arriva Internet, un’enorme rete che connette il mondo intero. Con essa, le informazioni possono essere condivise a distanza di un clic. Nel contempo vengono create applicazioni capaci di garantire conversazioni vocali gratuite in tutto il mondo. “Per gli altri trenta ci sentiamo su Skype” è il messaggio che fa subito comprendere l’abilità delle mafie di utilizzare le nuove tecnologie per sfuggire all’occhio vigile delle forze dell’ordine.
Le generazioni precedenti avevano preferito il cosiddetto walk and talk, con alcuni boss che addirittura andavano a discutere gli affari più importanti camminando sulla battigia, con il rumore delle onde in sottofondo, per evitare di essere intercettati. La svolta più significativa di quegli anni, però, coincide con la decisione di molti clan mafiosi di trasferire alcune delle loro attività online. Le vecchie bische, luoghi di gioco e scommesse illecite, spesso situate in zone appartate o nascoste, vengono spostate sul Web, occultando gli ingenti profitti dietro a siti con server in Paesi a fiscalità privilegiata. Spuntano pagine web che consentono di navigare tra gli eventi sportivi disponibili e selezionare quelli su cui si desidera scommettere. E vengono creati anche casinò virtuali, in cui l’utente può accedere a una vasta gamma di giochi online, come blackjack, roulette, baccarat e slot machine. Diventa un business planetario anche il cosiddetto “pezzotto”, dal nome di uno degli strumenti, in pratica un decoder, utilizzati per diffondere in Rete materiale soggetto a protezione della proprietà intellettuale e in particolar modo eventi sportivi di ogni genere. Si stima che siano oltre cinque milioni gli italiani che si servono di indirizzi pirata per vedere le partite della squadra del cuore.
In quegli stessi anni, le applicazioni di messaggistica istantanea diventano il nuovo canale di comunicazione preferito dai clan, fornendo una relativa anonimità e la possibilità di criptare i messaggi funzionali ai traffici gestiti in Italia e all’estero. Ma la vera rivoluzione arriva con l’avvento delle piattaforme social, delle criptovalute e del Dark web. A questo nuovo scenario, i mafiosi, soprattutto quelli più giovani, si adattano rapidamente. I social media forniscono uno strumento di reclutamento e propaganda, mentre le monete digitali offrono un modo per effettuare transazioni finanziarie con un livello di anonimato estremamente elevato. Il Dark web, la zona più oscura e meno conosciuta di Internet, diventa il luogo di incontro delle menti criminali. Qui, le mafie possono vendere droghe, armi e dati rubati, sfuggendo a molte indagini delle forze dell’ordine, spesso impossibilitate a scandagliare i meandri del Dark web, soprattutto quando i server di questi bazar dell’illecito sono custoditi in Paesi tradizionalmente ostili a ogni forma di collaborazione con gli inquirenti occidentali. Nel 2007 si manifestano i primi segnali di una presenza tutt’altro che discreta di individui appartenenti a clan di camorra sui social media, cui presto si aggiungono esponenti e simpatizzanti delle altre mafie. Facebook, all’inizio, è un parco giochi, ma anche un potente strumento a doppio taglio. Alcuni latitanti cadono nella trappola della geolocalizzazione. Dopo aver pubblicato foto su Facebook, vengono stanati e arrestati grazie al Global Positioning System, un processo di identificazione che, sfruttando una rete di satelliti in orbita intorno alla Terra, riesce a rilevare oggetti, dispositivi, persone o altri punti in qualsiasi parte del mondo. A mano a mano che il tempo passa, gruppi, pagine e falsi profili cominciano a proliferare, celebrando boss del passato e film dedicati alla criminalità mafiosa. Facebook diventa quasi subito un veicolo di autopromozione, un palcoscenico virtuale per coloro che cercano potere, ammirazione ed emulazione. È nel 2012, però, che la consapevolezza del Web cresce, grazie all’acquisizione di nuove conoscenze digitali. Ai vecchi pizzini si affiancano i post sui social media e le minacce diventano virali, amplificate dalla dimensione globale della Rete.
Mentre il mondo si affaccia su questa nuova realtà, molti mafiosi, attraverso account falsi o anonimi, cominciano anche a diffondere messaggi che hanno come obiettivo quello di ostentare ricchezza e, di conseguenza, potere. (…) Nel 2016 sui social media sbarca la “Google Generation Criminale”, quella dei nati a cavallo tra i due secoli. Sono giovani rampanti che portano con sé una nuova mentalità ma anche un approccio innovativo nella gestione delle attività criminali. Vede la luce, in quegli anni, l’“interreale” mafioso, una dimensione in cui il reale e il virtuale si fondono, diventando una singola entità, un’estensione della mente stessa, come aveva previsto il sociologo francese Jean Baudrillard. Molte minacce social si traducono in agguati fisici. E riflettono l’evoluzione di una dinamica sempre più comune nella società moderna, in cui le interazioni e le comunicazioni digitali influenzano e talvolta scatenano eventi concreti nel mondo reale. (…)
Con la presenza sempre più massiccia della Google Generation Criminale, le piattaforme social, nel periodo compreso tra il 2016 e il 2020, diventano teatri di una strategia di presidio, simile a quella utilizzata nel mondo fisico per spiare i nemici. Nel frattempo, la criminalità organizzata italiana si sposta da Facebook a YouTube e, successivamente, su Instagram e TikTok, dove i filtri per il rilevamento e il monitoraggio dei contenuti sono inizialmente meno efficaci. Sui social si comincia a fare uso di un linguaggio gergale, ricco di dialetti, doppi sensi, simboli grafici e immagini di tatuaggi. I social diventano lo specchio e il motore di un continuo rinnovamento della cultura criminale mafiosa, che ridefinisce vecchi paradigmi e costruisce consenso tramite i contenuti diffusi online.