il Fatto Quotidiano, 6 novembre 2023
Rai, di niente: di meno. Coppa Italia addio: il servizio pubblico nel calcio è scomparso
“Rai, di tutto di più”, diceva lo slogan degli spot andati in onda sulla tv di Stato negli anni 80, 90, primi 2000. E va be’ che in pubblicità tutto (o quasi) è consentito: ma di certo, quello slogan suona sinistro, oggi, per tutti gli italiani appassionati di calcio che pagano ogni anno, in bolletta, i 90 euro del canone. La notizia, ora che anche i diritti di Coppa Italia e Supercoppa italiana – dopo quelli del campionato assegnati fino al 2029 a Dazn e Sky – sono stati ceduti, per la precisione a Mediaset per 58 milioni, è che l’abbonato Rai amante del pallone continuerà a pagare il canone per avere “di niente e di meno”. Per i prossimi cinque anni nessuna partita di Serie A, di Coppa Italia, di Supercoppa italiana, di Champions League, di Europa League e di Conference League verrà infatti trasmessa dalla tv di Stato.
Che coi soldi del canone dovrebbe fungere da servizio pubblico prestando attenzione a tutti e invece dimentica una grande fetta dei suoi clienti paganti: gli appassionati di calcio ai quali propina solo le partite della nazionale, oltretutto spendendo milioni per acquisire i diritti di tornei, come il campionato del mondo, che si giocano ogni 4 anni e a cui l’Italia non partecipa dal 2014 (quando si dice cornuti e mazziati). Ma nazionale a parte, il calcio sulla Rai è scomparso. Potrebbe occuparsene Chi l’ha visto?, visto che gioca in casa.
Stando ai dati della ricerca annuale “Sponsor Value” di StageUp e Ipsos, sono oggi quasi 25 milioni – per l’esattezza 24.480.000 – i tifosi delle 20 squadre di Serie A presenti in Italia. Se a questi aggiungiamo i tifosi dei club di Serie B e C, parliamo di circa metà popolazione italiana: persone che pagano il canone e che avrebbero diritto, come tutti, di essere prese in considerazione. La Rai ha invece deciso da tempo di non investire nemmeno un centesimo per trasmettere le partite delle squadre di club; e intasca i 90 euro di canone di 30 milioni di italiani che per seguire la squadra del cuore, che sia la Juventus o il Napoli, l’Inter o la Roma, il Milan o la Lazio non ha importanza, sono poi costretti ad abbonarsi a Dazn per vederla giocare in Serie A e ad abbonarsi a Sky e Prime per vederle giocare in Champions o Europa, o Conference League.
In pratica: un utente Rai appassionato di calcio paga i suoi 90 euro annuali a vuoto e per seguire la squadra del cuore deve accendere svariati abbonamenti stanziando una cifra non inferiore a 50-60 euro mensili (600-700 euro all’anno). Spremuto come un limone. Come nelle migliori tradizioni.
La cosa buffa è che la Rai non fa nemmeno il gesto. Tra i diversi “pacchetti” messi in vendita dalla Lega Serie A per il quinquennio 2024-29 c’era ad esempio quello della partita in chiaro del sabato sera: generalmente un match di cartello, quindi di grande appeal anche pubblicitario. L’unica piattaforma a mostrare interesse è stata Mediaset, anche se alla fine il veto di Dazn ha precluso ogni accordo. Mamma Rai? Non pervenuta. Pensando di salvare la faccia, la Rai ha deciso poi di partecipare, con Mediaset, al bando per i diritti di Coppa Italia e Supercoppa. La Lega chiedeva 62 milioni, Mediaset ha scritto in busta 56+2 e sapete qual è stata l’offerta della tv di Stato? Tenetevi forte: venti milioni.
Addio Coppa Italia, addio Supercoppa e tanti saluti a chi paga il canone e ama il pallone. E vorrebbe vederlo rotolare, ogni tanto, anche sugli schermi Rai. Macché. C’erano una volta Nicolò Carosio, Nando Martellini, Paolo Valenti, Bruno Pizzul. C’era una volta Rai Sport.