la Repubblica, 6 novembre 2023
Intervista a Franco Nero
«Con Vanessa ci siamo conosciuti nel ’66, la nostra storia dura da 57 anni.
Abbiamo avuto qualche momento brutto ma la maggior parte fantastici». Franco Nero è di passaggio nella casa romana, tra un set e un altro, «sono appena tornato dal Brasile, poi tre giorni a Palermo per un set, tra due riparto. Ho un’indole gitana come mia nonna». È quasi a disagio per la commozione suscitata in tv dal videomessaggio di Vanessa Redgrave, una grande dichiarazione di amore. «Che vuole che le dica, il nostro rapporto sembra il copione di un film».
In che senso?
«Di solito ci si conosce, ci si sposa, si hanno figli, poi ci si lascia ed è finita.
Noi abbiamo lasciato che questa storia andasse avanti. Il momento più bello con lei è stato la nascita di nostro figlio Carlo, i più drammatici quando ha perso il nostro secondo figlio e quando è morta Natasha. Non immagino una vita senza Vanessa».
Il segreto di un rapporto così longevo?
«La stima. È una donna difficile ma è da ammirare, da una vita combatte per i diritti umani. Ci siamo incontrati anche su quello».
Nella sua carriera tra Hollywood e l’Italia, ha girato oltre 250 film.
Pentimenti e “no” clamorosi^
«La carriera è fatta di fortuna. Ho rinunciato a film diventati successi mondiali. Penso aGorky Park. Da noi ho rifiutato La piovra eIl maresciallo Rocca,la televisione, anche di successo, non mi interessava».
Nel suo libro “Django e gli altri” parla degli incontri con Sordi, Mastroianni, Gassman.
«Con Alberto facemmo
I promessi sposi,io Fra Cristoforo, lui don Abbondio. Gassman l’ho frequentato a Los Angeles, io giravo Il pirata da Harold Robbins. Vittorio era solo, senza Diletta, io avevo una bella casa, mia madre cucinava e lo invitavo e lui diceva che aveva da fare. Poi richiamava, “ho pensato che…”.
Amava la buona cucina e aveva una gran fame».
Ha girato con tanti registi italiani.
«Alternavo film d’autore e commerciali. Mi piacque girare con Marco Bellocchio Marcia trionfale,ma anche con Damiani, Corbucci, Enzo G. Castellari. Il più divertente era Gigi Magni: sul set ero Garibaldi e ci sfidavamo con i finti duelli western da mattina a sera».
Qualche disavventura sul set?
«A cavallo sul set diCamelot, con tutta l’armatura, si rompe la sella e volo. Per non dire di Django. Mi hanno tenuto per ore in una palude in pieno inverno, in ospedale hanno dovuto massaggiarmi con l’alcol».
Hollywood: l’incontro più clamoroso?
«Frank Sinatra. Mi avevano preso per
Camelot,arrivo a Los Angeles distrutto, l’agente mi porta al ristorante e mi presenta, al tavolo accanto, lui e Mia Farrow. Parliamo, mi dice “sei stanco?”. Mento, e mi porta nello studio dove incide That’s lifecon l’orchestra. Ogni tanto veniva a dare un bacetto a Mia Farrow come a dire “ahó nun ce provà”. L’ho rivisto anni dopo a un torneo di tennis a Monte Carlo, eravamo seduti con lui e Roger Moore. Mio figlio in campo, 17 anni, in un doppio misto con Barbara Sinatra, la colpisce con una palla tremenda. Frank scatta incazzato “ma chi è questo?” e interviene Moore che dice “è il figlio di Franco, è stato un incidente, non succederà più”. Meglio non farlo arrabbiare».
A proposito di coppie. Lei conosceva Burton e Taylor.
«Molto litigiosi. Con lui legammo subito, feci un cameo nella sua serie
Wagner. A Vienna andiamo al ballo delle debuttanti io e lui, che aveva litigato con Liz, e si mette a bere.
Inizia a offendere il chirurgo Barnard, una figuraccia tremenda.
Alla fine l’ho sorretto fino all’hotel».
Il suo divo preferito?
«William Holden, il set con lui,21 ore a Monaco, sulle Olimpiadi del 1972, era un sogno. Stavo sempre a baciarlo. Era bello, sexy».
S’era innamorato di Holden?
«Sì, ma in modo platonico».
Con chi ha ancora rapporti?
«Tarantino mi adora. Andavamo sempre a cena a Los Angeles, un po’ meno da quando è sposato e con prole. E con Harrison Ford. Volevo prendere i diritti diSchindler’s list,ma per un giorno Spielberg mi ha fregato. Chiamai Harrison che girava con luiIndiana Jones,“fammi un favore, dì a Spielberg che quel ruolo devo farlo io. Quello gli spiegò che lo avrebbe girato più in là. Infatti l’ha fatto dieci anni dopo. E ha preso mio genero, Liam Neeson».
Un suo amico era Kirk Douglas.
«Ci conoscemmo a Los Angeles grazie a Goldie Hawn, a casa sua, cantava stornelli romani. Voleva girare un film a Roma con me. Una volta organizza una cena, li raggiungo a fine lavoro, lui, moglie e invitati hanno mangiato tutti. Ma nessuno alla fine paga. Mi rompo i coglioni e pago io. Succede».
La bellezza: vantaggio o limite?
«Dà occasioni. Ma per molti critici un attore bello non può essere bravo, lo diceva Paul Newman. Quando uscì Il giorno della civetta i critici esaltarono tutti i caratteristi, non me. Dopo anni hanno scoperto che ero bravo».