la Repubblica, 6 novembre 2023
Pasolini, Pelosi e la stanca liturgia degli anniversari
La «bella e amabile illusione», che già Leopardi raccontava come una malattia della memoria, è ormai una liturgia nell’Italia della nostalgia e del rimpianto. Non credo che le recenti, sontuose celebrazioni, abbiano aumentato i lettori di Sciascia, Dante e Manzoni, i classici che, dice l’aforisma “tutti vogliono avere letto e nessuno vuole leggere”. E ora tocca al centenario di Italo Calvino. Le sue opere, che giacevano assopite come mummie, sono risorte in vetrina, e la creatività editoriale si è estenuata su amori, amicizie, animali… “La ricordanza” alimenta la coazione a ripetere e Pier Paolo Pasolini, al quale lo scorso anno, nel 2022 era già stato dedicato di tutto perché scoccava il centenario della nascita, giovedì scorso, nel quarantottesimo anniversario della morte, come ogni 2 novembre, è stato, per la quarantottesima volta, ritrovato a Ostia con la testa spaccata. E infatti «la procura di Roma sta valutando di riaprire le indagini» che, nella sceneggiata dell’anniversario è l’effetto rullo di tamburo: “Chi ha ucciso davvero Pasolini?”. I gialli italiani sono grumi di colpe collettive e inespiabili che si incrociano con le celebrazioni infinite: ci sono quelli che “Pasolini è un delitto politico”, quelli che “l’hanno ucciso i fascisti”, quelli che “l’ha ammazzato lo Stato”, quelli che “è stato ucciso dai suoi personaggi, i suoi ragazzi di vita”, quelli che “se l’era andata a cercare” ma anche quelli che “è stato Pelosi e basta” e quelli che “non è stato Pelosi, non scherziamo”. Quando lo incontrai, Pino Pelosi, detto “la rana”, aveva perso tutti i caratteri fisici del tipo pasoliniano, non somigliava più a se stesso e non aveva neppure l’aria di esserlo stato. All’epoca dell’omicidio aveva 17 anni, dunque era minorenne, era stato in carcere tre volte per furti d’auto e teppismo, nelle foto, in jeans e giubbotto attillato, era sorridente e malandrino, le mani in tasca, capelli ricci alla Lucio Battisti, incarnava il vizio-ossessione di Pasolini. Quando lo incontrai aveva i capelli corti e l’aria mite e ordinaria di uno qualunque e non lo riconobbi. «Aoh, svegliati, io so’ Pelosi, quello de Pasolini, so’ stato vent’anni in galera». Reo confesso, aveva detto di avere agito per legittima difesa perché Pasolini voleva possederlo con un paletto, ventimila lire di regalo. Secondo i giudici gli aveva spaccato la testa e poi, mentre Pasolini tentava di fermare il sangue con le mani, gli diede pedate, bastonate sul volto e sul naso, un calcio nei testicoli che lo fece svenire. Pelosi disse che non si era accorto di essergli passato sopra con l’auto. «Pasolini è stato ucciso così» scrisse Enzo Siciliano, «il cuore scoppiato sotto la pressione dei pneumatici della Gt».
Secondo la sentenza di condanna, Pelosi non era solo. Lui disse che era solo, poi che non era solo, infine che non c’era. È morto nel 2017. Ma ogni 2 novembre “quello de Pasolini” torna a vivere per ucciderlo.