la Repubblica, 6 novembre 2023
Haniyeh a rapporto da Khamenei l’Iran vuole un posto al tavolo dei grandi
BEIRUT – L’Iran muove le sue pedine, con le minacce e con la politica, giocando per avere un posto al tavolo dei grandi negoziati che si apriranno dopo la guerra per decidere chi governerà Gaza, una leva formidabile su Israele. A Teheran in questi giorni è arrivato Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas e ha incontrato la guida suprema, Ali Khamenei. La televisione di stato Irna ha diffuso la foto di rito: i due alleati uno di fronte all’altro in una stanza spoglia, l’arredamento modesto a sottolineare la vita umile dell’ayatollah e la foto di Khomeini, il padre della rivoluzione islamista, che domina la sala. La grammatica è quella dei vertici importanti, il resoconto ufficiale scarno: Haniyeh «ha informato Khamenei sugli ultimi sviluppi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania» e «l’ayatollah ha elogiato la fermezza e la resilienza del popolo di Gaza esprimendo un forte rammarico per i crimini del regime sionista, sostenuto direttamente da Washington e da alcuni Paesi occidentali».
Il vertice di Teheran arriva in un momento particolare del conflitto mentre il segretario di Stato Usa Blinken è impegnato in un denso tour diplomatico nelle capitali arabe e in Cisgiordania per avviare un percorso che porti alla tregua e all’inizio di una soluzione politica. L’orizzonte è quello dei due Stati, gli arabi sono pronti, ma è una prospettiva da sempre avversata dagli iraniani. Mohammad Sarfi, il direttore del giornale filogovernativo Teheran Times, lo ribadisce in un editoriale titolato “Le proposte vuote di Blinken”: sono stati gli americani di fatto a boicottare gli accordi di Oslo, premette, ma «se anche ci fosse questa soluzione, chi sarebbe disposto a cedere il 70% della propria terra agli occupanti e a vivere con loro? Un potenziale governo palestinese che faccia parte della soluzione dei due Stati non può che assomigliare all’Autorità Nazionale Palestinese e non sarà niente di più. Un’entità corrotta che non fa altro che sopprimere i resistenti». Per questo Teheran cerca di creare un fronte diplomatico alternativo a quello arabo. Il ministro degli Esteri Abdollahian è stato in Turchia, fino all’altro ieri acerrimo avversario. Ha scritto per la seconda volta a Guterres, si è rivolto all’organizzazione per la cooperazione islamica chiedendo unità del mondo musulmano contro Israele, e persino alla organizzazione per la cooperazione di Shanghai, il summit delle potenze dell’Est – Russia, Cina, Asiacentrale – chiedendo loro una condanna diretta ed esplicita “dei crimini sionisti”. Ieri il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha parlato anche con il Papa, che poco prima, all’Angelus, aveva invocato di «cessare il fuco, in nome di Dio!». «Le brutali atrocità del regime sionista a Gaza – ha detto Raisi a Bergoglio rappresentano il più grande genocidio dell’intero secolo e un crimine contro l’umanità».
Ma poi c’è la leva militare. Le milizie irachene filoiraniane continuano a colpire le basi americane e ad ammassarsi nella Siria del Sud pronte ad azioni contro Israele. In Libano gli scontri a fuoco tra l’Idf ed Hezbollah si sono intensificati alpunto che il ministro iraniano Abdollahian ora avverte anche gli italiani: «Pensate ai vostri soldati lì». Teheran vuole sedersi al tavolo, magari anche strappare concessioni sulle sanzioni, e del resto è difficile immaginare una pace duratura senza che la leadership del cosiddetto Asse della Resistenza venga coinvolta. Di questo è convinto il premier libanese, Mikati, che è amico personale di Abdollahian e ha avanzato un piano di pace in tre fasi: «Gli iraniani faranno parte di una pace globale», ha dichiarato. «Se raggiungiamo un accordo sulla pace internazionale e globale, sono sicuro che Hezbollah e Hamas deporranno le armi».