Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  novembre 06 Lunedì calendario

Il Comandante visto da un capitano vero

Oggi nei sottomarini c’è tantissima tecnologia, ma la sfida con il mare è rimasta la stessa di allora. Come affrontare Gibilterra in immersione, che rimane “una bestiaccia”: l’incontro tra Atlantico e Mediterraneo, con uno scoglio in mezzo, crea correnti così potenti da fermare il battello più moderno e poi farlo saltare in alto e in basso». Il capitano Manuel Moreno Minuto commenta una delle scene chiave del film Comandante, interpretato da Pierfrancesco Favino. Minuto è un comandante dei nostri tempi, con alle spalle decenni di missioni nell’abisso, e adesso ha la responsabilità dell’intera flottiglia sommergibili della Marina Militare: ben otto sottomarini, tra cui i quattro avanzatissimi U212 chiamati “Classe Todaro”, in onore dell’ufficiale protagonista della pellicola diretta da Edoardo De Angelis. Una storia che prima era custodita solo dalla tradizione dei marinai, ma che è finalmente arrivata sul grande schermo: l’ufficiale che rischia tutto per salvare i naufraghi della nave che lui stesso aveva affondato.«L’elemento fondamentale è il rapporto che si crea con l’equipaggio, rimasto identico come quello del film – spiega il capitano Minuto -. Gli uomini mettono la loro vita nelle sue mani e il comandante deve saper trovare la parola e il gesto giusto: un tocco artistico per stemperare le situazioni più drammatiche. E conta moltissimo l’addestramento per creare la simbiosi tra marinai e macchine». Una vita dura. Scrivono De Angelis e Sandro Veronesi nel romanzo da cui è tratta la pellicola: «Qui si potrebbe impazzire tutti, senza la guerra. Fosse solo navigazione, impazziremmo tutti. Tutto il giorno appiccicati gli uni agli altri, con gli odori che si mescolano a quello del lubrificante e del gasolio, tutto il giorno concentrati ad ascoltare, immaginare, prevedere, e i pensieri belli non vengono nemmeno più in testa. È la navigazione a toglierti la voglia di vivere, nei sommergibili, è questa che andrebbe raccontata…». «In teoria la nostra realtà è ancora più difficile – precisa il capitano Minuto –. Quello di Todaro, come tutti i battelli della Seconda Guerra Mondiale, era un sommergibile: procedeva in superficie solcando le onde e scendevasott’acqua solo nelle emergenze o negli agguati. Quelli di oggi invece sono sottomarini, costruiti per stare sempre in immersione: possono restarci per settimane. Lo si vede nella forma: prima la prua somigliava a una nave, ora i battelli ricordano una goccia perché devono essere parte dell’acqua. Negli odierni U212 ventisette tra uomini e donne convivono in un guscio lungo cinquantacinque metri con un diametro di sette». Non ci sono letti per tutti: vige la regola della “branda calda”, dove una persona sostituisce l’altra a seconda dei turni.Le differenze rispetto al “Cappellini” mandato nell’Atlantico a dare la caccia ai mercantili britannici sono nella tecnologia. Il sonar non trasmette più avvisi acustici, che richiedevano l’abilità dell’operatore per interpretarli: i dati appaiono su un display e il rumore delle eliche captato sotto le onde viene analizzato da un software. «Anche nel 1940 a bordo c’erano gli strumenti più avanzati disponibili in quel periodo. I sottomarini attuali però sono talmente evoluti da somigliare ad astronavi – sottolinea il capitano Minuto – : non a caso l’Agenzia spaziale sta studiando i nostri equipaggi per preparare i viaggi su Marte. Ma tanta tecnologia deve essere controbilanciata dal fattore umano. In ogni aspetto, persino nella superstizione e negli amuleti che compaiono nel film: in mare sopravvivono corni appesi e teste d’aglioscaramantiche. D’altronde quando sei sott’acqua l’unica cosa che vedi sono gli strumenti intorno a te: non sai cosa c’è effettivamente fuori…».Il capitano Minuto ha curato anche la preparazione di Favino, che ha trascorso parecchi giorni nella scuola sommergibilisti della Marina: «Quando è arrivato aveva già letto tantissimi testi, potremmo dargli il diploma...». Il racconto per immagini è visionario e pieno di trovate spettacolari, ma aderente alla vicenda di Salvatore Todaro e con una ricostruzione bellica fedelissima pur nei dettagli.«La storia di Todaro mi ha illuminato – sottolinea il regista Edoardo De Angelis – per un’idea di forza che contiene l’esecuzione di un ordine militare ma anche la capacità di tendere la mano a chi è debole in quel momento. Il soldato che vince e tende la mano al vinto stabilisce che pure nell’abominio della guerra c’è una regola: il rispetto dell’umanità. Il fatto che all’epoca sia stato possibile mi fa credere che sia ancora possibile». Il riferimento all’attualità è esplicito: «Nel 2017 quando abbiamo cominciato a lavorare su questo progetto, la politica parlava di “porti chiusi”. A me non stava bene, a me piace Todaro quando dice: “Noi siamo italiani, abbiamo duemila anni di storia alle spalle e non lasciamo annegare la gente”». È la legge del mare.«In Comandante – aggiunge il capitano Minuto – si vede molto bene come l’equipaggio sia composto da uomini di regioni, dialetti e abitudini diverse, che riescono insieme a dare il meglio dell’italianità, contribuendo ciascuno con la propria identità. È un miracolo che continua ad avvenire». Nel film un ruolo chiave è quello del cambusiere Giggino, il cuoco che conosce a memoria tutte le ricette italiane e, quando dopo settimane di navigazione non può servire che brodaglia, fa sognare i marinai declamando i nomi delle prelibatezze in una sorta di rosario gastronomico. Una tradizione che vive ancora nei sottomarini: nonostante la notte e il giorno in immersione siano uguali, il turno che prende servizio a mezzanotte viene accolto con tranci di pizza caldi. «Non sono uno sfizio – conclude il capitano Minuto-: servono a svegliare chi monta di guardia e renderlo più attento. Come i piatti di Giggino: sono la nostra cultura e in fondo la nostra arma segreta».