Corriere della Sera, 6 novembre 2023
Il Comandante visto da un capitano vero
Oggi nei sottomarini c’è tantissima tecnologia, ma la sfida con il mare è rimasta la stessa di allora. Come affrontare Gibilterra in immersione, che rimane “una bestiaccia”: l’incontro tra Atlantico e Mediterraneo, con uno scoglio in mezzo, crea correnti così potenti da fermare il battello più moderno e poi farlo saltare in alto e in basso». Il capitano Manuel Moreno Minuto commenta una delle scene chiave del film Comandante, interpretato da Pierfrancesco Favino. Minuto è un comandante dei nostri tempi, con alle spalle decenni di missioni nell’abisso, e adesso ha la responsabilità dell’intera flottiglia sommergibili della Marina Militare: ben otto sottomarini, tra cui i quattro avanzatissimi U212 chiamati “Classe Todaro”, in onore dell’ufficiale protagonista della pellicola diretta da Edoardo De Angelis. Una storia che prima era custodita solo dalla tradizione dei marinai, ma che è finalmente arrivata sul grande schermo: l’ufficiale che rischia tutto per salvare i naufraghi della nave che lui stesso aveva affondato.«L’elemento fondamentale è il rapporto che si crea con l’equipaggio, rimasto identico come quello del film – spiega il capitano Minuto -. Gli uomini mettono la loro vita nelle sue mani e il comandante deve saper trovare la parola e il gesto giusto: un tocco artistico per stemperare le situazioni più drammatiche. E conta moltissimo l’addestramento per creare la simbiosi tra marinai e macchine». Una vita dura. Scrivono De Angelis e Sandro Veronesi nel romanzo da cui è tratta la pellicola: «Qui si potrebbe impazzire tutti, senza la guerra. Fosse solo navigazione, impazziremmo tutti. Tutto il giorno appiccicati gli uni agli altri, con gli odori che si mescolano a quello del lubrificante e del gasolio, tutto il giorno concentrati ad ascoltare, immaginare, prevedere, e i pensieri belli non vengono nemmeno più in testa. È la navigazione a toglierti la voglia di vivere, nei sommergibili, è questa che andrebbe raccontata…». «In teoria la nostra realtà è ancora più difficile – precisa il capitano Minuto –. Quello di Todaro, come tutti i battelli della Seconda Guerra Mondiale, era un sommergibile: procedeva in superficie solcando le onde e scendevasott’acqua solo nelle emergenze o negli agguati. Quelli di oggi invece sono sottomarini, costruiti per stare sempre in immersione: possono restarci per settimane. Lo si vede nella forma: prima la prua somigliava a una nave, ora i battelli ricordano una goccia perché devono essere parte dell’acqua. Negli odierni U212 ventisette tra uomini e donne convivono in un guscio lungo cinquantacinque metri con un diametro di sette». Non ci sono letti per tutti: vige la regola della “branda calda”, dove una persona sostituisce l’altra a seconda dei turni.Le differenze rispetto al “Cappellini” mandato nell’Atlantico a dare la caccia ai mercantili britannici sono nella tecnologia. Il sonar non trasmette più avvisi acustici, che richiedevano l’abilità dell’operatore per interpretarli: i dati appaiono su un display e il rumore delle eliche captato sotto le onde viene analizzato da un software. «Anche nel 1940 a bordo c’erano gli strumenti più avanzati disponibili in quel periodo. I sottomarini attuali però sono talmente evoluti da somigliare ad astronavi – sottolinea il capitano Minuto – : non a caso l’Agenzia spaziale sta studiando i nostri equipaggi per preparare i viaggi su Marte. Ma tanta tecnologia deve essere controbilanciata dal fattore umano. In ogni aspetto, persino nella superstizione e negli amuleti che compaiono nel film: in mare sopravvivono corni appesi e teste d’aglioscaramantiche. D’altronde quando sei sott’acqua l’unica cosa che vedi sono gli strumenti intorno a te: non sai cosa c’è effettivamente fuori…».Il capitano Minuto ha curato anche la preparazione di Favino, che ha trascorso parecchi giorni nella scuola sommergibilisti della Marina: «Quando è arrivato aveva già letto tantissimi testi, potremmo dargli il diploma...». Il racconto per immagini è visionario e pieno di trovate spettacolari, ma aderente alla vicenda di Salvatore Todaro e con una ricostruzione bellica fedelissima pur nei dettagli.«La storia di Todaro mi ha illuminato – sottolinea il regista Edoardo De Angelis – per un’idea di forza che contiene l’esecuzione di un ordine militare ma anche la capacità di tendere la mano a chi è debole in quel momento. Il soldato che vince e tende la mano al vinto stabilisce che pure nell’abominio della guerra c’è una regola: il rispetto dell’umanità. Il fatto che all’epoca sia stato possibile mi fa credere che sia ancora possibile». Il riferimento all’attualità è esplicito: «Nel 2017 quando abbiamo cominciato a lavorare su questo progetto, la politica parlava di “porti chiusi”. A me non stava bene, a me piace Todaro quando dice: “Noi siamo italiani, abbiamo duemila anni di storia alle spalle e non lasciamo annegare la gente”». È la legge del mare.«In Comandante – aggiunge il capitano Minuto – si vede molto bene come l’equipaggio sia composto da uomini di regioni, dialetti e abitudini diverse, che riescono insieme a dare il meglio dell’italianità, contribuendo ciascuno con la propria identità. È un miracolo che continua ad avvenire». Nel film un ruolo chiave è quello del cambusiere Giggino, il cuoco che conosce a memoria tutte le ricette italiane e, quando dopo settimane di navigazione non può servire che brodaglia, fa sognare i marinai declamando i nomi delle prelibatezze in una sorta di rosario gastronomico. Una tradizione che vive ancora nei sottomarini: nonostante la notte e il giorno in immersione siano uguali, il turno che prende servizio a mezzanotte viene accolto con tranci di pizza caldi. «Non sono uno sfizio – conclude il capitano Minuto-: servono a svegliare chi monta di guardia e renderlo più attento. Come i piatti di Giggino: sono la nostra cultura e in fondo la nostra arma segreta».