Corriere della Sera, 6 novembre 2023
Tra i giovani 75enni
Caterina ad esempio. Settantaquattro anni portati con garbo. «Quando vengo al parco con Giulio mi sento in pace. Lui gioca e io penso. Respiro. Ha 4 anni ed è un bambino calmo. Qui ho cresciuto i miei due figli, facevo il turno di notte in ospedale per andare a prenderli a scuola e venire a giocare. Restavamo fino a quando era buio. Ci divertivamo un mondo. Ma sulla panchina, allora, ci crollavo. Esausta. Mi sembra di aver corso per 40 anni di seguito. Adesso mi riposo. A modo mio».
Roma, Villa Sciarra, area bambini, grandi magnolie, iljinko biloba con le foglie giallo oro, Caterina, ginecologa in pensione, volontaria in un centro antiviolenza e in un ambulatorio per migranti, racconta la sua “vecchiaia”. «Vecchia, che parola forte. Così secca e dura. Per me invece è un’età morbida, mi sta regalando ciò che non ho mai avuto: il tempo. E lo stupore di essere nonna. Sì, continuo a fare il mio mestiere, ma dopo 37 anni in un ospedale pubblico poche ore di impegno al giorno sono niente, mi fanno bene. Ho troppa esperienza per non donarla. A me sembra di vivere, senza enfasi, una strana età nuova».
Il terzo tempo della vita
Eccola allora l’età nuova. Quella longevità che sta rivoluzionando le frontiere della vita. Non dappertutto, non in modo equanime, non senza, a volte, l’ombra della depressione che si allunga sugli anni che passano, vero male oscuro di ciò che un tempo si definiva vecchiaia. Ma il dato è certo: là dove canonicamente c’era l’autunno dell’esistenza c’è oggi un ventennio di vita attiva a cui né la demografia né la sociologia sono ancora riuscite a dare un nome.
Il “Terzo tempo”, così lo ha definito Lidia Ravera, ossia “l’età non età” dei figli del baby boom che arrivati alla pensione hanno fatto saltare la scansione delle generazioni, in un orgoglioso “Age pride” rubando ancora il titolo di un saggio di Ravera, implacabile accusa verso ogni forma di ageismo.
Bisogna spostare le lancette in avanti, spiega il demografo Alessandro Rosina. «Perché tra la fine dell’età adulta che tradizionalmente coincide con la pensione, tra i 67 anni e l’epoca nella quale si viene poi definiti anziani, 79 anni, si è incuneata una fase che prima non c’era, attiva, sana, progettuale, una sorta di tarda maturità, un’età nuova, piena di potenzialità, categoria che gli americani chiamano senior ma che in Italia non ha ancora una definizione davvero appropriata». Eppure gli over 65 sono oltre 14 milioni di persone.
Se mancano ancora le parole i fatti però ci sono. Lo dice la società di Geriatria e gerontologia italiana, che ha proposto di identificare l’entrata nella terza età a 75 anni e non più a 65 anni così come indicano le linee guida dell’Oms. Quindi alle ortiche i certificati di nascita, perché, così sembra, ogni categoria andrà riscritta, visto che nella rivoluzione della longevità l’aspettativa di vita di maschi e femmine supera abbondantemente gli ottant’anni, (80,5 anni per i maschi, 84,8 per le femmine).
Sanità, pensioni e tecnologia
Ma come si vive da senior in Italia? «Per adesso ancora bene, in un contesto fragile però», spiega Alessandro Rosina. «A essere arrivati a questo traguardo sono i boomers, nati tra il 1945 e il 1964, con le loro salde pensioni, in buona salute, potendo contare, ancora, sul servizio sanitario nazionale, su reti familiari e case di proprietà, con un alto livello di istruzione, cui si uniscono oggi le straordinarie potenzialità della tecnologia. Per chi oggi ha 65 anni si apre un orizzonte, del tutto inedito, di almeno altri due decenni di vita attiva, tutta da scrivere e da immaginare». Una prospettiva che si allunga poi sempre di più. In uno scenario che può sembrare confortante o apocalittico nello stesso tempo, se pensiamo che nel 2050, «l’italiano tipo avrà 75 anni, ma la frontiera della longevità si sposta e così come abbiano guadagnato nuove stagioni dimaturità e non più vecchiaia tra i 65 e gli 80 anni, accadrà che anche il decennio verso i 90, cambi forma e prospettiva».
Ventimila centenari
Dalla quarta alla quinta alla sesta età. Soltanto lo scorso anno i centenari nel nostro paese sono passati da 20 mila a 22 mila. Un esercito di grandi vecchi in una società dove la natalità declina però inesorabilmente, nel 2022 sono nati soltanto 393 mila bambini. Una rivoluzione però con i piedi di argilla. Rosina: «La longevità ha bisogno di saldi sistemi di welfare. Se questi, come sta accadendo in Italia, continuano a venire erosi, tra pensioni e sanità non più garantite, senza politiche di sostegno alla natalità, allora l’allungamento della vita non sarà più una risorsa ma soltanto l’età della fragilità». E della povertà e dell’amarezza.
I segni purtroppo ci sono già tutti, basta guardare i tagli appena decisi dal governo Meloni, che potrebbero intaccare per sempre quella “silver economy” ossia la capacità di spesa degli over 65 che ha costituito finoral’ultimo baluardo contro la recessione dei consumi.
Caterina e l’amore
Caterina sei anni fa ha divorziato. «Con Marco era finita da anni. Ci siamo amati, abbiamo un figlio e una figlia adulti, un nipote che adoriamo. Ma quando ho smesso di lavorare ho sentito che resistere accanto a lui mi avrebbe fatto troppo male. Nel tempo ci siamo traditi e ritrovati, però non si può restare insieme per abitudine. Abbiamo stretto un patto di solidarietà: se dovessimo ammalarci ci sosterremo a vicenda. Non cerco una nuova emozione ma se dovesse arrivare la accoglierò. Curo le donne e so che la sessualità è possibile ben oltre le età canoniche, è possibile sempre». È uno dei pilastri di questo tempo ritrovato: libertà anche culturale di amare in vecchiaia. Lo dimostrano i dati Istat sui divorzi, che segnalano un progressivo aumento di addii nella fascia 55-65 anni. Si chiude, anche, per riaprire. Basterebbe leggere, ad esempio, Donne dell’anima mia di Isabel Allende, 81 anni, un inno all’amore (e al sesso) a qualunque età.
«Sono stata innamorata tutta la vita – dice spesso Allende – Quando ho divorziato dal mio primo marito, dopo tre mesi convivevo già con il secondo, William Gordon. Siamo stati insieme 28 anni, ci siamo lasciati che avevo superato i 70. A 74 anni ho incontrato Roger e ci siamo sposati. Oggi ho raggiunto un’età in cui mi sento in pace ed energica. Mi sono allenata molto a lungo per diventare un’anziana appassionata».
“Noi che volevamo tutto”
Allora è possibile. Affrontare l’autunno con leggerezza. «Credo che la mia generazione non invecchierà mai, perché i giovani come categoria sociale li abbiamo inventati noi che eravamo ragazzi nel ’68» scherza Marina D’Amato, 73 anni, sociologa di lungo corso. «Siamo stati protagonisti di una rivoluzione culturale che ancora oggi la sociologia indaga. Per la prima volta mettevamo in crisi i grandi passaggi verso l’età adulta, dal matrimonio al servizio militare alla rivendicazione di una sessualità libera. Ibooomer, cioè noi, siamo cresciuti ma abbiamo continuato a pensare di essere protagonisti del mondo che volevamo. E la società si è evoluta insieme alla nostra generazione: istruzione di massa, medicina, prevenzione, diritti, pensioni».
Una condizione irripetibile, D’Amato ne è consapevole. «Guardo le mie amiche, guardo me stessa: siamo rimaste un po’ ragazze con tanti anni di più. Abbiamo semplicemente deciso di non essere vecchie». Ma non è questione di lifting. È una questione di anima. Vittorino Andreoli, psichiatra, 83 anni, dice senza remore: «Sono felice di essere vecchio e mi piace la parola vecchio. Non longevità, vecchiaia. Non è una condanna, ma una weltanschauung, una concezione del mondo». Indagatore di ogni tipo di mente comprese le menti criminali, Andreoli oggi è un cantore dell’era d’argento, ogreynassance, rinascimento grigio. «Siamo dentro una rivoluzione antropologica. Quindici milioni di italiani sono vecchi, non era mai accaduto. Non è vero che i neuroni muoiono, ricordatevi di Rita Levi Montalcini. Noam Chomsky ha 97 anni, provate ad ascoltarlo. La memoria diventa selettiva, conquista ricordi e perde pezzetti di presente, ma superato il lutto della perdita del ruolo sociale, cosa importa se ci dimentichiamo unnome?».
Nel libro Una certa età, Andreoli spiega perché la vecchiaia, se ben vissuta e ben curata, è un regalo e non un lutto. «Sono uscito dalla lotta darwiniana, non voglio cose, non voglio onori. Posso amare, gli organi perdono vigore ma la passione no. Per questo odio il pensiero della morte. Perché adoro ogni istante di questo periodo della vita».