La Stampa, 5 novembre 2023
Intervista a Christian De Sica
«Non se ne può più di personaggi negativi e vincenti». In vena di ricordi Christian De Sica liquida, a sorpresa, la sua ampia galleria di personaggi sboccati, maleducati, insopportabili: «Se facessi oggi un film come quelli con Aurelio De Laurentiis produttore, mi arresterebbero». Il merito della conversione, ma anche, semplicemente, di una ritrovata voglia di tenerezza, va al film di Caterina Carone I limoni d’inverno (dal 30 nelle sale con Europictures) in cui recita, affiancato da Teresa Saponangelo, nei panni di Pietro, professore di lettere in pensione alle prese con una progressiva perdita di memoria.Che succede, si è stancato di far ridere?«È una vita che faccio ruoli di misogini e maschilisti, d’altra parte si sa che si ride con il demonio, non certo con San Francesco. Questa è la mia prima volta da uomo perbene. Penso sia arrivato il momento di portare in scena il bello e il buono del nostro Paese. In Italia ci sono tante famiglie felici, ma nessuno le racconta, si preferisce sottolineare i lati oscuri e questo è sbagliato, sono convinto che le persone abbiano bisogno di eleganza, di positività, di film con William Holden e Audrey Hepburn, di commedie ottimiste come quelle di mio padre. Mi torna in mente Aldo Fabrizi e una sua battuta in cui diceva soddisfatto “oggi è domenica, c’è il pollo!”. Ecco, quell’Italia lì, fatta di semplicità e gente umile, non la descrive più nessuno».Cosa non le piace del cinema di oggi?«Non ne posso più di film americani a base di esplosioni e primi piani. E poi mi rattrista constatare che il nostro sia un Paese che dimentica in fretta e facilmente. Anni fa sono entrato in un bar con mio fratello Manuel, c’erano due ragazzi, uno ha detto all’altro “ma lo sai che anche il papà di Christian faceva l’attore?” In Francia non sarebbe mai successo, lì un vecchio attore di successo è considerato un idolo da venerare».Suo padre resta indimenticabile, nel 2024 saranno celebrati i 50 anni dalla morte. Cosa le ha insegnato?«Nessuno come lui sapeva lavorare sui sentimenti delle persone, era capace di ritrarre la “pietas”, mi diceva sempre di non fare lo sguardo furbo, di non cercare la battuta a effetto, di ascoltare».E lei segue i suoi consigli?«Certo. Per Limoni d’inverno ad esempio lui ripeteva spesso “guarda negli occhi della donna che hai davanti per trovare la verità delle cose”. Ho guardato Teresa negli occhi e non ho avuto difficoltà».Nel film Pietro perde la memoria. Lei che rapporti ha con i ricordi?«Io con i ricordi ci vivo. Per Risi, Monicelli, Age, Scarpelli, Sordi, ho sempre avuto una stima sfegatata, senza non avrei potuto fare niente. Una volta, poco prima che se ne andasse, Sordi mi prese da parte, eravamo in una trasmissione tv, mi disse “ogni volta che vedi una foto mia, ce’ devi mette il moccoletto sotto, perché da me hai imparato tutto”. Aveva ragione. Per esempio, nella comicità, ho imparato che certe cose, tipo la vecchia che cade per terra, faranno sempre ridere».Oggi, però, con l’imperativo del politically correct, le battute vietate sono tante. Che ne pensa?«Il politically correct è una stronzata. Siamo tutti castrati, solo Checco Zalone se ne frega e continua a far ridere. Se ripenso a certi trucchi, a certi travestimenti del passato, che ne so, tingermi la faccia di nero per interpretare un afro-americano… tutta roba diventata impossibile».I cinepanettoni le hanno regalato grande successo. Rimpianti?«I film di Natale erano una gabbia dorata, ho continuato a farli, ma ho anche avuto la sensazione di essere rimasto fregato».In che senso?«Per esempio quando Tornatore mi offrì la parte del protagonista dell’ Uomo delle stelle, ero sul set di Natale a Rio e fui costretto a rifiutare. E poi non sono mai riuscito a girare il film sulla storia dell’amore tra mio padre e mia madre Maria Mercader sul set del film La porta del cielo. Ogni volta che tornavo alla carica con il mio progetto, mi sentivo dire “lascia perdere, è una storia che fa piangere, non la vedrà nessuno”. Così alla fine non se n’è fatto niente. Di figure drammatiche ne ho interpretate poche, nella Medea di Porta Medina ero Giasone, e poi, diretto da Pupi Avati, nel Figlio più piccolo, facevo un padre mascalzone. Il fatto è che in Italia se fai una volta un cow-boy succede che poi, per tutta la vita, ti fanno salire e scendere da cavallo».Secondo lei perché?«Ci vorrebbe un po’ più di coraggio, saper immaginare un attore in contesti diversi da quelli in cui si è abituati a vederlo. Ho recitato adesso in Vita da Carlo 2, mi ha telefonato Aurelio e mi ha detto che insieme funzioniamo. Gli ho risposto “E solo ora te ne accorgi?”. E dire che siamo cresciuti insieme..»Siete anche cognati, visto che sua moglie Silvia è sorella di Carlo Verdone.«Devo molto a mia moglie, stiamo insieme da 50 anni e ridiamo ancora tanto. È lei che mi ha spinto a fare teatro, ed è stata lei che mi ha convinto a girare I limoni d’inverno, io, senza Silvia, sarei un povero scemo. Voi donne siete magiche». —