il Giornale, 5 novembre 2023
Addio a Mattingly, l’astronauta eroe Grazie alla rosolia poté salvare l’Apollo 13
Benedetta fu la rosolia. Quella che impedì a Thomas Kenneth Mattingly II, morto qualche giorno fa a Cincinnati all’età di 87 anni, di salire a bordo dell’Apollo 13 l’11 aprile 1970. Una circostanza che probabilmente finì per salvare la vita ai tre occupanti del modulo, il comandante James A. Lovell Jr, il pilota del LM Fred W. Haise Jr. e colui che era stato chiamato a sostituirlo, John L. Swigert.
Ken Mattingly, così era noto tra i suoi colleghi, allora aveva 34 anni. Aveva frequentato la Miami Edison High School a Miami, in Florida, e poi aveva studiato tecnica aerea e spaziale presso l’Università di Auburn in Alabama. Dopo gli studi si era arruolato nella Marina militare, e aveva prestato servizio sulla Saratoga e sulla Franklin D. Roosevelt. Poi dal mare aveva deciso di guardare al cielo, e si era diplomato alla Air Force Aerospace Research Pilot School, facendo poi domanda alla Nasa. Erano gli anni ruggenti della conquista dello spazio e Mattingly aveva lavorato allo sviluppo della tuta spaziale per le missioni sulla Luna. Nella storica missione Apollo 11, quella che il 21 luglio 1969 portò Neil Armstrong a compiere il primo passo sulla Luna, ebbe il compito di radiofonista di contatto con l’equipaggio (Capcom) all’interno della cosiddetta «support crew».
Ma fu il suo ruolo nella missione Apollo 13 a farlo passare alla storia. In realtà «Ken», allora trentaquattrenne, essendo uno dei più esperti nella conoscenza del grande programma spaziale, era stato nominato pilota del modulo di comando della missione ed era la prima volta che un tale incarico veniva assegnato a un astronauta che non aveva mai fatto parte di un equipaggio di riserva. Ma il destino ci mise lo zampino. Il 6 aprile 1970, cinque giorni prima del lancio, venne fuori che il pilota di riserva del modulo lunare, Charles Duke, era affetto da rosolia. Mattingly era l’unico dell’equipaggio a non aver fatto quella malattia e il timore che potesse ammalarsi nello spazio convinse la Nasa a sostituirlo con la «riserva» Swigert. E così quando qualche giorno dopo il lancio la navicella spaziale fu paralizzata da un incidente, Mattingly, che nel frattempo la rosolia non l’aveva presa, accorse al centro di controllo e sviluppo delle procedure di risparmio energetico che permisero alla navicella di rientrare nell’atmosfera e poi di ammarare nel Pacifico, nel corso di un’operazione di salvataggio talmente avvincente da essere raccontata venticinque anni dopo nel film Apollo 13, diretto da Ron Howard (il Richie Cunningham di Happy Days) e nel quale a dare corpo e volto a Mattingly fu Gary Sinise.