la Repubblica, 4 novembre 2023
Lezione di politica
L’ultima parola di queste “lezioni” non può essere che “politica”. Mai come oggi essa appare deformata da interpretazioni che ne manomettono il senso in vista di obiettivi strumentali. A diffondersi, nelle democrazie occidentali, è una tonalità negativa che sembra svuotarle dall’interno, fino a consumarne l’energia affermativa. A parlare di “politica negativa”, alla fine del secolo scorso, era stato Michel Walzer, alludendo alla sua riduzione a semplice tecnica di difesa da minacce reali o apparenti. Poi, poco alla volta, il termine negative politics opoison politics – politica dei veleni – è stato caricato di un significato più preciso. Con esso si intende il fatto che sempre più spesso i politici, anziché elaborare progetti positivi di società, preferiscono contrastare quelli altrui. Un contrasto pregiudiziale che si accompagna a invettive, insulti, fake news volti unicamente a delegittimare l’avversario di turno. Perché ciò accade? Perché in una società della comunicazione – o dello spettacolo – quale è la nostra, è più facile aggregare consenso “contro” che “a favore” di qualcuno. Per esempio è più redditizio – anche sulpiano elettorale – criticare una riforma già fatta che proporne una nuova, viste le difficoltà politiche, economiche, tecniche che ogni progetto realistico comporta. Un messaggio negativo, teso al rifiuto di qualcosa, ha un maggior tasso di penetrazione di un messaggio positivo, di una riforma necessariamente complessa. Si pensi a quanto è successo nel Regno Unito, nel referendum sulla Brexit, in cui la rottura con l’Unione europea è passata senza che si immaginasse a quali nefaste conseguenze avrebbe portato. Del resto già nei referendum sulla Costituzione europea in Francia e in Olanda nel 2005 i “no” avevano prevalso, bocciando un rafforzamento delle istituzioni che avrebbe giovato a tutti i paesi dell’Unione. Ciò spiega perché, normalmente, il partito o i partiti di opposizione hanno più chance di vincere le future elezioni rispetto a quelli che governano (non so se l’Italia farà eccezione a questa regola). Perché il messaggio negativo, il “no” a prescindere, calamita con più forza gli stati d’animo di sfiducia, di risentimento, di rancore rispetto a un serio progetto di rinnovamento.Naturalmente ciò – questa prevalenza del negativo – ha un prezzo molto alto, che in ultima analisi è quello di sostituire a una democrazia del progetto una democrazia del rifiuto. Come si vede, del resto, dal numero sempre decrescente dei votanti, stiamo passando da una democrazia della partecipazione a una democrazia dell’astensione, di per sé svuotata di energia politica. La radice di quel fenomeno che chiamiamo approssimativamente “populismo” sta tutta qui. Nell’individuare, o meglio costruire, un nemico su cui riversare la responsabilità di una situazione giudicata negativa, a prescindere da quali ne siano i motivi. Ciò che conta è avere un avversario – la casta, la finanza, l’Europa – su cui sfogare il risentimento per problemi esistenti, ma che richiederebbero strategie mirate alla risoluzione. Il populismo nasce dall’incapacità di proporre soluzioni efficaci agliscompensi generati da una globalizzazione disuguale e squilibrata. La digitalizzazione ha prodotto un ulteriore strappo nell’intermediazione politica. Se le culture politiche novecentesche – insieme ai partiti che le rappresentavano – paiono aver esaurito la loro funzione, la rivoluzione digitale, con la sua falsa promessa di democrazia diretta, contribuisce al prosciugamento di una prassi politica realmente riformatrice.Ma oggi siamo a un passaggio ulteriore e ancora più pericoloso che rischia di manomet tere l’equilibrio tra i poteri. La politica negativa, prima praticata soprattutto dai partiti di opposizione, è sempre più adottata anche da quelli di governo. Si pensi a quanto è accaduto in America con Trump, ma anche nel RegnoUnito con Boris Johnson, entrambi propensi a spingere il contrasto con gli avversari politici al limite di un comportamento eversivo. Un mutamento, dai tratti più sfumati, lo stiamo sperimentando adesso in Italia, dove il governo tende a opporsi preventivamente all’opposizione, accusandola di estremismo. In questo modo si genera un pericoloso cortocircuito in cui la negazione reciproca diventa l’unica forma di politica. Da un lato l’opposizione – dimenticando che ob in latino non significa necessariamente “contro”, ma “di fronte” – non riesce a formulare un progetto alternativo di governo, secondo la classica modalità del “governo ombra”. Dall’altro il governo, incapace di esprimere una visione complessiva del Paese, e di realizzare quanto ha promesso, tende a neutralizzare l’opposizione, togliendole la parola.Il rischio che si corre è una drastica semplificazione delle democrazia, sempre più ridotta all’esercizio di una sovranità sciolta dai meccanismi di controllo e bilanciamento. Il potere della maggioranza tende a estendersi dal piano del governo a quello delle istituzioni, fino a forzare i limiti della Costituzione. Andrebbe ricordato che anche i sistemi politici maggioritari, nelle democrazie parlamentari, funzionano sulla base di regole condivise che vanno salvaguardate dalla “macchina della negazione”. Se non si troverà il modo di convertirla in capacità progettuale, le democrazie occidentali finiranno per cedere ai regimi autoritari che le insidiano sempre più da vicino