la Repubblica, 4 novembre 2023
Putin si sta alleando con la Jihad
A quasi un mese dall’attacco di Hamas contro Israele appare evidente che il presidente russo, Vladimir Putin, ha deciso di sfruttare questo conflitto in Medio Oriente per aprire un nuovo fronte di sfida contro gli Stati Uniti e, più in generale, l’Occidente. Le mosse del Cremlino parlano da sole. La prima decisione di Putin è stata di non condannare a chiare letterte il pogrom di Hamas che il 7 ottobre ha ucciso aslmeno 1.400 israeliani, ferendone altri 5.600 e deportandone a Gaza almeno 230. Nelle 48 ore seguenti, Mosca ha imputato le violenze avvenute nel «sistema neo-coloniale delle relazioni internazionali» parlando di «chiaro esempio del fallimento Usa in Medio Oriente». E il suo ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, incontrando la Lega Araba, ha aggiunto: «È la politica divisiva americana a generare il cnflitto in Medio Oriente». Da qui i ringraziamenti di Hamas al capo del Cremlino per «il sostegno davanti all’attacco sionista» e la visita a Mosca di Basem Naim e Abu Marzuk, alti funzionari dell’organizzazione jihadista che nel 2007 conquistò la Striscia di Gaza cacciando con le armi l’Autorità nazionale palestinese. se a questo aggiungiamo la freddezza di Putin nella telefonata con il premier israeliano Benjamin Netanyahu - molti gorni dopo il pogrom - il sostegno di Mosca ad Hamas in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu - impedendo la condanna dell’attacco del 7 ottobre - e la copertura unilaterale del conflitto nella Striscia da parte di molte tv russe, non è difficile arrivare alla conclusione che il Cremlino ha compiuto una netta scelta di campo.
Davanti alla carneficina causata da Hamas nei villaggi civili del Negev Occidentale, dentro i confini di Israele riconosciuti dalla comunità internazionale, Putin si è trovato davanti ad un bivio: poteva schierarsi con la nazione aggredita, da lui stesso definita in più occasioni «l’unico Paese russofono fuori dai confini dell’ex Urss» nonché uno stretto alleato degli Usa che non ha applicato le sanzioni alla Russia per la guerra in Ucraina, oppure poteva scegliere Hamas in ragione del patto militare con gli ayatollah di Teheran – protettori dei fondamentalisti a Gaza – testimoniato dalle forniture di droni iraniani alle truppe russe in Crimea. Se il patto con Teheran ha prevalso sulla solidarietà “russofona” con Israele – oltre un milione di suoi abitanti provengono dall’ex Urss – è perché Putin ha trovato nella scelta pro-Hamas un formidabile nuovo fronte nella sfida globale all’Occidente.I motivi sono tre. Innanzitutto, il conflitto di Gaza obbliga gli Stati Uniti a distrarre fondi, risorse ed aiuti militari a favore di Israele, indebolendo di conseguenza il sostegno all’Ucraina. In secondo luogo, come ha dichiarato il rappresentante di Hamas Ali Baraka ad un canale libanese, «tutti i nemici dell’America nella regione si stanno consultando ed avvicinando per trasformare gli Usa in una reliquia del passato, come avvenuto per l’Urss». «Parliamo ogni giorno con la Russia, una nostra delegazione è stata a Mosca e presto andrà a Pechino – ha aggiunto Ali Baraka – e prima o poi anche la Nord Corea interverrà, perché è l’unica che può colpire gli Stati Uniti» grazie ai suoi missili intercontinentali. Ovvero, il legame Mosca-Hamas è solo un tassello di un fronte più vasto, mirato «a far collassare gli Stati Uniti, creazione dell’Impero britannico». Ma non è tutto perché c’è un terzo tassello, l’ondata di antisemitismo che sta dilagando in Occidente: se nella repubblica russa del Daghestan è avvenuto l’episodio più grave, con l’assalto della folla ad un aereo arrivato da Israele, in più città europee i manifestanti pro-Hamas hanno innalzato insegne in cui si equipara la Stella di David alla svastica nazista.Questo paragone è una sorta di firma della propaganda moscovita: debuttò in Europa all’indomani della guerra dei Sei Giorni, nel giugno 1967, quando l’allora Kgb accompagnò la svolta filoaraba del Cremlino con una campagna di delegittimazione di Israele “prodotto del colonialismo” e “nazista” che ha seminato odio ed intolleranza in più Paesi – Italia inclusa – fino al termine della Guerra Fredda.Ciò porta a dedurre che il Cremlino possa aver deciso di ricorrere alla stessa velenosa narrativa antisionista-antisemita per contribuire a portare scompiglio nel campo delle democrazie, nella cornice dellateoria della guerra ibrida formulata nel 2013 dal generale Valery Gerasimov al fine di far «implodere l’Occidente dall’interno», facendo leva su divisioni e contraddizioni.Dall’inizio del conflitto in Ucraina tale “dottrina Gerasimov” ha portato Mosca a tentare di dividere gli alleati puntando sulle forze populiste, sulle forniture energetiche e sul tema dei migranti: ora il forte sospetto è che stia soffiando anche sull’odio nei confronti di ebrei e di Israele.Ma non è tutto perché nei Paesi del Sahel dove la Brigata Wagner – i mercenari filorussi – è riuscita a insediarsi, come in Mali e Burkina Faso, la campagna che ha portato a cacciare le forze francesi ha cavalcato sempre “l’anticolonialismo” portando anche ad ambigue convergenze con gruppi jihadisti nel Sahara. Per non parlare delle indiscrezioni Nato sulla presenza di inviati della Wagner a Beirut nei giorni precedenti al 7 ottobre e delle rivelazioni del Wall Street Journal sull’antiaerea della Wagner schierata a protezione degli Hezbollah in Libano.E qui si apre un nuovo scenario: la possibilità che la Russia stia usando in maniera spregiudicata il fondamentalismo islamico – in tutte le sue forme, dai sunniti del Sahel agli sciiti di Teheran – per aggredire ovunque i Paesi occidentali proprio come fece l’Urss ai tempi del Raiss egiziano Gamal Abdel Nasser e del siriano Hafez Assad sposando la versione più aggressiva del nazionalismo arabo. Il fatto che la Russia di Putin abbia combattuto nel recente passato i fondamentalisti, dalla Cecenia allo Stato islamico, nulla toglie alla possibilità che il Cremlino ora possa aver scelto di cavalcarlo al fine di incalzare l’Occidente, dal Nordafrica al Medio Oriente. Senza alcun riguardo per la soluzione dei “Due Popoli, Due Stati” in Medio Oriente che è invece alla base degli accordi di Oslo fra Israele e Autorità palestinese che Usa ed Ue vogliono ora rilanciare.