Corriere della Sera, 4 novembre 2023
Il nuovo romanzo di Baricco
Un western metafisico è il sottotitolo del nuovo libro di Alessandro Baricco. Stavo per scrivere «del nuovo romanzo» ma, di fronte alla definizione dell’autore (che è pur sempre la massima autorità riguardo a ciò che lui stesso ha scritto), mi è sembrata una leggerezza, un arretramento nel generico (in tutta la letteratura, e di conseguenza nella critica, non esiste forse una parola più generica di «romanzo»: è come se uno andasse al ristorante e ordinasse al cameriere un po’ di «cibo»). Bene, ancora prima di dire che questo di Baricco è un bellissimo western metafisico, uno dei più notevoli che conosco, forse non sarà pedante interrogarsi su cosa diavolo sia, un western metafisico: non capita tutti i giorni di leggerne uno, dopo tutto. Il primo esempio che mi viene in mente è quello di un capolavoro del cinema, Dead Man di Jim Jarmusch, interpretato nel 1995 da Johnny Depp. Ho il sospetto che Baricco abbia consapevolmente omaggiato questo indimenticabile film in bianco e nero a un certo punto di Abel, quando si parla di canoe e di ferite da arma da fuoco.
Per quanto riguarda la letteratura, è sicuramente un grande western metafisico (purtroppo incompiuto) Il popolo di Bernard Malamud. È un western metafisico che ne contiene molti al suo interno anche uno di quei pochi saggi che hanno il potere di cambiare la mente di chi li legge, I letterati e lo sciamano di Elémire Zolla. Esiterei invece a collocare in questo nobile e strampalato genere i romanzi di Cormac McCarthy (molto amati da Baricco, d’altra parte), per il semplice fatto, evidente anche in Abel, che il western metafisico ha bisogno del suo stile, che se non è proprio astratto impone una rappresentazione del mondo il più possibile filiforme ed emblematica, alla maniera delle favole, delle allegorie medievali, dei racconti di Kafka. Ovviamente, si potrebbero citare molte altre opere, ma quello che più importa è tentare una definizione, per quanto esigua e provvisoria. Ebbene, direi che la mossa fondamentale consiste nel trasformare radicalmente un asse portante, se non la pietra di volta, dell’immaginario western, ovvero l’idea del confine, facendone un limite assoluto e una sutura tra il regno del visibile e quello dell’invisibile, o se si preferisce tra la vita e la morte.
La differenza tra un confine fisico e uno metafisico consiste nel fatto che non tutti possono attraversare il secondo, trattandosi di una faccenda di destino e di elezione, e che non è mai chiaro come e quando lo si attraverserà o lo si è già attraversato. «Siamo già stati dove non siamo mai stati», medita l’eroe di Baricco, il famoso pistolero Abel Crow, «e anzi, a dirla tutta, veniamo da lì». Alla faccia della geografia e della cartografia, scienze decisamente non-metafisiche.
Non solo quello del confine o del limite, ma tutti gli altri stereotipi di cui si compone questo mondo così immediatamente riconoscibile, dalla Main Street con la sua banca e il suo saloon ai duelli con le mani pronte sulla fondina, sono sottoposti in Abel alla stessa torsione allegorica. E in una breve premessa Baricco, al quale non è mai mancato il senso dell’umorismo, definisce il suo West (lui preferisce parlare di «Ovest») un «non luogo»: come i centri commerciali e i terminal dei grandi aeroporti di Marc Augé. Si potrebbe aggiungere che Abel , così come è ambientato in un «non luogo», che è pur sempre una specie particolarissima di luogo, è un’opera narrativa che, pur raccontando una storia molto interessante, è quasi del tutto priva di quella che definiamo generalmente una trama. «Nessun peggior errore che confondere trama e storia », avvertiva Baricco in un recente saggio, La via della narrazione , frutto di una lezione tenuta nel 2021 alla Scuola Holden. La trama, spiegava Baricco, è un «espediente tecnico», una specie di «riduzione» della storia, inteso come «campo di energia prodotto nell’animo di uno di noi dall’imprevista vibrazione di una tessera del mondo». Come si può facilmente intuire da questa suggestiva definizione, è impossibile che un libro contenga una storia in quanto tale: è sempre necessario un compromesso: se la storia è una sfera, noi leggiamo dei cerchi, e se è un mondo, noi leggiamo delle mappe. Ma il bello di Abel è che questa «riduzione» non smette mai di accennare alla totalità che la presuppone. È una trama, se vogliamo, che non si è dimenticata la sua originaria natura di storia, di «vibrazione». Tanto per cominciare, il pistolero Abel Crow ci racconta sì la sua vita così ricca di avventure e di incontri rivelatori, a cominciare dalla sua famiglia, ma procedendo senza nessuna linearità cronologica, mischiando le epoche come un mazzo di carte da gioco. L’esperienza lo ha convinto che , «seppure in modo nascosto, il dopo precede il prima mentre mansueto lo segue». Questa filosofia produce anche un riverbero comico, perché la persona che meno dovrebbe smarrirsi in questi paradossi è proprio Abel, data la sua professione di pistolero, nella quale la logica tradizionale della causa e dell’effetto ha pur sempre un certo valore (in una pagina molto divertente, l’eroe di Baricco ci spiega perché un pistolero non dovrebbe mai leggere i libri del grande filosofo David Hume).
Il protagonista ci racconta le sue avventure, ma senza nessuna linearità cronologica,
piuttosto mischiando le epoche
come un mazzo di carte da gioco
Abel si è spinto tanto avanti in questa percezione non-lineare della sua esperienza, che a volte si rende conto che ormai non sa nemmeno lui a che punto è arrivato («come sicuramente racconterò, o avrò già raccontato, non so»). Se c’è un tempo verbale pienamente abitabile dalla voce di Abel, è il futuro anteriore, che è una specie di magia, o di trucco da saltimbanco, che possiedono alcune lingue. E questo metodo narrativo, che alla linea sostituisce qualcosa che somiglia a una spirale, è sicuramente il più adeguato a rendere conto del tema centrale, del nucleo pulsante e inesauribile della sua storia: che è quello del rinascere, o meglio del nascere veramente, una buona volta. Abel lo impara a un certo punto da un’indiana che la sa molto più lunga di lui, ma è come se lo avesse già saputo da sempre: non basta venire al mondo, il puro e semplice fatto biologico è solo una semplice premessa. «Mi disse che sarebbe stato molto doloroso, ma un giorno, era una promessa, sarei nato». Abel si sente riconosciuto da quella donna, che non ha mai visto prima ma conosce il suo nome. Quelle parole gli danno la certezza di essere entrato in contatto con un livello fino a quel momento insospettabile della verità: Abel sente di essere investito da «un vento caldo che veniva da un quinto punto cardinale».
Baricco maneggia con saggezza un altro stereotipo fondamentale del «non luogo» western: quello della frizione traumatica e rivelatrice tra l’uomo bianco e la saggezza ancestrale dei nativi. Non a caso, nella lista dei libri citati da Baricco in fondo al volume, e che hanno ingombrato la sua scrivania durante gli anni di lavoro ad Abel, spicca uno dei più alti testi spirituali dell’intera storia umana, Alce Nero parla di John G. Neihardt. Alce Nero era un guerriero e uno sciamano sioux, che nel 1931 confidò a Neihardt, un intraprendente giornalista e romanziere, i fondamenti di una visione del mondo prossima alla totale cancellazione. Alce Nero aveva partecipato a eventi storici decisivi, combattendo contro il generale Custer a Little Big Horn, a fianco di Cavallo Pazzo, e assistendo allo sterminio di Wounded Knee che nel 1890 mise di fatto fine alla storia del suo popolo. Ma la cosa più importante che lo sciamano ha da insegnare all’uomo bianco è che tutti quei fatti raccontati nei libri non sono che un’ombra, un pallido riflesso del «vero mondo», dove il cosmo si rende percepibile nella sua totalità e nell’unità profonda delle sue varie componenti.
Ebbene, questo ha da raccontarci l’eroe di Baricco: la sua avventura senza capo né coda è avvincente proprio perché è un transito da questo al «vero mondo», dove non vigono nemmeno più i rassicuranti principi della logica, con il loro potere di discriminare il vero e il falso, il possibile e l’impossibile. Ma Baricco, da vero scrittore, si guarda bene dal configurare questa storia come una specie di redenzione, di itinerario mistico. Se nasci pistolero e bianco, non puoi diventare uno sciamano sioux, e chi dice il contrario non solo mente, ma scrive brutti libri, inutili sermoni. Semmai, potremmo dire che il «vero mondo» cola nel nostro come da un soffitto meno solido di quello che credevamo, fino a che ci rendiamo conto non solo di non essere ancora nati, ma di non sapere nemmeno se nel frattempo siamo già morti.
È questa la nostra strada, o meglio la nostra pista, e nessuno può venire a spiegarci fino a dove l’abbiamo percorsa, come l’abbiamo perduta e ritrovata, se la stiamo seguendo in direzione dell’inizio o della fine.