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 2023  novembre 04 Sabato calendario

Il premierato alla Meloni. Le idee di La Russa


La riforma «non tocca il ruolo del capo dello Stato e neanche quello del Parlamento» dice il presidente del Senato Ignazio La Russa: «E l’Aula può migliorarla».
ROMA «Questa è una riforma aperta all’ascolto che ha un solo punto fermo: dare peso al voto popolare». Ignazio La Russa è appena sceso dall’aereo che lo ha portato a Bari, dove ha deposto una corona di fiori al Santuario di Japigia e sta imboccando la porta del Senato per il concerto della banda di tutte le Forze Armate per celebrare il 4 Novembre, la Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze Armate.
Che cosa significa che la riforma è aperta all’ascolto?
«La presidente Meloni sta mantenendo quello che ha promesso e che è nel programma elettorale del centrodestra. Non vuole una riforma che fotografi solo la sua idea. Vuole che intorno a questa riforma ci sia il massimo consenso possibile dentro la maggioranza e possibilmente anche fuori dalla maggioranza. Certo: senza snaturare la bozza approvata dal Cdm».
La destra è sempre stata presidenzialista, per l’elezione del capo dello Stato. Qui, invece, si elegge direttamente il premier. Come mai?
«Volevamo innanzitutto una riforma che portasse alla democrazia diretta come gia avvenuto per città e Regioni. Riforme, queste, avvenute durante governi di centrosinistra. Per il centrodestra la cosa più importante è evitare che qualcuno continui a governare senza vincere le elezioni. Tra l’altro, ho letto di qualcuno che sostiene che Meloni fa un “golpetto” a suo uso e consumo. Se temono che in futuro possa continuare a governare lei, allora vuol dire ammettere che Meloni sta governando bene e che il centrodestra vincerà tutte le prossime elezioni».
A proposito, perché non c’è un limite al numero dei mandati del premier?
«Perché, scusi, oggi c’è un limite ai mandati del premier?».
Ma allora, perché il limite ai mandati c’è per i presidenti delle Regioni e per i sindaci?
«Nel momento in cui fu fatta quella legge, fu deciso così dalla maggioranza di centrosinistra. La domanda andrebbe posta a chi lo ha deciso allora, non certo oggi a Giorgia Meloni. Io non so se sia giusto o sbagliato. Ma se è un errore, di certo non l’ha fatto lei».
Il grande tema è il ruolo del capo dello Stato che...
«... sarebbe ridotto? Non è vero. Questa riforma non tocca il ruolo del capo dello Stato e nemmeno quello del Parlamento. Viene toccato il peso dei partiti e vengono toccati certi... luoghi d’incontro fuori dal Palazzo. Perché non mi si dica che gli ultimi premier sono stati scelti in Parlamento. La riforma tocca e cancella i governi tecnici e i governi arcobaleno, quelli fatti da partiti che prima si scontrano ferocemente e poi si mettono d’accordo per mantenere il potere. Con questa riforma avranno meno peso gli intrallazzi – ma io li chiamo accordi – e così facendo avremo governi con una durata più lunga, dato che su questo tema l’Italia è un’anomalia in Europa».
Però, l’elezione diretta toglie al capo della Stato l’indicazione del premier.
«Ma di cosa parliamo? Quando mai un presidente non ha nominato un premier dopo una sua vittoria chiara alle elezioni. Due volte Prodi, due volte Berlusconi e la Meloni lo testimoniano».
Ma è vero che i poteri del presidente della Repubblica vengono ridotti?
«No, assolutamente. Rimangono tutte le prerogative a partire dal primo controllo costituzionale delle leggi. Anzi, c’è addirittura chi dice che esiste uno squilibrio visto che il presidente della Repubblica ha di fronte 7 anni e il premier 5, per giunta non garantiti. In generale, è vero che oggi il capo dello Stato ha poteri non solo sanciti dalla Carta ma anche quelli estensivi della cosiddetta “Costituzione materiale”. Ma anche questi permangono».
C’è chi pensa che il «secondo premier» avrebbe più poteri del primo, perché caduto lui il Parlamento è sciolto.
«La legge è pensata in modo che il secondo premier sia un’eccezione molto, molto rara: solo se il premier si dimette o vi è uno stravolgimento politico. Prevedere la possibilità di più subentri da eccezione potrebbe diventare regola azzerando il principio del voto popolare alla base della riforma».
Lei preferiva il «simul stabunt simul cadent», il ritorno alle urne in caso di caduta del premier.
«È proprio la capacità di ascolto della Meloni che ha portato ad escludere questa ipotesi. La bozza attuale prevede, per una sola volta, di non ribaltare ma far proseguire la legislatura con lo stesso programma e la stessa maggioranza. Va comunque detto che nessuno ha vietato di presentare emendamenti al testo e nessuno esclude la possibilità di poterlo migliorare. Certo, senza stravolgerlo».
I critici dicono che non ha senso prevedere un premio di maggioranza del 55% senza prevedere una soglia minima per ottenerlo. Sbagliano?
«Sì, sbagliano. La soglia minima l’ha prevista la Corte costituzionale, e dunque ci sarà. Stabilirla spetta alla legge elettorale e dunque al Parlamento».
La premier Meloni non ha escluso che il futuro premier possa essere eletto con un ballottaggio. Cosa ne pensa?
«Anche qui, spetta alla legge elettorale stabilire se ci saranno uno o due turni. Proprio per non invadere con la norma costituzionale un campo tipico del Parlamento. Dunque tutto è plausibile. Io però penso che il doppio turno sia più adatto al semipresidenzialismo alla francese. È un tema in qualche modo legato al modo di rappresentare la volontà popolare: se guardiamo ai sindaci, vediamo che il secondo turno è sempre meno partecipato e dunque il ballottaggio non è di per sé garanzia di migliore partecipazione. Noto, peraltro, che a ogni elezione tutti si lamentano della scarsa partecipazione al voto. Io credo che uno dei motivi dipenda dal fatto che l’elettore pensa: “Io voto ma tanto poi fanno quello che vogliono”. Ecco, io sono convinto che uno degli effetti di questa riforma sarà proprio quello di aumentare la partecipazione. Mi pare un incentivo».
Lei si è augurato che la riforma abbia i due terzi dei voti in Parlamento. Ma lo ritiene davvero possibile?
«È difficile, ma io ci spero e lavorerò per questo obiettivo. Se le opposizioni vogliono migliorare la legge troveranno ascolto. Se invece preferiscono non cambiare nulla lasciando che siano gli accordi politici – a volte poco trasparenti – a scegliere i premier, non arriveremo ai due terzi. A quel punto, sarà il referendum a decidere su questa riforma attesa da decenni e che dà voce al popolo sottraendola ai partiti».