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 2023  novembre 04 Sabato calendario

Il liscio, il jazz e la musica popolare. Parlano Mirko Casadei e Paolo Fresu


«F inché qualcuno balla, la musica non deve fermarsi». Parole di Secondo Casadei (1906-1971), la figura storica più importante del Liscio romagnolo – genere diffusosi tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento —, violinista, compositore, autore di Romagna mia (1954), che nella sua cinquantennale carriera ha inciso 180 dischi a 78 giri, 230 a 45, 14 ep (extended play) e 54 a 33 giri... A partire dal 1960, Casadei, che si era già guadagnato da tempo l’appellativo di «Strauss della Romagna», chiamò nella sua orchestra il nipote Raoul (1937-2021), che vi portò ulteriore vitalità, ma che nel 1980 si ritirò dal palcoscenico, continuando però a gestire l’orchestra da dietro le quinte. Nel novembre del 2001, passò ufficialmente il testimone dell’orchestra al figlio Mirko (1972), che tuttora la guida. A proposito: si chiama Liscio per via delle movenze dei ballerini che usano scivolare, strusciare i piedi, andare insomma via lisci.
«La Lettura» ha chiacchierato con Mir-ko Casadei e il jazzista Paolo Fresu, in occasione del loro concerto di oggi, domenica 5 novembre, al Teatro del Popolo di Concordia sulla Secchia (Modena), prima data di una luna rassegna — Vai Liscio! Concerti, ballo, racconti, canzoni — promossa dalla Regione Emilia-Romagna e coordinata da Ater Fondazione con diverse realtà, a sostegno della candidatura richiesta dalla Regione stessa per inserire il Liscio nel Patrimonio immateriale dell’umanità tutelato dall’Unesco.

Per iniziare vi chiediamo di dare una vostra definizione di questo genere e di collocarlo storicamente.
PAOLO FRESU — Il Liscio in Italia è quasi religione. Fa parte dell’immaginario collettivo. Forse oggi meno, ma quando ero ragazzo io...
MIRKO CASADEI — È sempre stata una musica popolare, ruspante se vogliamo, però ha accompagnato tantissimi italiani negli ultimi quasi cent’anni. Si tramanda di generazione in generazione, geneticamente: le mamme cantano le nostre canzoni ai bambini, che se le portano dentro.
PAOLO FRESU — Bene o male, tutti i musicisti sono passati attraverso il Liscio. Che facessero la balera o che suonassero nei matrimoni, nelle feste di piazza, erano costretti a suonare il Liscio, perché era la musica per ballare.
Il Liscio romagnolo, certo, ma si ballava anche molta musica latina.
PAOLO FRESU — Sì, quella di Pérez Prado (1916-1989). Si contrapponevano due repertori, da una parte Casadei e dall’altra la musica di Prado.
Il ballo ebbe una funzione sociale importantissima negli anni Sessanta e Settanta, soprattutto il Liscio.
MIRKO CASADEI — Secondo, mio prozio, e Raoul, mio padre, si sono battuti per il diritto al tempo libero. Prima di loro andavano a ballare solo i più facoltosi, i signori… Con loro invece, il ballo, il Liscio nella fattispecie, diventò diritto di tutti, anche nelle serate infrasettimanali.
PAOLO FRESU — Io vengo dalla banda. Quando ho cominciato, a Berchidda (suo paese natale in provincia di Sassari, ndr), suonavo ai matrimoni, che duravano fra l’altro una settimana, ai tè danzanti, nei carnevali, nelle processioni. Bisognava saper principalmente suonare il Liscio e le cose sudamericane: mazurke, polke, cha cha cha. E quando si finiva, ci si fermava nel bar del paese, si ritiravano fuori gli strumenti e si improvvisava ancora qualcosa di ballabile. Il barista versava un po’ di vino e un po’ di birra ed era subito festa. Ci si divertiva con poco allora.
MIRKO CASADEI — Il Liscio si balla in coppia. Anzi, una delle cose belle di questa musica è proprio quella di aver fatto abbracciare tante persone, tanti ceti sociali diversi, è una musica che cerca il contatto fisico.
Fresu, da quello che dice, il Liscio è stata anche una scuola.
PAOLO FRESU — Una grande scuola di musica, o meglio di musicalità in senso più ampio. Spesso i suonatori di liscio sono strumentisti meravigliosi, pazzeschi, con una tecnica incredibile. Molti di loro poi, oltre che essere anche degli ottimi orchestrali sotto il profilo strumentale, sono spesso anche degli improvvisatori, che sono poi passati a suonare il jazz.
MIRKO CASADEI — Mi fa piacere che Paolo abbia sottolineato questo aspetto, perché suonare il Liscio non è così facile come sembra. Dietro c’è una scuola, uno studio che ci portiamo dietro da anni. Da noi in Romagna diciamo che devi avere la cavata giusta per suonare il Liscio, che qualcuno considera però un genere figlio di un dio minore. Ho visto orchestre di serie A che facevano fatica a rendere credibile la nostra musica. Proprio perché il Liscio è una scuola, tanti musicisti, futuri jazzisti soprattutto, hanno fatto palestra suonandolo magari nei loro primi anni.
PAOLO FRESU — Confermo, almeno per quanto mi riguarda, ma ci sarebbero tanti altri esempi.
Gianni Coscia e Gianluigi Trovesi, due grandi jazzisti, hanno raccontato su «la Lettura» #564 del 18 settembre 2022 di avere imparato a suonare proprio nelle sale da ballo. Il Liscio dunque, melodia, ritmo, atmosfere... che legame esiste con il jazz secondo voi?
MIRKO CASADEI — Direi che in entrambi i generi c’è la valorizzazione di alcuni strumenti attraverso gli assoli che nel gergo jazzistico si chiama improvvisazione. Anche nel Liscio quelli bravi improvvisano: nelle polke si sfidano per esempio gli strumenti a fiato, come il clarinetto in Do o il sassofono contralto in Mi bemolle, tipici della nostra tradizione, passandosi la palla e improvvisando variazioni sul tema. Sono venuti a suonare con la mia orchestra jazzisti del calibro di Richard Galliano e Marc Ribot.
PAOLO FRESU — Il jazz e il Liscio sembrano due mondi totalmente diversi, ma non è così. Mirko per esempio fa questo lavoro usando l’elettronica, le sonorità dello ska, tante suggestioni che vengono dall’esterno, come accade nel jazz.
MIRKO CASADEI — Cerco di far dialogare il Liscio con tutte le musiche del mondo, di creare un po’ di permeabilità, per nobilitarla anche, per dimostrare che se la musica è fatta bene, se i musicisti sono veri, se sul palco si parla lo stesso linguaggio, può venire fuori qualcosa di sperimentale, di nuovo, di bello.
Lei è considerato un innovatore, quindi anche un traditore per i tradizionalisti...
MIRKO CASADEI — Eh, sì. È la mia battaglia, anche contro un mondo, il nostro, dove purtroppo si è persa un po’ la qualità di un tempo, dove diverse band suonano in playback. Il Liscio di noi Casadei ha sempre tenuto i ritmi frenetici della modernità e della globalizzazione, proprio perché si è sempre rinnovato.
PAOLO FRESU — Il Liscio nuovo di Mirko e di altri suoi colleghi, che magari fa storcere il naso ai puristi, in realtà è una buona fotografia del presente, che piaccia o meno. E poi mostra la stessa curiosità che ha il jazz nell’indagare l’oggi dal punto di vista dei suoni. Quello che faccio io con il jazz oggi è ovviamente legato alla tradizione, perché mi porto appresso quello che conosco, ma allo stesso tempo non posso passare la mia vita a suonare come Miles Davis o come Chet Baker.
Fresu, lei ha invitato l’Orchestra di Mirko Casadei, la POPular Folk Orchestra, con la parola Pop scritta in maiuscolo, al suo Festival jazz di Berchidda. Com’è andata?
PAOLO FRESU — (Ride). All’inizio mi dicevano cose del tipo: «Ma cosa c’entra il Liscio con il jazz...». Poi i dubbiosi si sono convinti in men che non si dica.
MIRKO CASADEI — Il jazz ha un legame antico con il Liscio. Negli anni dell’immediato dopoguerra il mio prozio Secondo ascoltava le grandi orchestre americane, come quella di Glenn Miller, ma seguiva anche Louis Armstrong: aveva capito la potenzialità di quella musica e ne portò una piccola parte nella sua.

Dove differiscono profondamente i due generi è nell’aspetto ritmico, più elastico, morbido nel jazz, più rigido invece, a singhiozzo a volte nel Liscio. Qual è la vostra idea in proposito?
PAOLO FRESU — È vero, al Liscio manca l’idea di swing, che poi in fondo, se ci pensiamo bene, è una maniera di “musicalizzare” una lingua. Faccio un esempio: prendiamo una frase in spagnolo e la facciamo dire prima a un abitante di Madrid e poi a uno di Cuba. Entrambi dicono la stessa cosa, ma la dicono con uno swing diverso. È il modo di trattare il tempo che è diverso. Prendiamo i valzer viennesi che si suonano il giorno di Capodanno e i valzer di Casadei: hanno qualcosa, una specie di piccolo momento di sospensione, che nel jazz non abbiamo.
Perché voi avete altro. Avete la capacità di respirare il tempo in una maniera diversa. Casadei, scansione marcata e velocità sono invece due delle caratteristiche del Liscio. Ce ne parla?
MIRKO CASADEI — Il Liscio è riconosciuto soprattutto per il suo tempo in 3/4, quindi nei valzer e nelle mazurke, dove scandiamo il tempo in maniera molto forte. È una caratteristica distintiva della nostra musica, che è nata per far ballare la gente. Il ritmo è secco, dinamico. Nel genere della Filuzzi (il Liscio bolognese), il ritmo è invece molto più lento, rispetto a quello di mio padre che in alcuni casi era talmente veloce da mettere in difficoltà anche i ballerini più esperti. Ma Raoul era così: cercava l’energia ovunque.